Fra le innumerevoli battaglie ideologiche capaci di coinvolgere le fondamenta stesse del nostro vivere civile, occupa certamente un posto di prestigio il binomio “culturale/naturale”. Sebbene sia meno famoso di altri, quali “destra/sinistra”, “in/out”, conservatore/democratico”, fino al recente “rock/lento” di celentana forgiatura, la coppia “culturale/naturale” ha profondamente segnato la direzione della storia e del pensiero arrivando a produrre vere e proprie contrapposizioni politiche.
Un esempio concreto di questa applicazione linguistica è stato evidentemente dimostrato a tutti gli italiani quando, a proposito delle unioni fra omosessuali e coppie di fatto, si è parlato di diritto naturale. Molti ricorderanno l’ex ministro Mastella difendere il matrimonio fra uomo e donna, proprio consegnando la sua primarietà all’essere “naturale”, e conseguentemente – secondo lui – esente da modifiche storiche e sociali. _ Se ci confrontiamo con personaggi storici probabilmente di maggior spessore, quali Rousseau, Robespierre o Burke, notiamo che questa diatriba non è affatto scontata e investe vari campi.
Durante il periodo della Rivoluzione e della Restaurazione, “la naturalità” veniva usata per sostenere da ognuno le proprie tesi. I rivoluzionari affermavano che gli uomini sono tutti uguali per natura, i conservatori che sono diversi per natura. Lo scontro ideologico delle fazioni si faceva fortissimo ed in ballo c’era non solo una vittoria dei concetti, ma quella nelle strade e nelle piazze.
- Domenico Losurdo
Come testimoniano gli interessanti libri del Prof. Losurdo dell’Università di Perugia (, Laterza 2005; Il Revisionismo Storico, Laterza 2002; , Laterza 2007), a queste contrapposizioni facevano eco la discriminazione razziale, i lager ecc., e il binomio natura/cultura otteneva ed ottiene ancora oggi il facile risultato di attecchire nell’immaginario collettivo di tutti gli strati sociali. _ Rousseau definì “uomo di natura” l’individuo libero dalla superficialità della civilizzazione e dalla sua violenza, e allo stesso modo Freud, nel “Disagio della Civiltà”, rifletteva su quanto la civiltà opprimesse e convogliasse forze istintuali altrimenti pericolose.
Senza entrare in dettagli che richiederebbero tempo e sedi più adatte, ci basti notare in definitiva la non naturalità del concetto di “naturale”, e la sua appartenenza nell’ambito opposto, ovvero “culturale”. _ Si tratta quindi di riscrivere meglio i termini del dibattito e suggerire un binomio “natura culturale/cultura”, rinnovando al lettore una maggiore attenzione all’uso conseguentemente mai “naturale”, ma politico che i concetti evidenziano.
Molti esempi possono sostenere la presente argomentazione; qui ci interessa soffermarci sul fenomeno sempre più diffuso dell’ecologismo e della slow economy in quanto si basa su un’accezione di Natura e “naturale” degna di analisi.
Si rifletta sulla recente manifestazione torinese promossa da Slow Food e collegata alla degustazione dei sapori tipici del territori, una kermesse che rientra nel più grande progetto di ritorno alla Madre Terra della naturalista Vandana Shiva, la cui nobile battaglia è documentata dal profondo impegno della stessa per una economia agricola umana, lontana dagli affari del grande capitale e di quanti violentano la Terra invece di amarla.
La soluzione ai problemi adottata dall’Indiana non è riassumibile in poco righe (Cfr. a proposito “Ritorno alla Terra”, Fazi 2009), ma certamente insiste su un ritorno ad un’epoca premoderna, dove il contadino viene venerato e la Natura santificata. Si insiste molto su una vita quasi tribale, ovvero legata ad un territorio con le sue usanze, un animismo diffuso e un culto del suolo esplicito.
Questo paradigma, come si è tentato di analizzare, non è scevro da implicazioni politiche che, a ben vedere, sono anche distanti dalla cultura di riferimento di questo movimento, eppure la Sinistra o una sua gran parte lo sostiene.
Considerare la natura come benigna non vuol dire esprimere una verità definitiva (che dire dell’idea di natura in Leopardi?). Giudicare la civiltà in termini fondamentalmente negativi non significa esprimere una valutazione oggettiva. La critica più corretta alle idee della Shiva non arriva da parte dei capitalisti, che l’accusano di idealismo e infantilismo, sbagliando.
Il vulnus della sua filosofia è nell’occultare che la scelta di definire la Terra originariamente benevola non è una constatazione oggettiva e “naturale”, ma storica.
Possiamo in definitiva domandarci qual è l’errore commesso e omesso: assolutizzare un concetto, destituirlo del fondamento storico e della propria origine sociale.
Ciò che viene proposto come naturale non è tale, e non essendo tale, la risposta a quesiti mal posti rischia di portare al naufragio di qualsiasi nobile causa o addirittura a politiche reazionarie, poiché negare la storicità della vita vuol dire assumere un atteggiamento metafisico, anche quando contro la metafisica ci si scaglia (e questo, a mio modesto parere, è il vero limite dell’ecologismo della Shiva e della sinistra italiana e internazionale a proposito).
Venerare l’età contadina, per fare un altro esempio, le tradizioni e la vita per difendere una età di immacolata innocenza, contrapposta alla nostra era corrotta, produce una lotta destinata alla sconfitta perché fondata su un’ idealizzazione di un mondo tutt’altro che innocente. Nell’amore per l’Italia contadina e per i tempi che furono da parte di molte persone - credo - ci si dimentica spesso della pellagra, dell’ignoranza, delle famiglie patriarcali e delle donne maltrattate, degli incesti ecc.
Ridurre questa complessa discussione in poche battute sarebbe scorretto, anche per aver citato dei grandi personaggi della letteratura e della filosofia. L’obiettivo finale della riflessione, tornando alle opinioni dei nostri cari politici, è raccomandare ad ogni lettore la massima prudenza, soprattutto quando a parlare sono certi personaggi, perché “chi vede un gigante esamini prima la posizione del sole e faccia attenzione che non sia l’ombra di un pigmeo” (Novalis, “Frammenti”, 1795/1800).