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L’impero antimoderno (Bietti editrice).

LE ANALISI DI GALLI SULLE NUOVE MODERNITA’

Pensiero politico
venerdì 1 novembre 2013 di Carlo Vallauri

Argomenti: Letteratura e filosofia
Argomenti: Politica
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Giorgio Galli


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Giorgio Galli ha fornito negli scorsi decenni una serie di studi sui temi scottanti del comunismo, del socialismo, delle crisi e delle false “soluzioni” totalitarie da consentire una conoscenza critica e approfondita. Ecco perché ogni nuovo testo del politologo suscita interesse e provoca spesso anche polemiche e discussioni. Ai suoi libri di spessore ampio e documentato contrappone adesso un agile volume L’impero antimoderno (Bietti editrice).

Personalmente abbiamo sempre incertezza nell’interpretare i termini “moderno” e “antimoderno”. Comunque in questo caso in sostanza si tratta di una analisi aggiornata dell’impero statunitense, al punto della sua massima potenza planetaria ma anche della presa d’atto della presenza di altri imperi in gioco, quello straordinariamente creativo della recente Cina, come delle altre realtà, dal Brasile alle complesse architetture africane e sud-asiatiche.

Punto centrale di questo “riepilogo” dell’attualità politica internazionale è la constatazione dello stato di transizione della , la grande costruzione dell’età moderna, con le sue complicate alchimie. L’evoluzione di tale forma storica delle istituzioni politiche ha trovato, dopo la seconda guerra mondiale, una ulteriore affermazione, non senza contraddizioni in varie esperienze. Il sogno americano dell’ascesa sociale per tutti ha trovato recentemente nella doppia elezione di Obama una consacrazione di fatto che mostra nel contempo i rischi persistenti a causa del duplice terrorismo (quello estero, di prevalente colore arabo, e quello interno legato alle follie conseguenti al benessere diffuso e alla diffusa convinzione che ciascuno può fare quel che vuole, a cominciare dalle spaventose sparatorie.

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Parlamento

Citazioni ricche ed appropriate accompagnano il lettore nel percorso dei tanti conflitti rievocati e sempre riemergenti e che inducono ad una riflessione, come quella in particolare di Earl Turner, che ha segnalato come i mutamenti in atto abbiano condotto ad superamento delle partizioni politiche tradizionali mentre si è indebolito il welfare e si è assistito al colossale trasferimento del reddito dal salario al profitto e alla rendita. Da noi fu l’economista Napoleoni a denunciare come questo fenomeno, avvenuto specificatamente nell’era Craxi, depauperava il popolo italiano. Esperienze di natura internazionale che nel suo esplicarsi si è incastrato con la globalizzazione ed i suoi effetti. Ma – a quel punto – sono intervenute le nuove guerre organizzate dagli Stati Uniti (concetto e opinione è roba nostra, non di Galli), guerre promosse, organizzate e guidate per confermare la propria supremazia, alla stessa stregua delle avventurose imprese dell’impero romano, quand’era all’apogeo della sua potenza. Restano senza soluzione i drammi della Palestina, mentre s’ingarbuglia la situazione in Afghanistan ed Iraq. Attentati, colpi di mano, violenze d’ogni genere sono il “tran tran” quotidiano della età che anziché veder primeggiare il merito delle conoscenze e della tecnologia con i suoi progressi, subisce ancora le decadenti sentimentalità delle ideologie presunte “universali”. Quando neri, ispanici ed asiatici guidano la nostra giornata quotidiana con gli eventi di cui sono protagonisti, il futuro è a buon punto nell’ulteriore transizione, ben oltre le precisioni di Huntington e di più recenti studiosi.

Ma come è cambiata la “morale politica”? Forse è questo il punto più delicato, l’argomento più suscettibile di dar vita a nuovi conflitti sui limiti ed i termini di una libertà vera, con tutti gli spazi disponibili per i comuni mortali. Ma la democrazia rappresentativa, se vede toccare il suo apice proprio negli Stati uniti, cerca di aprirsi strade nuove oltre i propri confini. Il vacillare dell’ordine moderno – scrive Galli – provoca un’inversione di rotta nella morale corrente, secondo Huntington.

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Giorgio Galli

La globalizzazione ha “potenziato” il dinamismo del capitalismo e delle multinazionali e costituisce tuttora un rischio per l’intera società occidentalizzata. L’impero nord-americano, aspirante al dominio mondiale come l’antica Roma, dispiace ai suoi critici, in particolare a quell’Antonio Negri, “eterna” speranza per i rivoluzionari d’ogni sistema, ma le cui analisi e precisioni oscillano tra l’ovvio e il “fatalismo” del mondo degli sfruttati. Il trionfo del capitale finanziario rivela l’inanità di tutti gli sforzi per dare nuovo slancio all’idea di “rivoluzione” di cui l’antico docente padovano è stato l’alfiere più intransigente e ripetitivo.

Ebbene: i contraccolpi dei rivolgimenti delle moltitudini ridanno slancio a vecchie e a nuove fedi religiose, nell’interpretazione allegorica dei nostri tempi. Tornano vecchie e nuove diseguaglianze quale segno del “tramonto” della modernità. Così Zizek ha buoni argomenti per irridere ai diritti umani, per i quali in tanti paesi ancora si guarda come ad una necessità primordiale. L’individualismo economico al suo estremo ha reso dominante la cultura di una élite intellettuale, sovrabbondante di razionalismo aggressivo (in piccolo le constatiamo in Italia con le piccole minoranze presenti nei cosiddetto “partito democratico”, argomento quest’ultimo non preso in considerazione da Galli che è sembrato volersi sottrarre a polemiche e confronti troppo attuali).

Cosa rimane? Vale la pena di parlare di valori morali essenziali alla vita di una società ordinata, quando ogni mattina scopriamo che siamo in una società al massimo della violenza spietata, ad ogni livello di esistenza e convivenza? Rimangono, forse, i cosiddetti valori culturali invocati da coloro che non credono più in nulla, e Galli lo conferma con questo libro, giacché il potere delle oligarchie è dominante a livello mondiale come mai in passato, mentre prosegue il conflitto tra la logica del potere politico (Robert Dahl) basato sul commercio e le impostazioni economiche derivanti dall’iniziativa imprenditoriale (da noi Marchionne come Berlusconi). La dialettica dell’illuminismo sembra ormai illuminare poco il nostro cammino, giacché andiamo sempre più verso nuove forme di schiavitù. Ipotesi inquietante, ma punta eminente del “pensiero politico” moderno.

 

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