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Un raccontino di cronaca familiare

Lo sciopero dei leoni.

Purtroppo la scuola che insegna a fare i genitori non esiste!
giovedì 1 ottobre 2009 di Michele Penza

Argomenti: Ricordi


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Non ricordo nemmeno chi di noi due, se mia moglie o io stesso, ebbe a partorire una espressione così assurda, ricordo invece benissimo il come e il perché questo avvenne. In quel periodo i nostri quattro figli erano ancora piccoli, tranne il primo più grandicello, e stavamo ancora vivendo quella fase in cui si passa la giornata correndo trafelati, con la macchina chi ce l’ha, sui mezzi pubblici noialtri a quel tempo alquanto poverelli, per saltare dal doposcuola alla palestra, dalla palestra alla piscina, dalla piscina al campo di basket, poi a quello di calcio, poi all’ambulatorio della A.S.L. perché ce n’è sempre uno da riparare.

Chi ha cresciuto i figli sa di che parlo, è il periodo che non hai nemmeno tempo per respirare e le mogli sono come pile elettriche, cariche di adrenalina, ma in compenso si mantengono giovani e belle perché mangiano come lupi ma restano toniche e sode perché bruciano calorie come motori diesel. Per quel vai e vieni quotidiano così frenetico l’evento peggiore che potesse capitare per metterti i bastoni fra le ruote e mandare in tilt tutto il complicato meccanismo di spostamenti che si era riusciti a programmare per sei giorni alla settimana era, naturalmente, lo sciopero dei mezzi pubblici, e quelli erano anni in cui di scioperi dei mezzi se ne parlava una settimana sì e l’altra pure.

Venivano proclamati per una gamma infinita di ragioni. Potevano esserlo per solidarietà con una qualsiasi altra categoria di lavoratori, ciascuna delle quali regolarmente rinnovava il suo contratto di lavoro con un po’ di strepiti e di contrasti, ma non senza la rituale sospensione dei mezzi pubblici per dar un po’ di risonanza all’evento e renderlo più partecipativo. Si poteva scioperare poi perché transitava per l’aeroporto di Fiumicino qualche personaggio poco gradito, che magari veniva a salutare un’amica e il giorno dopo se ne andava senza neanche sapere che aveva messo in croce due milioni di persone, o magari si scioperava perché nel pianeta Mongo il cattivo imperatore Ming aveva imprigionato Gordon Flash.

La categoria dei tranvieri svolgeva quella che a Roma antica era la funzione cui erano chiamate le prefiche ai funerali degli abbienti: si lamentavano per conto terzi. Raramente capitò che protestassero anche per la loro busta paga, che in definitiva non era tra le più esigue, dati i tempi e considerato che i mezzi del comune erano quelli che tutti sapevano e non c’era tanto da spremere.

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Il suono stesso della parola sciopero era quindi sufficiente a far drizzare in testa a me lo scarso pelo, e a rendere fumanti le narici della mia consorte, in previsione delle complicazioni che ci avrebbe procurato, e cominciava a guastarci la digestione già con qualche giorno d’anticipo quando ne percepivamo l’annuncio. Ovviamente anche i bambini cominciarono a temere questa parola che aveva il potere di rendere i genitori nervosi e insofferenti prima ancora di manifestarsi: in quei giorni non venivano tollerati né capricci né bamboleggiamenti su cui in altre occasioni si poteva passar sopra.

Vedendoli così esemplarmente docili e comprensivi nacque in noi genitori, e mi assumo la mia parte di responsabilità, la tentazione di usare e di abusare di questo stratagemma. Ogni qualvolta si manifestava da parte loro una insistenza noiosa per ottenere qualcosa che non potevamo o volevamo concedere provammo a tirar fuori la vecchia storia dello sciopero. Ma sciopero di che se quello dei mezzi non c’era e loro se ne rendevano conto perfettamente? Qui si palesò l’assurda genialità dell’invenzione. Davvero non saprei dire quale fu la mente perversa che immaginò uno sciopero di leoni, ma l’accettammo insieme. Davanti a una simile boiata i bambini rimasero allibiti. Cosa volete che obietti un povero bambino, che non può aver letto Jonesco, a una scemenza simile? Paolo mi guardava sconcertato, annichilito dal dilemma se accettare il dato che suo padre era un idiota totale o sospendere il giudizio sui leoni. In fondo che ne sapeva lui dei leoni? Li aveva visti solo a cinema un paio di volte e gli erano piaciuti molto. I due piccoli si accodavano a lui allineati e coperti. Passò in giudicato il concetto che non si poteva avere un secondo gelato, non si dovevano comprare tutte le figurine del mondo, non si poteva andare a fare i compiti in casa dell’amichetta che abitava così lontano, non ci si poteva fermare nella piazza a rotolarsi nella neve, tutto a causa di un terribile, improvviso, generale (quanto inesistente) sciopero dei leoni.

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Mi capitò accanto in treno, nel corso di una visita alla comunità di Nomadelfia, il preside della facoltà di magistero della università di Roma e gliene accennai qualcosa. Lui veramente mi disse che dal punto di vista pedagogico meritavamo di essere legati a una colonna e fustigati a piacere dell’operatore, ma lo disse ridendo, e pensai che la ritenesse una sciocchezza ignobile ma innocua. Sapevo anch’io che era ignobile e tuttavia la trovai di una efficacia straordinaria.

I leoni sono tuttora alquanto popolari in casa mia. I miei figli, uno alla volta, sono diventati a loro volta genitori e ho la viva speranza che, constatando a loro volta quanto sia difficile esserlo, riescano compiutamente a perdonarci le nostre carenze e i nostri errori. Non può essere una giustificazione ma è un dato della nostra storia familiare il fatto che avevamo iniziato una convivenza libera e senza alcun impegno e dopo cinque anni ci trovavamo alle prese con quattro figli, e la conseguente necessità per la madre di abbandonare il lavoro per dedicarsi a loro. Bisognava perciò selezionare le necessità e stabilire delle priorità, e i leoni ci hanno dato una bella mano anche loro. Care le mie bestiole!

 

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