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Gran Consiglio, ultima seduta, 24-25 luglio 1943, (Laterza editore)

L’ULTIMA RIUNIONE DEL GRANCONSIGLIO

Sulla fine del fascismo
lunedì 2 settembre 2013 di Carlo Vallauri

Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Alberto De Stefani


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L’ultima seduta del Gran Consiglio del fascismo, per le condizioni in cui si effettuò e per le gravissime conseguenze nella vita del nostro paese, è ancora circondata da una serie di opinioni tra il sorprendente, l’inatteso o al contrario il troppo atteso.

Interessante allora leggere oggi il testo dello scritto nel quale uno dei primi esponenti di quel regime, , raccolse le sue impressioni, intessute da delusione, rammarico e anche tentativo di dare una spiegazione, dall’interno, delle cause che contribuirono a condurre ad una conclusione traumatica e “ingloriosa” quell’esperienza. E Francesco Perfetti nella prefazione al volume (A. De Stefani Gran Consiglio, ultima seduta, 24-25 luglio 1943, Laterza editore) precisa come e perché quel che era stato il primo Ministro delle Finanze nei governi Mussolini (1928) ritenne di fissare le sue idee in proposito.

Personalità di studioso, attento ai temi più delicati e pressanti dell’economia, De Stefani è stato un prototipo dei sostenitori di quel regime, anche se per molti aspetti, fu attento ai rischi di scelte rovinose delle gerarchie, sempre preoccupato soprattutto dell’assolvimento dei delicati compiti cui egli veniva chiamato.

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Alberto De Stefani

Di fronte ai sobbalzi dell’economia internazionale negli anni ’20 e poi anche in seguito, curò in particolare la possibile realizzazione di condizioni di produttività, nella persuasione di un ruolo preciso affidato allo Stato per favorire la ripresa della privata economia. Dopo 3 anni di governo egli poté annunciare alla Camera il raggiungimento del pareggio del bilancio. Tornato agli studi egli continuò tuttavia a svolgere un ruolo primario nel suo specifico settore, convinto della necessità di aggiungere alle ragioni dell’economia individuale precisi interventi pubblici aggiuntivi: un fenomeno a livello mondiale, nel riconoscimento delle esigenze dei fattori collettivi che la stessa società di massa richiedeva. Dopo gli eventi economici degli anni ’30 e la guerra in Etiopia, De Stefani mantenne una presenza significativa sia a livello di determinazioni economiche sia nella posizione di membro autorevole del Gran Consiglio, di cui parecchi componenti vantavano, nella continuità e nei limiti della politica fascista, scelte ed azioni spesso non corrispondenti al suo punto di vista nella linea finanziaria.

Proprio perché ormai personalmente fuori dalle grandi decisioni politiche egli colse gli eventi che portarono alle rovinose opzioni connesse alla spinta bellica e alla tragedia della sconfitta militare, che travolse il paese e il regime, verso cui si trovò a prendere atto del corso degli eventi verso cui veniva trascinata l’Italia. Proprio lo scritto che egli ha lasciato a memoria della fatidica notte del 25 luglio rivela chiaramente la volontà di non denunciare le responsabilità degli “altri” per quello che era avvenuto, ma anzi finiva per avallare l’intero percorso irresponsabile e disastroso nel quale l’Italia era stata condotta. Risulta invece come egli teneva a distinguere il proprio da certi comportamenti, di colleghi del consiglio che si rimpallavano errori e responsabilità per l’insieme dei fatti accaduti. Egli riconosce infatti come e perché molti errori si erano compiuti, ma non tocca i punti cruciali sui quali la dittatura fascista si reggeva.

Sono invece sottolineati alcuni elementi differenziali, una sorta di distanziazione rispetto al disastro immane, richiamando osservazioni su fattori che, a suo avviso, avevano spinto verso la terribile conclusione del regime. In quella fatidica notte – osserva – “i nostri amici erano sospesi tra “dovere” e “rispetto”. Egli votò a favore dell’ordine del giorno Grandi che proponeva di deferire i poteri per le supreme decisioni al sovrano, esautorando Mussolini. Cioè la procedura che permise il cambiamento di governo e regime. Come è noto i firmatari di quel documento, considerati dall’ultimo fascismo come “traditori”, furono costretti a nascondersi per sfuggire alla condanna a morte sancita dai “tribunali” della neonata repubblica sociale. Emergono dal testo motivazioni interessanti, sotto vari aspetti, che appaiono però troppo generiche di fronte alla gravità di quanto avvenuto, anche se non può certo nascondere l’involuzione totalitaria e le sue conseguenze.

L’autore di questa recensione è stato titolare di storia dei partiti alla facoltà di Scienze politiche alla Sapienza negli anni ’50 e ’60, quando il prof. De Stefani, è stato preside di quella facoltà, e qualche volta ha avuto modo di chiedergli chiarimenti su certe scelte di politica finanziaria decise appunto dal primo governo Mussolini, a cominciare dalla prima riunione del 31 ottobre 1922, abrogante leggi approvate dal governo Giolitti nel ‘20 in materia tributaria, di nominatività delle azioni e di alta amministrazione, chiaramente rivolte a proteggere interessi ben determinati e in particolare a favore dell’alta finanza e della Chiesa cattolica. Era in effetti una evidente scelte di “classe”, stranamente sottovalutata dalla nostra storiografia.

L’ “esame di coscienza” che egli ha voluto lasciare ai posteri merita certamente rispetto, e bene ha fatto il prof. Perfetti a sottolineare il significato, specie per quella sua linearità di pensiero, a cominciare dal rapporto in merito all’economia liberale che De Stefani intendeva rafforzare mediante idonei interventi pubblici. D’altronde i temi principali dell’economia al tempo del fascismo mantengono, nelle mutate condizioni, un sapore di attualità. Il testo ora pubblicato contribuisce alla più precisa comprensione dello stato d’animo dei gerarchi del fascismo nella fase del crollo a cui quel regime, e quindi egli stesso, contribuì a condurre l’intero paese. Il libro costituisce una rappresentazione corretta di quella delicata e turbinosa pagina di storia patria.

 

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