Giovanni Orsina ha ripercorso la storia del berlusconismo in questo volume, che sembra voler chiudere la presenza del fenomeno con la caduta del duce di Arcore, inserendo tuttavia con perspicace senso critico quelle vicende in una continuità non solo cronologica.
- Giovanni Orsina
L’apparizione dell’imprenditore lombardo quale leader politico non è stato infatti un evento a sé quanto il rispecchiamento di caratteri, attitudini, preferenze in quanto si trovano nel nostro passato, anche remoto, cause ben individuate attraverso fattori che, anche nel caso in discussione, si riconnettono a debolezze e vizi difficili da rimuovere. E in effetti lo storico della Luiss ripercorre con grande precisione e molti riferimenti le arretratezze dell’Italia, tali da spiegare quel che poi è avvenuto sul finire del secolo scorso. Viene naturalmente denunciato il “clanismo” italiano quale rispecchiamento dell’“ideologia della frammentazione, della divergenza e della differenza”, e quale conseguenza di esperienze che hanno condotto alla privatizzazione delle regole. Il punto di partenza dell’analisi muove dalla singolare considerazione della “repubblica antifascista dei partiti”, la quale si è trovata, nell’immediato dopoguerra, a fare il conto con una “rivoluzione” mancata. Il congelamento delle spinte che avevano illuminato la Resistenza conduce all’acquietarsi delle chiare contrapposizioni politiche per giungere alla vittoria politica della balena bianca della DC mentre veniva avanti una sorta di “reazione di rigetto” nel cui ambito il “giacobinismo” dei partiti antifascisti finì per presentarsi – secondo l’interpretazione di Del Noce – quale manifestazione di una sorta di “fascismo al contrario”, e con l’evidente diffondersi di una tendenza “anti-antifascista” (dall’uomo qualunque e dalla nostalgia del ventennio”) che – ecco la tesi dell’autore – avrebbe contaminato lo stesso svolgimento della vita democratica della Repubblica. I ceti medi trovarono di fatto nella D.C. un rassicurante modo di governare raccogliendo parte rilevante del popolo italiano che anziché seguire lo spirito del rivolgimento del 1943-45 conduceva ad un assetto istituzionale contraddistinto da una “giustapposizione pluralista”: una spinta che anziché modernizzare l’Italia l’ha irretita in uno standard inadeguato a produrre autentici percorsi di efficacia operativa, tanto da preparare quel “consociativismo” tra DC e PCI che resta quale testimonianza come spina dorsale della incapacità di dar vita ad una effettiva positiva élite politica. Al contrario, l’appello di Montanelli agli elettori affinché votassero D.C. “turandosi il naso”, resta l’interpretazione più rispondente all’effettiva condizione psicologica del paese, sì da impedire ogni spinta realmente innovativa.
I fenomeni descritti appaiono quindi il precedente logico di quello che poi esploderà come “berlusconismo”. E in aggiunta sarà l’incapacità di “comprendere” le ragioni vere del successo di quest’ultimo a spiegare il ritardo della sinistra nel percepire dove si andava a parare, lasciando ai fatti di andare per proprio conto senza alcuna percezione morale, alcun autentico disegno politico.
Così si giungerà ad un fallimento derivato – scrive Orsina- dall’arretratezza ideologica, una condizione cioè non in grado di dar vita ad una rieducazione civica e ad un qualche raddrizzamento delle scelte quotidiane per la soddisfazione di interessi personali più che sociali facendo decadere verso uno Stato sempre più debole e inefficiente. Così s’intrecciano tendenze che consentiranno al lesto Berlusconi di presentarsi quale pseudo campione di un liberalismo progressivo, costringendo così all’accettazione di una illegalità diffusa, sino ad un adeguamento destinato a degenerare verso tendenze anti-ideologiche sì da privilegiare l’affermazione di una individualistica versione dei rapporti civili e favorire uno sviluppo illimitato dei poteri personali in forme di una concentrazione di politiche economiche nell’interesse dei più forti, senza nessuna partecipazione delle masse alle vicende politiche, tanto da sfociare nel trionfo della generica divulgazione mediatica, che supera ogni possibilità di confronto.
Il successo del berlusconismo è quindi effetto delle scelte di una massa popolare insofferente delle palestre ideologiche e interessata invece a soddisfare i bisogni della conservazione di interessi ben precisi: “ecco sono i veri protagonisti delle vittorie conseguite grazie alla sostituzione del primato della politica, con il trionfo dello scetticismo, secondo il basso profilo dello “stereotipo dell’italiano medio”. E aggiungiamo è proprio l’italiano “medio” a rafforzare il berlusconismo. Una scelta che può dispiacere ma che è stata accettata senza eccessive opposizioni degli stessi oppositori, essendo ormai vanificato ogni ideale politico.
Quindi un fenomeno provocato dalla incapacità di portare avanti adeguate scelte di politica economica utili per le necessità di un’Italia europea, mentre veniva meno la vivacità produttiva dei decenni precedenti, e ciò non solo per insufficienza dei governi berlusconiani quanto per le dimostrate insufficienze delle stesse istituzioni repubblicane, o meglio di chi le ha guidate ed interpretate nel ventennio ora concluso. La rappresentanza politica è crollata quando cade l’illusione delle “fedi”, e non c’è nulla di valido per la sostituzione.
Così dal rifiuto di riconoscersi nelle speranze rieducative delle inadeguate ideologie di una sinistra in disarmo si è passati – attraverso la moltiplicazione degli errori di governo e della impossibilità di realizzare politiche positive confacenti alle necessità “europee”, si perviene alla dispersione istituzionale, con il crollo d’ogni illusione di qualsiasi tipo di liberalismo mal rappresentato dal berlusconismo – in quanto l’esercizio del potere avviene tra ristretti gruppi privi di ogni effettivo senso di civico comune interesse: così la leadership di Berlusconi “è diventata insopportabile” ma nessuna forza ha la capacità di sostituirla. Siamo al disfacimento che non riguarda solo la specifica politica condotta nel ventennio con tutti i vizi del prevalente individualismo quanto esprime una situazione insostenibile nel confronto europeo, situazione di stallo e di rischio alla quale Monti apporta un ulteriore fattore con la decomposizione del sistema istituzionale, politico ed economico. Così dalle privatizzazioni del 1992-94 siamo pervenuti all’Italia dell’ennesimo compromesso, frutto – aggiungiamo – della stagione di Napolitano.