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dei Carabinieri.

"NEI SECOLI FEDELE"

Pensieri
mercoledì 13 settembre 2017 di Michele Penza

Argomenti: Attualità
Argomenti: Opinioni, riflessioni


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Lo voglio citare perché è il famoso motto dell’Arma dei Carabinieri che qualcuno sembra aver dimenticato.

Le cronache di questi giorni sono segnate da un evento che ancor più che rabbia mi dà tristezza.

Il degrado della nostra società e lo squallore che la contrassegna sembra non debbano risparmiare più nulla e nessun ambiente, nemmeno quelli che finora erano i nostri punti di riferimento sicuri, quelli sui quali pensavamo di poter contare con certezza. La divisa militare non era solo un abito da indossare ma costituiva per tutti un simbolo, un concetto, che nell’immaginario comune camminava sempre insieme ad un altro concetto, quello di onore. Tutte cose che sembrano rimaste vive solo tra i malinconici ricordi di un vecchio come me.

Il caso ha voluto che qualche giorno prima del fatto cui mi riferisco, del quale il dato ormai scontato è che carabinieri in servizio abbiano compiuto sconcezze nell’androne di un palazzo di Firenze con due ragazze straniera ubriache, più o meno consenzienti il che non cambia granché le cose se la mente del soggetto consenziente è in qualche modo alterata, si è verificato pochi giorni dopo il mio ritorno dal Trentino.

Anche quest’anno ho profittato delle vacanze in Valsugana per una gita sul Monte Grappa ed al suo sacrario, che ha un forte richiamo per me che ho una ragione in più degli altri visitatori per andarci poiché tra i soldati del genio zappatori che scavarono nel 1917 i chilometri di gallerie fortificate che rappresentarono l’ultima barriera di difesa della pianura veneta dopo Caporetto, c’era mio padre che era allora un caporal maggiore di 21 anni.

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La cima del Monte Grappa

In altra visita di alcuni anni prima avevo avuto occasione di notare con sorpresa fra i nomi dei tumulati nel settore dei caduti austro-ungarici quello del soldato Matilde Ripach. Il nome è evidentemente femminile ma io ero convinto che nell’esercito imperiale e multietnico di Franz Joseph ci potesse essere di tutto ma sempre soggetti di sesso maschile.

Che ci faceva Matilde tra i Kaiserjager?

Me lo chiedevo. La qualifica era inequivocabile: ‘soldat’, non ‘infermiera o crocerossina. Certo, sappiamo che anche la Croce Rossa ha i suoi soldati ma sempre di uomini si tratta.

Mi era rimasta quella curiosità in mente che mi ha spinto, ahimè stavolta con grande fatica e sforzo, ad arrampicarmi affannosamente prima su un paio di tornanti e poi su una lunga scalinata per raggiungere la vetta dove quella tomba è collocata ed a cercare di nuovo quel nome fra tanti per trovare conferma.

Forse avevo letto male, forse ricordavo male.

Macchè. Non solo ho ritrovato Matilde ma cercando con attenzione ne ho addirittura trovato altre due: Ester Rupelli che dal cognome potrebbe essere nativa del sudtirolo e Sara Musec che è collocata tra i caduti cecoslovacchi.

A questo punto ho smesso di chiedermi il perché di quelle presenze e quali fossero le storie personali di quelle tre donne che lì ora giacciono per l’eternità, in luogo dove nessuno si sarebbe aspettato di trovarle. So chi sono e perché ci stanno.

Gente che quando è stato loro chiesto di affrontare sacrifici, sofferenze e pericoli per un interesse comune e condiviso non si è tirata indietro, non si è fatta raccomandare per un ‘altra sede meno disagiata, non si è fatto timbrare il cartellino di presenza da un altro soldato.

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Il sacrario del Monte Grappa

E in testa ai nomi di tutti gli altri seimila combattenti d’ambo le parti, che riposano pacificati sul Grappa da quando cento anni fa vi è squillato il silenzio io pongo questi tre nomi di donne che hanno accettato un ruolo di combattente di prima linea che a loro non competeva e che forse avrebbero potuto evitare. Sono certo che anche mio padre e i suoi compagni d’arme che combattevano contro di loro avrebbero condiviso oggi, e probabilmente lo facevano già allora, il senso di stima e di rispetto che esse m’ispirano.

Qualcuno dovrebbe spiegare a quei due Carabinieri che hanno insozzato la loro divisa che chi fa il suo dovere, e lo fa bene, è amato e rispettato dalla buona gente che anche dopo cento anni vuole ricordare un nome che è stato onorato, mentre quello di uomini come loro anche se ce lo diranno perché non è possibile nasconderlo ulteriormente cercheremo di dimenticarlo presto, perché già ci dà fastidio sapere che esistono militari del genere.

 

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