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AVVENTURE AL CINEMA: FESTIVAL DI ROMA 2017

Impressioni a margine del Festival
domenica 12 novembre 2017 di Marcella Delle Donne

Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Prime Cinema
Argomenti: Racconti, Romanzi


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All’Auditorium Parco della Musica di Roma c’è fermento, me ne accorgo andando alle prove di canto di Chorus, di cui faccio parte, il mercoledì e il venerdì. Nuovi padiglioni sorgono, allestimenti in grande stile. Si avvicina il 26 ottobre, inizio del Festival del Cinema Di Roma, che durerà fino al 5 novembre. Penso alle ingenti spese per un evento, nel quale, l’aspetto consumistico, appariscente, vanesio, è preponderante.

La sera di mercoledì 25 ottobre arrivo all’Auditorio alle ore 20, per le prove di Chorus.

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Il tappeto rosso in attesa dei VIP

L’allestimento appare rutilante al massimo, tra luci e percorsi obbligati (e preclusi), circoscritti da recinsioni di piante verdeggianti.

Ciò che colpisce ed evidenzia l’evento è il RED CARPET che ricopre l’intera area di accesso all’auditorio, sorvegliata dagli addetti al controllo d’accesso.

Ignara, metto i piedi sul red carpet. Vengo bloccata da un addetto al controllo che chiede in modo perentorio, (avendo capito che sono estranea all’evento): “Chi è? Dove sta andando?”. Intimorita, con voce sommessa, rispondo:” Sono una corista, vado alle prove”, l’addetto alza il braccio, con l’indice puntato mi indica un percorso fuori dal magico red carpet.

Andare al cinema di sabato è un’avventura

È sabato pomeriggio, sono sola. Decido per il cinema. Al botteghino del cinema multisala, chiedo un biglietto per il film Ammore e malavita, tutto esaurito. Decido per il film Victoria e Abdull, chiedendo un posto nell’ultima fila perché ho problemi di vista. “C’è solo una poltrona al centro” – mi dice l’addetto alla biglietteria.

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Il cinema LUX

Tergiverso, decido poi di entrare. “No, Signora. La poltrona al centro non c’è più. È stata venduta dal botteghino qui a fianco, mentre lei era incerta”.

Indugio, pensando ad un eventuale altro film. Il ragazzo addetto alla biglietteria, mi esorta con garbo “Signora, si decida, c’è una fila chilometrica”. Mi allontano delusa, ma non demordo per il cinema.

Più in là, a piazza Verbano, c’è un altro cinema. Il giorno prima, passando con l’auto davanti al cinema, avevo intravisto il titolo: Alice in città. Mi affretto con passo veloce, attraversando parco Nemorense.

La hall del cinema è piena di gente, penso sia un indizio positivo del valore del film. Al botteghino chiedo il biglietto per il film Alice in città. L’addetta mi guarda con sorpresa divertita: “Signora, Alice in città è il titolo di un programma del Festival del Cinema di Roma 2017. Oggi si proiettano due opere prime.” Chiedo lumi sui contenuti. Con gentilezza l’addetta alla biglietteria mi spiega che il primo film, un cortometraggio è un lavoro sugli immigrati, reclutati per la raccolta dei pomodori in Puglia. Il secondo film, è un giallo, che ha come il titolo Finché c’è prosecco c’è speranza. “Vuole il biglietto? Costa cinque euro.”

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Il cinema Admiral

Rispetto al qui pro quo su Alice in città, immediato è il mio pensiero “Vivo proprio fuori dal mondo...” Subentra poi nella mente il titolo balordo del film, che mi dà l’idea di un film di poco valore, peggiorato dal fatto di essere un “giallo”, come mi ha informato l’addetta al botteghino. “Alla larga dai gialli” mi dico, “con la suspense paurosa, aggravata da musiche ad hoc! Proprio un film che non è per me.”

Esco dal cinema tra lo stordito e l’infastidito, quando mi sento apostrofare da una ragazza: “Lei è la Professoressa Marcella Delle Donne della Sapienza?” Annuisco, “Io sono stata sua allieva, mi ricordo di lei e delle sue lezioni interessanti.” Le sorrido, e le parlo del mio disappunto per il film della serie “giallo”, dal titolo balordo e dal contenuto che presumo insignificante.

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Roberto Tenace

La ex studentessa mi rassicura sulla validità scenica e sul significato artistico e politico del film. Torno indietro, acquisto il biglietto e mi imbuco nella prima parte della fila, in attesa di entrare, per poter scegliere il posto in sala. A pochi passi vedo la studentessa, la chiamo, si avvicina e mi parla della sua situazione di lavoro, precario, che dura da quindici anni: “Ho lavorato come giornalista, freelance, correttrice di bozze nelle case editrici, attiva nel marketing per la commercializzazione dei prodotti cinematografici, sempre con la partita IVA, sempre in forma precaria, con retribuzioni insufficienti per una vita decente. Sono esausta.” Mi chiede se c’è qualche possibilità nell’Università. Io, senza pensare alla sua condizione di frustrazione psicologica, rispondo in modo tranchant: “No, all’Università sono chiusi, pressoché, tutti gli spazi, in particolare per i fondi di ricerca”. La informo che sto lavorando con una collega per un progetto di ricerca senza alcun supporto finanziario. Le do, comunque, il mio indirizzo email. La ex studentessa annota, poi con espressione triste e sconsolata si allontana. Non mi scriverà. Mi accorgo di essere stata dura e disperante.

Quando giunge l’ora di entrare in sala, mi precipito all’entrata per accaparrare una poltrona in ultima fila.

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Raccolta di pomodori in Puglia

Buio in sala. Il primo cortometraggio, Ghetto Rignano, del regista Roberto Tenace, mostra fatti noti. Il dramma dello sfruttamento in nero degli immigrati, quasi tutti provenienti dall’Africa, trattati come schiavi. Lavoro nella raccolta dei pomodori, dieci, dodici ore al giorno a pochi euro. Costretti a raccogliere cinque kg di pomodori al minuto, sotto una rigida sorveglianza, pena la cacciata dal lavoro.

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Raccolta di pomodori in Puglia

Che dire? Conosciamo dai reportage sui giornali e sulla televisione dello sfruttamento, ma assistere a uno spettacolo che mostra crudeltà e sofferenza senza vie d’uscita opprime la coscienza, mortifica la volontà di reagire.

Ed ecco il lungometraggio Finchè c’è Prosecco c’è Speranza del regista Antonio Padovan.

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Antonio Padovan

Prima dell’inizio dello spettacolo, il regista, presenta tutto il cast che ha preso parte al film, girato tra Conegliano e Vittorio Veneto, terra di vigneti, dove lui è nato. Il regista afferma che non ha avuto sovvenzioni dai produttori dei vini della zona, perché il film adombra l’uso di fitofarmaci nelle produzioni vinicole.

Inizia il film. Il contrasto con il cortometraggio precedente è assoluto. Disumanità, desolazione, paesaggi bruciati dal sole, sofferenza umana nel primo cortometraggio, condotto nello spirito della denuncia; soavità, poesia, arte nelle scene paesaggistiche; umanità e tragicità dei comportamenti nel lungometraggio condotto in una prospettiva positiva nei confronti del futuro.

Non racconterò il contenuto del film Finché c’è prosecco c’è speranza, tratto dall’omonimo romanzo di Fulvio Ervas. Invito per la trama a consultare Internet.

Io parlerò dei personaggi, protagonisti del film, delle scene, in una parola della regia.

Tre sono, a mio avviso, i protagonisti principali: il cimitero, il matto del paese, l’incanto dei paesaggi.

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Paesaggio

Il cimitero evoca di solito, immagini e pensieri lugubri, ma qui, il cimitero viene vissuto come un prolungamento del senso della vita, luogo evocatore di memorie, di connessione tra eventi del di qua, al fine di sbrogliare il bandolo della matassa rispetto a comportamenti umani, nel bene e nel male.

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Giuseppe Battiston
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L’attore Teco Cella interpreta "il matto del paese"

Per quanto riguarda il personaggio del matto del paese, spero di essere in grado di descrivere la tenerezza, l’innocenza del sentire, il candore, la modalità comportamentale del personaggio. Un comportamento bizzarro che cela il senso di responsabilità; la responsabilità di assumersi la colpa di delitti altrui, perpetrati per lavare infamie, disonestà, crimini contro la comunità di appartenenza. Un personaggio, che nelle sue stranezze, rispetto al politically correct, arriva a sciogliere i nostri cuori, in un processo di identificazione che sale in superficie dal nostro inconscio primigenio, infantile. Un personaggio, quello del matto del pese, di cui ci si innamora, magistralmente interpretato dall’attore francese Teco Celio.

Una valutazione positiva anche per la scelta e l’interpretazione degli altri personaggi: dall’ispettore di polizia che indaga sugli omicidi, un uomo un po’ goffo, se non imbranato nella vita di tutti i giorni, rispetto al suo collocarsi nel mondo, ma dal sagace acume nel condurre l’inchiesta, interpretato dal bravo Giuseppe Battiston. Una menzione all’attrice che interpreta la giovane ereditiera, (l’attrice Liz Solari), arrivata dalla Colombia, completamente estranea ai luoghi e agli interessi agricoli della viticultura. La giovane ereditiera pensa, in un primo momento, di disfarsi dell’eredità, vendendo villa e vigneti. Poi resta, sedotta dal fascino culturale e paesaggistico della zona, di cui si innamora, toccata anche dal goffo candore dell’investigatore.

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Paesaggio

Il terzo protagonista, ma primo per il fascino che emana, è il paesaggio. Un territorio tra Conegliano e Vittorio Veneto, risparmiato dall’urbanizzazione selvaggia, dall’aggressione edilizia. Il film cattura per le scene: lievi colli e dolci pendii ricoperti di vigneti si susseguono a perdita d’occhio, tra borghi, architetture campestri, vestigia di ville patrizie, testimonianze di un mondo antico che ancora sopravvive. Lo spettatore si ritrova avvolto dai colori, dai profumi, dagli odori dei vigneti del prosecco, che ricoprono colline e valli a ridosso dei borghi. Borghi fatti di piccole case e vicoli, dove ancora oggi è possibile ascoltare il passo del viandante. Nel susseguirsi delle immagini lo spettatore è immerso in un tempo lontano, quello delle prospettive naturalistiche dei quadri del ‘500 - ‘600, fino alle prospettive leonardesche.

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Paesaggio

Da questo punto di vista, la regia è magistrale, per i colori, dalle diverse tonalità di verde e oro del fogliame delle vigne, per le atmosfere sfumate da un pulviscolo nebbioso, per i tramonti luminosi entro nuvole dissolventi.

Quale impressione complessiva lascia il film, a schermo spento? Posso dire che si esce dal cinema riconciliati con il mondo, almeno per un po’. Il film riaccende un bagliore di speranza per il nostro paese: non tutto è perduto, finché c’è prosecco c’è speranza.

Che dire del regista? Antonio Padovan, un giovane di soli ventinove anni? Dire bravo è banale. Penso che anche lui sia una speranza. Una speranza per il futuro artistico del cinema italiano, oggi crisi di idee e risorse.

 

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