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Ancora l’Africa

Intervista ad Alfio Zappalà Segur

Ripreso da Scena Illutrata maggio 1986
sabato 23 giugno 2007 di Arturo Capasso

Argomenti: Mondo


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Negli anni ottanta seguivo spesso Italo Carlo Sesti, direttore di Scena Illustrata, nei suoi viaggi in Europa, quando si assegnava il premio internazionale “ I migliori dell’anno” Ero membro della giuria e toccava a me preparare le schede che riguardavano i vincitori.

Ebbi così l’opportunità di conoscere scrittori, giornalisti, pittori, musicisti e tanti altri di grande spessore culturale.

Rimettendo le carte a posto in questi giorni, ho rivisto il fascicolo di maggio 1986 della Scena Illustrata, con la mia intervista ad un medico che fu premiato a Cracovia: Alfio Zappalà Segur.

Gli argomenti trattati allora mi sembrano quanto mai adatti ad una rilettura.

D. Ha dedicato il suo ultimo libro ( La luna dietro il tamarindo) ai compagni d’Africa. Quali ricorda in modo particolare?

R. E molto difficile rispondere; sorgono nella mia memoria uniti, come certi marmi appena sbozzati nei quali sono già visibili i profili. Qualcuno, certo, posso averlo sentito più vicino per il suo carattere somigliante al mio; ma non credo ci fossero differenze Infatti, quando ci siamo rincontrati per congressi del Gruppo, la sola assenza di uno di loro mi ha sempre dato un senso di incompletezza.

D. Che cosa è il Gruppo Alfa?

R. E’ un’associazione di volontari nata sotto l’egida della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici, con il patrocinio del Ministero della Sanità. Ne fanno parte medici, paramedici, specialisti in varie professioni, enti pubblici e privati E’ apolitica e non ha pregiudiziali razziali o religiose.

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Alfio Zappalà Segur

I suoi scopi sono strettamente umanitari: aiutare sul piano delle esigenze igienico sanitarie di base le popolazioni del terzo mondo, attraverso le capacità professionali dei suoi membri. Raggiunge gli obiettivi su segnalazione dei soci o per contatti diretti con le Ambasciate dei Paesi interessati. In linea di massima sfrutta il periodo di ferie dei propri soci, inviandoli verso il Paese prescelto, dove si rimane per almeno un mese.

E’ un impegno umano e professionale per una medicina che non conosce frontiere. L’iniziativa del singolo e la sua fantasia sono le guide dell’attività in terra straniera. E’ una guardia medica permanente su scala mondiale, potendo intervenire tempestivamente con una équipe specializzata in tutti i casi di prima emergenza sanitaria, com’è avvenuto per i terremoti in Algeria, Irpinia e Turchia.

D. Africa fra razionalità, fede e superstizione...

R. Fra le tre, ritengo che la fede sia la meno importante. E’ una cosa che si può avere e non avere. che non va discussa e che serve solo a chi ce l’ha

Credo che è impossibile o inutile volerla inculcare in altri. Si dice che è un dono. Ovviamente sto parlando della fede come sentimento religioso.

In generale, senza una “fede” non credo sia possibile vivere per un uomo raziocinante. La superstizione è la fede dell’ignorante che non dista molto dal primitivo. C’ è anche una Europa che sta fra razionalità, fede e superstizione.

Comunque, quella che vale è la fede in noi stessi.

D. Come sono visti gli europei?

Dipende dai Paesi e dalle piaghe più o meno profonde che gli europei vi hanno lasciato. Sipho Sepamla, il poeta negro dell’Apartheid, dice: “Spero soltanto che l’odio e l’amarezza che abbiamo in cuore impieghino, per cancellarsi, meno anni di quanto io temo impiegheranno. A me sembra che dovranno passare dei secoli”.

Nel Centrafica, dove io sono stato, l’odio per i francesi esisteva; Bokassa lo aveva anche fomentato, non certo a torto.

Ma la posizione del medico è molto diversa ovunque, in particolare agli occhi di un primitivo, anzi direi più che mai agli occhi di un primitivo, dato il degrado della figura del medico in Europa, dove il paziente è chiamato anche “utente” A Bangui ho visto gente piangere alla nostra partenza e anche a qualcuno di noi spuntarono le lacrime. Sapevamo cosa eravamo obbligati non a lasciare, ma ad abbandonare.

D. C’è più spazio per l’apostolato laico o religioso?

R. Non saprei dirlo, né ho tanta esperienza per valutarlo. Direi che il laico troverebbe più spazio, ma ha i suoi rischi, la sua anonimia; il religioso, di qualunque confessione, ha una veste più o meno valida che lo garantisce.

D. Chi è il vero protagonista di questa storia d’ Africa?

R. Il medico, se sono riuscito a descriverlo chiaramente ad di sopra delle cose e delle fedi, ma non degli uomini.

D. Scrive: “E’ come se l’evoluzione si fosse fermata”. Perché?

R. Trentacinquemila anni fa l’Homo Sapiens-Sapiens è già presente sulla terra, ma l’età paleolitica, dice S. Moscati, finirà più tardi, verso i diecimila anni. Come è logico, non ci sono stati limiti netti, per cui da un giorno all’altro l’uomo non può avere cambiato indirizzo.

Fermi restando evoluzioni e progressi, ulteriori sviluppi delle capacità lavorative dell’uomo sono da interpretarsi come rotture; rotture col passato, da interpretarsi a loro volta come fatti dell’evoluzione stessa. In questo senso, in quella zona d’Africa dove queste rotture non ci sono state, è come se l’evoluzione si fosse fermata.

D. Si chiede: “Quando l’uomo è degno di chiamarsi tale”?

R. L’ Homo Sapiens-Sapiens è già l’uomo degno di chiamarsi tale. Il cranio di Cro - Magnon ce lo conferma perché appare strutturalmente identico all’uomo attuale. L’ uomo di Neanderthal è già scomparso, non sappiamo il perché: forse disadattamento, genocidio o altri fattori poco noti dell’evoluzione..

D. L’arte non ha mai subito alcun progresso...Aveva ragione Gauguin?

R. L’arte è stata inventata o scoperta dall’uomo per un salto di qualità, quando si è trovato a confrontare se stesso, il proprio Io, con l’ambiente che lo circondava. Fino a quel momento aveva adeguato se stesso alla natura, ora riesce a staccarsene riproducendola e la esprime già matura nel disegno e nella scultura.

Non è come l’arte infantile, che va dallo scarabocchio alla figura più o meno chiara. In questo senso nell’arte non è riconoscibile un “progresso”, cioè un passaggio da forme primitive e immature a complete e mature. Gauguin, con la sua ribellione e la sua arte, credo abbia voluto dimostrare proprio questo.

D. “Erano minoranze...fuggiti” Ci dica

R. A questo punto le citerei una mia poesia scritta in Africa:

“Da che cosa, frate, sei fuggito?
da quale amore, da quale odio
da quale piaga dell'anima
se ti nascondi e ti asciughi
a questo sole antico?
Hai trasferito l'amore, ma l'odio?”

Molti di quei frati, di quei laici, non torneranno più in Europa. Abituati a respirare aria pura, non quella che si respira da noi. La rifiutano.

Un autista della missione cattolica, che era laureato in chimica, mi disse: “preferisco la serenità dell’Africa alla babilonia della Milano dove sono nato” Tornò con me in Italia, per ripartire con moglie e figlio.

D. Non sono i solitari veramente liberi?

R. Le cito una frase di Leonardo: “Sarai veramente tuo quando sarai solo”.

D. In Africa vale più essere o avere?

R. L’essere, nel completo significato che gli dà Fromm, dovrebbe valere per un uomo, più di ogni altra cosa e non solo in Africa. L’avere, in quel continente, significa avere amore, fede in se stessi, serenità, coraggio.

L’avere come denaro ha un suo ineluttabile valore più per la comunità che per l’individuo, per sopravvivere. Se le missioni cattoliche, protestanti, mussulmane, non “avessero”, non potrebbero fare quello che fanno. Il singolo non può tornare vivo da quei posti se non ha dove appoggiarsi. Non si può andare all’avventura se non si sa dove si va a sbattere.

D. Quando non hai nulla da dare al tuo prossimo.

R. E’ una “sura” del Corano. E’ tanto chiara all’orecchio di un mussulmano quanto a quella di un cristiano che sia in buona fede e senza fanatismi.

D. Ma cos’è la fede?

R. Le “fedi” sono tante. La suora, da credente, ostenta e nobilita la sua. L’altra, quella del medico, è l’entusiasmo, l’amore per la conoscenza nella quale solo crede e “ne fa fede”, cioè lo dimostra, curando.

D. C’era la musica del vento...

R. Non saprei descriverlo altrimenti che come una musica, il vento che soffiava nella savana. Non l’avevo sentito mai in campagna, da noi. Non era il vento che fischiava fra le palme, ma il tam-tam delle palme sotto il vento. Potrei dire: una musica africana.

D. E’ saggio un uomo quando capisce le cose che altri capirono prima di lui?

R. E’ risaputo che vivere è bello, quando si sa leggere nella vita con entusiasmo e amore universale. Il saperlo già, potrebbe non far saggezza.

Se non erro, è anche una battuta degli studiosi islamici del Corano: “I cristiani saranno saggi quando capiranno quello che noi abbiamo capito prima di loro”.

D. Il bianco che crede di portare una civiltà, non altera un equilibrio eterno?

R. Nessuna civiltà, di qualunque marca si fregi, è stata mai portata per civilizzare, ma per sfruttare, sottomettere, umiliare. Vedi la conquista spagnola, se non dovessero bastare le altre.

Tutto, la fede stessa, se viene imposta non vale niente; se invece è offerta, forse può essere accettata. Il rischio di alterare un equilibrio esiste, ma nulla vi è di eterno, anche in Africa. Offrire, non imporre, consigli terapeutici, fra tutti i mali resta il minore e il più accetto agli occhi del primitivo quando non nasconde un fanatismo religioso o politico.

Ma bisognerebbe non andare e tornare. Bisognerebbe restare. E ciò è difficile.

D. Tornerebbe in Africa?

R. La sera che sono rientrato a casa ho detto a mia moglie: “Non mi vedranno mai più”. Ero avvilito, mi ero sentito semplicemente impotente contro tante cose. Ma l’indomani sarei ripartito, come partirei oggi, se mi chiamassero.

Del resto, se mi guardo dentro, mi accorgo che in quaranta anni di professione ho fatto veramente il medico solo in Africa.

 

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