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La trappola. Radici storiche e culturali della crisi economica (L’asino d’oro editore, Roma)

COME SIAMO CADUTI NELLA "TRAPPOLA"

Le ragioni storiche e culturali della crisi economica nell’analisi di Andrea Ventura
sabato 1 settembre 2012 di Carlo Vallauri

Argomenti: Economia e Finanza
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Andrea Ventura


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Alle origini della devastante crisi finanziaria che da oltre 5 anni ha caratterizzato l’economia mondiale – scrive Andrea Ventura nell’ampia e dettagliata analisi dei nostri mali presenti – c’è il sodalizio tra teorie economiche errate e il potere reale di potenze finanziarie dominanti. Lo sviluppo capitalistico aveva prodotto benessere materiale, ma in effetti era fragile il tessuto nel cui ambito si effettuava quella crescita. Così inizia il libro La trappola. Radici storiche e culturali della crisi economica (L’asino d’oro editore, Roma). E precisa subito l’autore che la trappola non è stata una sola. Infatti tramite percorsi storici diversi – e in parte anche “accidentali” – masse immense di persone erano uscite dalla povertà raggiungendo livelli di vita sconosciuti alle generazioni precedenti. L’arricchimento materiale inteso come obiettivo dei sistemi sociali sulla base di motivazioni di carattere trascendente e non più il dominio della razionalità come regola di comportamento, facendo smarrire il senso che solo la socialità può fornire all’esistenza umana: la crisi d’identità nella ricerca del benessere induceva infatti alla perdita del rapporto interumano come valore primario.

Come si vede dunque, una visione antropologica con influenza determinante sulla nostra vita; osservazioni che l’autore tiene a dichiarare di condividere, con un gruppo di persone, tra le quali Carlo Cafiero, Anna Pettini e Carlo Patrignani. Nel cristianesimo il lavoro – sostiene Ventura – è un attività volta ad espiare la colpa del peccato originale. E così giungiamo all’alienazione economica come frutto conseguente ad una alienazione religiosa. Come giustificare la contraddizione tra umana realtà terrena e quella che è ritenuta una “volontà divina”? Un lungo percorso che da Aristotele giunge a Tommaso d’Aquino: l’uomo si distingue dagli altri animali perché ha le mani, cioè agisce, è “libero di agire” anche se subisce gli effetti della condanna di Adamo. La Chiesa interpreta i voleri divini e stabilisce quali “opere” siano necessarie per espiare i peccati e ottenere i favori di Dio: le diseguaglianze appaiono quasi una legge naturale. Nel protestantesimo l’uomo è caratterizzato dal peccato e non vi è libera scelta, perché il destino è “predestinato”. Non è possibile peccare e riguadagnare i favori di Dio. Ecco perché i protestanti tengono a conservare una vita integra, impeccabile, Ma è la “ragione” che può consentire agli esseri umani di operare in maniera da procurarsi i beni terreni (Locke, Spinoza). Organizzare la società sulla base dei propri interessi, ecco “l’utile economico”, che diviene prevalente. Potremmo proseguire a lungo su questo sentiero che tende a spiegare da un lato la “divisione del lavoro”, dall’altro la formazione dell’ “uomo economico”. E Smith, osservando come il lavoro si è “parcellizzato” e specializzato, ne trae la conclusione che il mondo umano è come “una grande macchina”, la cui realtà conduce ad accettare la centralità dell’economia nella vita umana. Lo stesso mercato del lavoro consente l’accumulazione capitalistica, anche se i contadini sono stati depredati dei loro averi a causa delle norme imposte dai ricchi, dai proprietari contro i poveri.

E Ventura sottolinea come la stessa ricchezza delle città-Stato italiane derivava dal loro incardinamento nelle relazioni sociali in costante ascesa. La vita economica veniva vista come la realizzazione di una esigenza di origine religiosa: il credente lavora attivamente non per sé ma per seguire una volontà divina.

Secondo Lutero e Calvino, il lavoro è finalizzato a santificare la propria esistenza e il rapporto con Dio. L’ordine economico corrisponde ad una serie di attività che culmineranno nella libera iniziativa privata, con le sue conseguenze: diseguaglianze, imprese coloniali, violenza fisica e psicologica contro i poveri. Il proletariato è chiamato ad accettare le condizioni in cui è costretto a vivere. Così si spiega l’individualizzazione dei mercati. E’ stato poi Marx a spostare il tema dell’alienazione sul terreno dei rapporti economici di produzione che costringono i lavoratori ad una “condizione alienante”. La crescita tumultuosa dell’industria e conseguentemente della ricchezza, assieme alla concentrazione del capitale, si accompagna all’aumento della miseria, alla denutrizione, all’impoverimento della maggioranza della popolazione.

Non possiamo seguire l’autore in tutte le sue illuminanti pagine sullo sviluppo della vita economica e della lotta di classe. Marx ha spiegato come il prodotto del lavoro sia stato sottratto al lavoratore: l’uomo come “animale che fabbrica strumenti” (I libro del Capitale).

Lo studio di Ventura prosegue in una documentata e incalzante analisi sulla formazione del moderno proletariato come risultato di una duplice violenza, fisica e psicologica. “Legge di natura” è la ricerca dell’interesse economico individuale: nel mercato opera la “mano invisibile” della Provvidenza per comporre interessi solo apparentemente contrapposti: l’individualismo di mercato – osserva Ventura – si è formato a seguito di un processo interno al cristianesimo. Il proprio tornaconto, teorizzato dall’economia neoclassica, non è molto diverso dal buon cristiano approdato alla morale puritana. Ecco così individuate le origini di un certo modo d’intendere il mercato e le sue conseguenze. A questo punto dell’evoluzione economica giunge l’ipotesi di Marx con la distinzione tra strutture della sfera economica e una “sovrastruttura” definita nei rapporti giuridico-politici. Lo sfruttamento del lavoro è una realtà individuabile nella determinazione del valore delle merci attraverso la quantità di lavoro socialmente necessario a produrre. L’essere umano perde la sua essenza subendo l’alienazione, ma cerca di superarla con la formazione di una società basata su rapporti di convivenza più civile.

Le leggi di natura come conseguenza delle leggi di Dio: l’ “elemento cosciente” ha una funzione subordinata nella storia della civiltà. La tesi della mano invisibile, quale effetto di uno svolgimento storico retto dall’ “utilità”, che guida i nostri comportamenti, troverà nella svolta marginalista dell’economia neoclassica il suo perfezionamento. Pur non potendo seguire in questa sede tutti gli aspetti specifici del pensiero dell’autore, il modello dell’equilibrio economico generale – egli scrive – svela d’essere nient’altro che l’ “economia della truffa”: si glorifica l’efficienza del mercato ma assistiamo ai suoi fallimenti: “il mercato lasciato a se stesso funziona in modo efficiente, ma “ha creato le condizioni basilari per il disastro cui stiamo assistendo”. E’ venuto meno l’assioma di Keynes secondo il quale lo Stato deve svolgere una funzione di stabilizzazione del sistema che i mercati non sono in grado di svolgere. Le scelte politiche ed economiche degli ultimi 30 anni – da quando cioè è prevalsa l’idea della superiorità del sistema diffuso dalla massimizzazione del profitto (per tutti? No, per una parte solo della costruzione sociale) – hanno condotto alla condizione globalizzante che subiamo.

Così Ventura può entrare nel pieno della crisi attuale, innescata dal proseguimento delle scelte compiute in Usa e Inghilterra negli anni ’70. Una dinamica del capitalismo finanziario che ha squilibrato l’economia mondiale: la moneta Usa stampata senza limiti assicura a quel paese il finanziamento del proprio debito interno ed estero. La diffusione del benessere materiale come miraggio perseguito anche da chi aveva poco, condotto sul lastrico per aver preteso e speso troppo a vantaggio di chi ha conservato sempre il privilegio di decidere mediante comportamenti economici a cui gli “altri” sono costretti a subordinarsi.

Ecco il meccanismo perverso che ci ha travolto. La crisi finanziaria del 2007-8, guidata dalle scelte del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale: basti guardare al crollo dei paesi che ai due grandi Enti si erano affidati. Si spiega così come la liberalizzazione dei mercati abbia condotto all’arricchimento delle istituzioni e dei gruppi sociali meglio in grado di sfruttare le opportunità offerte della globalizzazione. Il crollo del 2008, innescato dalla bolla immobiliare negli USA e in altri paesi, viene così descritto nel libro nella sua immediatezza e complessità. Ormai il meccanismo è completamente innescato. E la fragilità delle strutture istituzionali europee ha accelerato il processo di avvitamento recessivo con la conseguente concentrazione del potere e della ricchezza, come avvertiamo ogni giorno. La crisi, quindi, è determinata dalla finanza, ma trae la propria origine da più complesse ragioni di natura antropologica, assistiamo alla sostituzione dei “rapporti con le cose” ai rapporti sociali, nei quali si era consolidata la possibilità – ormai svanita – di procedere ad un sistema produttivo diretto a soddisfare i “bisogni”, verso una autentica “realizzazione umana”.

Economisti, politici, predicatori televisivi si sono sbizzarriti nel cercare di rintracciare, oltre alle responsabilità per i “fatti” accaduti, l’eventuale preveggenza contenuta nella varietà di quanto scritto negli anni in cui l’attuale crisi covava all’interno delle nostre economie. Ebbene: Ventura tiene a mettere in rilievo come Enrico Berliguer abbia a suo tempo (1977) individuato nell’ “austerità” una forma di difesa (culturale e, in un certo senso, religiosa) della società dalla competizione distruttiva: non era una scelta, solo politica ed umana ma una speranza educatrice. Altrettanto valida, a suo avviso, anche l’indagine dello psicanalista Massimo Fagioli – negli scritti del 1972 ed ’80 – al fine di sviluppare una cultura capace di modificare il rapporto tra economia e cultura. Ed infine troviamo nel libro, a tal proposito, anche il rilievo alla proposta di Riccardo Lombardi – incalzato da una intervista dalle domande di Carlo Vallauri (1976 “L’alternativa socialista”, n. e. Ediesse 2009, con pref. di Bertinotti, nonché richiamata in un libro di Carlo Patrignani) – sull’esigenza di assumere, come basilare, il concetto di operare per una società “diversamente ricca”, grazie alla diffusione di un livello di sicurezza sociale quale effetto di una diversa scala di valori, al fine di condurre una concreta lotta alle diseguaglianze, punto di incontro, rileva Ventura, tra marxismo e cristiani.

Come si potrà constatare alle lettura dell’approfondito, originale ed interessante libro di Ventura, per resistere e reagire all’attuale disastro economico, occorre saper ritrovare un insieme di valori, che il capitalismo ha disperso nella arida materialità dei suoi effetti e delle sue pretese.

 

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