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Berlusconi passato alla storia (Donzelli, Roma, 2010).

BERLUSCONI VISTO IN UNA PROSPETTIVA STORICA

Fattori oggettivi e soggettivinell’analisi di Gibelli
venerdì 1 luglio 2011 di Carlo Vallauri

Argomenti: Politica
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Antonio Gibelli


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Antonio Gibelli è un professore di storia contemporanea, i cui libri hanno una particolarità: egli studia uno specifico problema e, analizzandolo, riesce a valorizzarne aspetti che, trascurati da altri, acquistano singolari significati capaci di far capire meglio quella realtà, benché già ampiamente studiata, come è accaduto per un tema complesso ma già osservato da tanti altri angoli visuali, come “la Grande guerra degli italiani”. E adesso, nell’affrontare un argomento all’ordine del giorno degli italiani da ormai una ventina d’anni, offre originali prospettive d’insieme.

Così l’autore cerca di risalire alle origini del fenomeno, muovendo dalla “seconda rivoluzione televisiva”, iniziata alla metà degli anni ’70. Alla TV di Stato, improntata – egli dice – alla sobrietà e al decoro, si sostituì una interscambiabilità tra reale e virtuale, che ha finito per annullare la differenza tra le due sfere. La protezione di Craxi – è noto – ha favorito l’affermazione di una pretesa modernizzazione non solo televisiva mentre cambiavano gli scenari internazionali e all’interno l’erogazione di somme pubbliche e private in cambio di favori metteva a nudo debolezze e corruzioni, contro le quali l’intervento della magistratura dava luogo a processi che hanno messo k.o. i ceti governanti della prima repubblica. Per la fase di trapasso, puntualizza Gibelli, non bisogna scambiare le intenzioni dei protagonisti con le cause degli eventi. Nel corso della caduta dei precedenti miti è emersa una sovraesposizione di modelli di vita, di “esaltazione del diritto a fare i propri comodi”, con l’affievolirsi degli elementi di solidarismo e dei valori collettivi e il contemporaneo irrompere di uso smodato dell’egoismo. Ecco il quadro nel quale il berlusconismo ha avuto buon gioco con le sue promesse di “felicità a buon mercato”. Disorientato il campo avverso, il controllo di una parte rilevante dei “media” ha favorito la formazione di una egemonia che, attraverso la “fascinazione” e la “personalizzazione” della politica, delinea non una forma totalitaria in senso classico bensì una leadership portatrice di “degenerazione della vita pubblica e di tolleranza nei confronti delle pratiche illegali”. Non più quindi la prevalenza dell’interesse collettivo ma una spregiudicata tutela di interessi particolari, aziendali e personali.

Secondo l’autore, le “resistenze” a questo andazzo hanno dato vita a movimenti di contestazione (dai “girotondini” alla grande manifestazione romana del 5 dicembre 2009) mentre gli interventi degli organi costituzionali (esplicitamente della “Corte”) hanno svelato l’impossibilità di imporre una assoluta manipolazione dell’opinione pubblica. Si può ritenere che vi siano oggi “segnali sufficienti” di erosione del potere berlusconiano? Si assiste ad uno scollamento della stessa maggioranza che può condurre – si afferma nel libro –, insieme ad altri fattori, a far esplodere le contraddizioni, sinora ricomposte volta per volta dal cavaliere, il quale può sempre contare sull’appoggio del leghismo, espressione, al di là dello spirito carnevalesco, secondo una antropologa francese (Lynda De Matteo), addirittura di una impronta di “idiotismo” (concetto troppo generico per acquisire validità fuori dalla satira). Gli avversari, dal canto loro, anziché attrezzarsi per comprendere il fenomeno e fronteggiare i cambiamenti della società hanno cercato di recuperare i propri referenti sociali, senza considerare che i precedenti legami sociali si sono ormai frantumati.

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Antonio Gibelli

Ecco, a noi sembra, che proprio quest’ultimo è l’elemento principale sul quale si fonda l’alleanza sociale che ha rappresentato la base concreta e formativa della nuova maggioranza di centro-destra, “nuova” soprattutto perché del tutto inedita rispetto alle forze politiche uscite dalla Resistenza e dal patto costituente, ma spiegabile con il fallimento della politica compromissoria attorno al patto della spesa pubblica che, da metà anni ’70 all’inizio anni ’90, ha unito democristiani, socialisti e comunisti, come dimostra l’analisi delle votazioni parlamentari, la cui maggioranza era appunto costituita dalla convergenza dei tre gruppi nelle leggi comportanti spese (come rivelavano solo gli economisti del “Giornale” mentre quelli di sinistra si preparavano a convertirsi al neo-liberismo). Da questo esito infausto è derivato il debito pubblico che ancora attanaglia la nostra economia con tutte le conseguenze. Il carattere “craxiano” di quella fase è un precedente spesso evocato, ma era prevalentemente un aspetto di costume, mentre le variazioni autentiche e determinanti verificatesi riguardano invece soprattutto le strutture “materiali”, come dimostrato sin da allora da Claudio Napoleoni, e queste sono all’origine di quella “causa” ricercata dal prof. Gibelli.

La nuova articolazione della società, la prevalenza dell’interesse privato, la “metamorfosi” antropologica (sottolineata dall’autore), con l’aggravante in Italia della moltiplicazione dell’illegalità di massa, e delle distorsioni favorite dal lungo uso degli strumenti mediatici – sin dai tempi del conformismo pluridecennale praticato dalla Rai (forse l’abbiamo dimenticato?) – con l’aggiunta della disinvoltura cloroformizzante delle reti private, hanno dato corpo alle tendenze (e speranze, alimentate dai progressi tecnologici) di ogni cittadino di avere di “più”. Questi sono i fattori oggettivi che hanno caratterizzato la specifica realtà italiana rispetto ad analoghe vicende di altri paesi europei, con la differenza che da noi tutte le statistiche sociali e culturali confermano il declino iniziato a metà anni Settanta proprio per le ragioni indicate. Non effetto quindi di insidiose e tortuose manovre o dell’effetto esclusivo della presenza di un “un uomo solo” al quale si dà un ruolo (storico) ancora maggiore quando gli si attribuiscono tutti gli effetti di mutamenti epocali, tra l’altro in un percorso comune, in forme diverse, ad altre democrazie dell’Occidente, e che da noi si riveste dei caratteri specifici rilevati nel libro.

 

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