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Contro l’Unità d’Italia (edizione “Miraggi” -Torino, 2011)

L’INVENZIONE DELL’ITALIA E LA CRITICA DI PROUDHON

Nel 150° anniversario dell’unificazione
martedì 1 maggio 2012 di Carlo Vallauri

Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Pierre-Joseph Proudhon


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Tra i critici più tenaci contro la creazione di uno Stato italiano – anzi addirittura della “nazione” – fu, nell’ambito dei pensatori politici del tempo, il socialista Pierre-Joseph Proudhon. Vi era da un lato il “francese”, cui non andava a genio la formazione di una consistente unità in un grande paese vicino, dall’altro il “federalista” che riteneva più opportuno congiungere, in composizione federale, i differenti Stati della penisola, caratterizzati da eloquenti precedenti storici.

Tutto ciò traspare con molta chiarezza negli scritti dello scrittore ora raccolti dall’edizione “Miraggi” (Torino, 2011) nel volume Contro l’Unità d’Italia.

Si tratta di articoli pubblicati prevalentemente all’inizio degli anni ’60 dell’Ottocento, poco dopo la sfortunata impresa di Garibaldi all’Aspromonte. Come scrivono nell’Introduzione

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Antonello Biagini

e Andrea Carteny quel “Risorgimento” che si andava allora compiendo viene riconosciuto nelle sue motivazioni, ma Proudhon era nettamente contrario ad una vera e propria unificazione in quanto, a suo avviso, ne mancavano le premesse.

Egli ne faceva una questione di “principio”, in aperta e focosa critica anti-mazziniana, ricorrendo addirittura al detto di Machiavelli “i nostri nemici sono i nostri vicini” e tenendo sempre a ricordare l’aiuto determinante prestato dalla Francia per favorire la realizzazione unitaria.

Inoltre richiamava ragioni di politica europea onde assicurare un più sicuro equilibrio che, secondo Proudhon, sarebbe stato inficiato dalla formazione di una nuova grande unità territoriale. Ed in pro’ delle sue tesi, l’autore della “Filosofia della miseria” non esitava a denunciare la “borghesia italiana” che voleva una “unità governativa” a vantaggio della classe “che porta l’abito contro quella che porta il camiciotto”. A suo avviso la politica preconizzata nel 1820 da Mazzini (riconosciuto come “grande patriota” ma non certo “grande politico”) ha portato in Italia ipocrisia, tirannia, massacro, rovina.

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Andrea Carteny

Lo stesso Garibaldi viene criticato per non essere intervenuto in favore dei popoli balcanici in rivolta per perseguire invece la conquista di Roma, una città che viveva dall’elemosina della cristianità ma che era un “museo”, nient’altro.

Significativo peraltro il riconoscimento del bacino del Po, quale unica entità politica della penisola (l’antica Gallia Cisalpina). Sembra una evidente anticipazione “leghista”. Traspare di continuo in questi scritti il timore che l’Italia possa “colpire la Francia alle gambe” affondando “le baionette nel ventre”, mentre pretende di essere difesa dalla Francia.

Proudhon ritiene che “gli italiani, come i francesi, siano una mera “astrazione” e sostiene che sarebbe meglio dare all’Europa un segnale a favore del disarmo ed inasprisce i suoi giudizi affermando che la Sicilia è greca e che la lingua italiana è stata “inoculata con la forza”. Aggiunge “l’Italia per natura e configurazione è federalista” sin da prima della conquista da parte dei romani. Pierre-Joseph ProudhonLa Francia, a suo avviso, “ha diritto di porre delle condizioni” per dare ancora appoggio alle aspirazioni italiane. Seguono poi alcune osservazioni geografiche ed etnografiche per sostenere le sue tesi, fondate sul pregiudizio che “i veri italioti” costituiscono una “minoranza”: in Italia non vi è – aggiunge – “un nucleo di popolazioni autoctone” tale da determinare una “nazionalità”. Vi sono invece – tiene a precisare – “popolazioni di ogni provenienza, di ogni carattere, in fondo non esiste una razza italiana, è un’invenzione”.

Ed ancora: “l’Italia è anti-unitaria”: non vi è alcun “primo nucleo di ciò che altrove si chiama volgarmente nazionalità”. Inoltre Proudhon ritiene infondata l’aspirazione dell’Italia ad avere Roma quale capitale: per le sue tradizioni e le sue idee, come la sua geografia e le sue razze, l’Italia è in perenne antitesi con l’unità.

Le città sono federaliste. Il “calcolo” di unirle forzatamente appare quindi una costruzione arbitraria. L’illusorietà del progetto unificatorio così palesemente sostenuto sarà, pochi anni dopo – osserviamo – superata dai fatti.

Quanto ai movimenti politici vi sono solo “camarille” governative: ed in ciò forse non mancava di preveggenza, perché – secondo Proudhon – l’indicazione avrebbe provocato danni economici e la ricostituzione di grandi domini feudali.

Concludeva che l’Italia è divenuta unitaria per l’ambizione di pochi. Inoltre la condizione particolare della Chiesa in Italia è ritenuta una motivazione ulteriore per opporsi alla unificazione nazionale degli italiani. Ecco come si presentava l’avvenire del nostro paese, secondo un pensatore di livello quel’era Proudhon.

 

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