L’apertura degli archivi della congregazione per la dottrina della fede – sino al 1985 era il Sant’Uffizio – ha sollecitato uno studioso di alta qualità come Guido Verucci ad approfondire l’atteggiamento della Chiesa di fronte ai modernismo. La concentrazione del governo della cattolicità nella Curia romana, già indicava una sorta di “ricattolicizzazione del mondo moderno”.
Così a fine Ottocento i tentativi concilianti verso le nuove idee caratterizzano la diffusione di una lettura meno ostica dell’evoluzione della società in senso “liberale”. Mentre l’autorità ecclesiastica cercava di unire i fedeli contro ogni propulsione innovativa si sviluppa in Italia una serie di riviste che esprime una visione “autonoma” dell’azione dei cattolici, in particolare Romolo Murri con la “Cultura sociale”, mentre in Francia Loisy interpreta in senso eretico la stessa figura di Gesù, facendo rilevare che, al di là della fede, la “resurrezione” non è documentabile.
- Guido Verucci
Non poteva non derivarne una netta condanna di posizioni sociali, e con il nuovo secolo Pio X proseguirà sulla linea intransigente di Leone XIII, condannando libri storici e romanzi (di Fogazzaro) che metteranno in dubbio le “verità” consolidate.
Con l’enciclica “Pascendi” la condanna del modernismo è netta: non si può trasformare il cristianesimo in protestantesimo liberale.
L’ “evoluzione” della lettura del Vangelo non può che subire la più netta negazione. Non solo ma il movimento dei “laici” cattolici (Opera dei Congressi) viene sottoposto alla più dura restrizione: la “repressione” impone il giuramento antimodernista col quale si intende sottomettere tutti gli scrittori cattolici, tanto più che quella corrente acquistava larghi consensi. Soprattutto vennero severamente giudicati quei testi (di Buonaiuti come di Alfonso Manaresi) di laicizzazione della storia ecclesiastica, e vennero allontanati dai seminari i professori sospetti di modernismo, come una puntigliosa ricerca di ogni scrittore considerato pericoloso. Benedetto XV mostrerà tuttavia un maggior rispetto di personalità come Buonaiuti, il quale nel frattempo aveva partecipato e vinto il concorso per la cattedra di storia del cristianesimo nell’università di Roma.
Ormai la misura era colma e il grande studioso venne sospeso “a divinis”, ma, grazie all’intercessione del cardinale “romanista” Gasparri la condanna inflitta venne revocata, avendo l’interessato presentato il giuramento antimodernista. L’ulteriore irrigidimento nei suoi confronti arriverà nel 1921, procurando allo studioso un profondo dolore.
Verucci riferisce dettagliatamente sul duro percorso cui furono sottoposti altri studiosi, dalla condanna di Tommaso Gallarati Scotti alla censura di Luigi Salvatorelli. Papa Ratti cercherà di assicurare una “vera unità” religiosa nella Chiesa contro l’indifferentismo ed il “relativismo”. Intanto Buonaiuti veniva sollecitato a rinunciare all’insegnamento nell’Università, La “scomunica” era ormai avviata, mentre organismi ecclesiastici intervenivano presso le autorità civili dello Stato (fascista) perché non circolassero troppo i testi “puniti” dalla Chiesa.
Buonaiuti – che aveva rinunciato all’insegnamento per non pronunciare il giuramento questa volta imposto dal fascismo – non potè riprendere il suo incarico universitario perché lo Stato (ormai antifascista) in base alla norma del Concordato che non consentiva la presenza negli atenei di persone colpite da provvedimenti dalla Chiesa come quello inflitto allo studioso.
Sia consentito ricordare che la nuova “epurazione” suscitò clamore alla Sapienza, con ripercussioni negative nelle votazioni per le rappresentanze degli studenti universitari. La rilettura di questi eventi nelle splendido studio del prof. Verucci costituisce, a nostro avviso, una salutare conferma del ruolo “repressivo” esercitato da tante alte autorità della Chiesa contro la libertà di pensiero e di insegnamento.