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Al Cattolico perplesso (Borla, Roma, 2010)

CATTOLICI PERPLESSI ma non sulla "democrazia maggioritaria"


martedì 1 novembre 2011 di Carlo Vallauri

Argomenti: Politica
Argomenti: Religione
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Stefano Ceccanti


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Il costituzionalista Stefano Ceccanti si è reso noto ad un più vasto pubblico per i suoi frequenti (ma soprattutto) preziosi interventi nelle discussioni e polemiche sulle leggi elettorali e sui referendum. Cattolico di formazione e aderente al partito democratico (eletto senatore in Piemonte nel 2008) ha tra le sue qualità la rigorosa precisazione informativa con la quale partecipa agli incontri e scontri sulla delicata e complessa questione relativa alla crisi del nostro sistema istituzionale.

In questo nuovo libro egli entra nel vivo di una più delicata condizione politica, quella delle posizione di un cattolico italiano oggi di fronte alle difficoltà di fornire elementi validi per la formazione di una chiara concezione dell’agire nella società concreta, in un paese percorso ormai da decenni da sconvolgenti ondate di malessere profondo sulla nostra vita morale e pratica.

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Stefano Ceccanti-

Il suo personale apprendistato si individua in una forte impronta di quel pensiero cattolico moderno, intriso di una sincera laicità nel senso autentico e non partigiano della espressione, che si è sviluppato nel pieno della prima repubblica quando vennero al nodo le debolezze, le discrasie, le antinomie alle quali aveva condotto la partecipazione della D.C. al confronto politico diretto. Formatasi nell’ambiente degli studenti universitari dell’Azione Cattolica, egli avvertì il significato che veniva dalle prospettive indicate da Pietro Scoppola e alle quali diede un significativo contributo Paolo Giuntella. E quest’ultimo soprattutto intendiamo qui ricordare per averne seguito, benché da diverse collocazioni, le particolari doti che consentirono al giovane e scomparso protagonista di un movimento nettamente distintosi nel richiamare, con eccezionale carica umana di coerenza e nel contempo disincanto, l’esigenza della testimonianza di ogni giorno come unica prova della singola e attiva partecipazione ai valori storicamente determinanti rispetto ad una società formale ingolfatasi nella logica dei compromessi ad ogni livello politico.

Ecco allora risaltare nel Ceccanti scrittore quel senso di intima adesione ad una comunità che, ricollegandosi alla tradizione nascente da Sturzo cerca di rintracciare nell’amalgama confuso della nostra seconda repubblica, gli elementi significativi di una traccia e di una continuità religiosa trasparente nell’azione politica, donde la ricerca di richiami ed insegnamenti capaci di porre l’impegno diretto su una traiettoria nettamente definita. Una aspirazione a non disperdere il proprio “fare” in un attivismo di breve respiro.

Innanzitutto egli spiega come la fine dell’unità politica dei cattolici possa condurre verso la ricerca di una linea all’altezza di una scelta logica sul piano politico economico. Da qui un richiamo a concezioni nettamente distinte rispetto alle contraddizioni del capitalismo contemporaneo e alla crisi della democrazia italiana. Evidente il senso delle citazioni di Michele Salvati per richiamare l’esigenza del superamento di precedenti dinamiche per attingere a strumenti partecipativi internazionali ed interni basati sulla realtà del multipolarismo internazionale (e Antonio Cassese – precisa Ceccanti – ha fornito segnali in proposito con una chiara impostazione sul piano del diritto) come accadde per la questione del Kossovo che sollevò ragioni profonde di legittimità, personali di fuori della formale legalità come della consapevolezza del “limite” che la democrazia reca in se stessa nel momento della sua attuazione. E così l’autore passa dal “vedere” al “giudicare”. Oltre la cornice dello Stato nazionale sopravviene allora la democrazia, in quanto attuazione di comportamenti coerenti per evitare lo svilimento verso soluzioni totalitarie come avvenuto negli anni ’30.

Meno convincente a noi pare il ragionamento di Ceccanti sulla democrazia “maggioritaria”, quasi che per essere tale una democrazia debba essere necessariamente imperniata su una particolare tipologia di ordinamento politico-elettorale. Basti pensare alle esperienze delle due prime grandi democrazie (anglosassoni) quali guide necessarie perché da esse possano essere tratti altri modelli, ben lontani dai perniciosi consociativismi come da contrapposizioni irriducibili.

Tra le citazioni – innanzitutto “Dignitatis humanae” – oltre a Ratzinger (che di per sé – a nostro avviso – ricorda la condanna del “relativismo”, che invece di per sé è la condizione della democrazia), da notare J. Weiler (Un’Europa cristiana, 2003), R. H. Tawney (per “eguaglianza”), J. Julliard (Le choix de Pascal, 2008) mentre per S. Scatena (La fatica della libertà, 2003), oltre ai celebri Maritain e Mounier. Siamo così giunti all’ “agire”: è qui da sottolineare l’esperienza di Maria de Lourdes e Joacquin Ruiz Gimenez insieme a Scoppola, al cui magistero l’autore chiaramente si ispira. E così perveniamo all’apertura dei cattolici (di sinistra) alla sinistra politica, quindi la transizione in corso con tutto il rilievo morale e politico che tali posizioni implicano.

Un libro importante per rendersi conto dell’elevato livello di dibattito cui è pervenuta la sinistra cattolica (ma per chi ha convissuto da giovane – solo per questioni generazionali non personali – con la sinistra cattolica) adesso c’è da chiedersi quale valore debba attribuirsi al termine a “sinistra”. Appare una evocazione più “formale” che sostanziale.

Il cattolico “perplesso” può trovare, in ogni caso, in queste pagine un punto di riferimento, ed è il merito principale del libro.

 

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