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Democrazia laica. Epistolario, documenti, articoli (Aragno editore)

LIBERTÀ E DEMOCRAZIA NELL’ESPERIENZA DELLA POLITICA E DELLA STAMPA DELLA GIOVANE NOSTRA REPUBBLICA


mercoledì 1 gennaio 2014 di Carlo Vallauri

Argomenti: Politica
Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Massimo Teodori (a cura di)


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I due volumi di Democrazia laica. Epistolario, documenti, articoli (Aragno editore) costituiscono una testimonianza significativa del ruolo che il pensiero liberaldemocratico ha svolto nella fase costitutiva della nostra Repubblica. Massimo Teodori ha infatti raccolto sia la corrispondenza scambiata tra Mario Pannunzio e Leo Valiani in quegli anni, sia articoli dei sue esponenti politici con aggiunta di scambi di lettere dello stesso Valiani con Ernesto Rossi.

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Leo Valiani

Ne esce complessivamente la conferma di un impegno culturale e politico di stampo “radicale” che ha contribuito con grande efficacia e chiarezza, a precisare ruolo e qualità di una impostazione di grande valore storico e nazionale nella fase in cui il carattere moderno e progressista delle nuove istituzioni repubblicane rischiava di essere appannato e danneggiato da pretese politiche che mal nascondevano visioni e impostazioni ben lontane appunto dalla impronta laica che questi scrittori tenevano a imprimere al centro delle vicende di realizzazione e di ampliamento della funzione stessa dell’Italia nel contesto europeo.

Nella introduzione lo stesso Teodori ha modo di fornire al lettore le chiavi di spiegazione emergenti da epistolari personali come tiene inoltre a sottolineare il timbro antitotalitario di personalità tra le più rilevanti di un paese che cercavano di illuminare sui rischi di posizioni lontane dal rispetto di itinerari intellettuali valoriali che la quotidiana polemica politica rischiava di sminuire nell’insieme di opinioni e di lotte che mettevano in dubbio la stessa presenza di un percorso politico di alto valore culturale e civile. Pur avendo sul piano personale differenti caratteri Pannunzio e Valiani esprimevano al meglio in senso di una serie di argomenti ben fondati su grandi idee di liberazione e di progresso sociale.

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Era il tempo in cui venivano in luce le oscurità del “Dio che è fallito” (cioè il comunismo) secondo il titolo di una famosa raccolta di saggi sostanzialmente di profonda maturità democratica. In quegli anni gli ex comunisti che avevano fatto propri gli ideali liberal-democratici non si stancavano di denunciare le gravi storture caratterizzanti il sistema imposto all’Unione Sovietica. Mentre la socialdemocrazia europea segnava con la scelta di Bad Godesberg la netta differenziazione rispetto all’impronta totalitaria della grande potenza russa in Italia i termini reali del dibattito venivano falsificati.

Gli articoli su “Il Mondo” formavano – non dimentichiamolo – una nuova generazione di giornalisti (a cominciare da Eugenio Scalfari) e di lettori non adusi ancora alle pratiche e alle polemiche autenticamente democratiche. E si rileggono con emozione, mista in certi casi a contrastanti sentimenti, i punti centrali di un discorso di per sé chiaro e veritiero sulla necessità di dare vita ad appropriate forme di cosciente partecipazione ai riti innovativi della giovane democrazia italiana post-fascista.

Tutti noi, già adulti in quell’epoca, ricordiamo come di settimana in settimana si attendesse il mercoledì per l’uscita de “Il mondo” per abbeverarsi a fonti informative, documentate e nello stesso tempo problematiche rispetto a quel che accadeva nel mondo, una presa di posizione lungimirante senza perdersi nel piccolo cabotaggio di mediocri interessi da proteggere. Erano al centro del dibattito i nomi di Salvemini e di Croce mentre affioravano i nomi nuovi di La Malfa e di Olivetti nel confronto quotidiano.

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Mario Pannunzio

La ipotesi “europea” cominciava ad entrare nel dibattito e nelle scelte dei gruppi politici con richiami storici, senza perdersi in quel generico affiorare di posizioni non condivise da quella giovane schiera di italiani si aprivano alle grandi problematiche ideologiche ed economiche nel valutare corresponsabilità e operatività delle principali forze politiche, specie nel fronte delle sinistre socialiste e comuniste. E se vi erano questioni del passato che tornavano alla ribalta sulla interpretazione di fatti accaduti prevalevano in quella generazione di liberali soprattutto le esigenze di impegno per una ricostruzione che non poteva non tener conto delle lezioni che in quei tempi venivano dalla lettura di Orwell, Koestler, Silone e Camus.

Né va tralasciata la particolare funzione “formativa” che di per sé la presenza “radicale” rappresentava in un paese nel quale leve determinanti sul potere rischiavano di cadere nelle mani di coloro che operavano chiaramente a servizio di istanze extra- nazionali come quella presente oltre Tevere. Tutte tensioni che riemergono nella memoria come momenti determinanti nella sistemazione istituzionale e politica.

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Massimo Teodori

Ecco perché l’attenta lettura di documenti, lettere, articoli riportati nel libro costituiscono un insieme di eccezionale valore pluralistico per comprendere le difficoltà nelle quali si faceva strada la giovane repubblica, esposta a rischi di affermazioni di determinanti forze non liberali, potentemente presenti nella stampa, nella politica e nelle scelte di progettazione sociale. Emergevano così ancora una volta le ristrette visioni di tanti politici di fronte alla limpidità e alla fermezza che il gruppo del “Mondo” apriva ai nostri occhi per trovare le soluzioni più democratiche per la nuova Italia.

Una lezione da non dimenticare proprio in questa fase di nuovi profondi cambiamenti inevitabili se vogliamo far uscire il nostro paese dalla penombra della falsità, dei compromessi. Personalità come quelle centrali di questi due volumi fanno meglio apprezzare l’importanza di un insegnamento civile e di un impegno culturale troppo presto dimenticato di fronte a nuovi totalitarismi e falsi idoli.

 

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