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Le allegre comari di Ferrara

Avventure estive
mercoledì 1 ottobre 2014 di Michele Penza

Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Racconti, Romanzi


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Me lo avevano preannunciato quel cataclisma ma al momento non avevo realizzato. ‘Se ti fermi anche per dopo Ferragosto conoscerai le vedove ferraresi. Tutti gli anni vengono in quel periodo.’ Così mi ha detto Doriana, la padrona dell’albergo dove trascorro anche quest’anno le ferie estive che ormai mi tratta come un vecchio amico, ma questa solenne annunciazione sebbene fatta nel tono di chi promette delizie inusitate e voluttà proibite a dire il vero non mi aveva sconvolto più di tanto.

‘Vedove? Ma di che età? Come sono? - ho replicato distrattamente senza farmi scrupolo della banalità delle domande. ‘Come vuoi che siano, sono donne che hanno più o meno la tua età: rugose, ciccione, qualcuna somiglia a un cilindro, qualche altra a un parallelepipedo, vedi tu, puoi scegliere’. ‘Doriana, ma che ti ho fatto? Siamo amici, ci vogliamo bene!’ ‘Mi arrabbio quando sento che cercheresti tette e minigonne fra le ottantenni’ ‘Non è vero, non cerco nulla, cercherò solo di scappare lontano, lo giuro’ ‘E sbaglieresti perché non sono quelli i loro pregi, ma ne hanno altri! Vedrai che ti divertirai un sacco lo stesso’. Sarà, pensai, ma non ero convinto.

Mi sbagliavo di grosso, aveva ragione lei. Tutto arriva al pettine nella vita e così è arrivato pure il Ferragosto e appresso a lui il gruppo organizzato di venti anziane giunte da un paese della provincia di Ferrara scortato da un gruppetto di quattro o cinque lumaconi di sesso maschile che avendo fatto da codazzo con le loro vetture al pulmino delle signore hanno spuntato il privilegio di aggregarsi alla loro tavolata e soprattutto alla loro convenzione con l’albergo.

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Levico Terme - Panorama

Una di loro si è trascinata appresso anche il suo ‘bimbo’, magrolino e pelato, prossimo più ai cinquanta che ai quaranta, dal quale non si stacca mai più di un paio di metri e che rimbrotta continuamente (guarda qua che ti sei sbrodolato tutta la camicia, e non mangiare tutto quel formaggio, ve’ che ti si alza il colesterolo!). A questo punto uno di quegli angeli venerandi commenta acidamente ‘sì, giusto il colesterolo si può alzare!’ fra le sghignazzate generali e il disappunto di mammà e bebè.

Come per un colpo di bacchetta magica l’andamento quotidiano dell’albergo che sino ad ora si è trascinato lento e sonnacchioso seguendo ritmi scontati e ripetitivi ne è stato stravolto, e persino la radio che finora ha accompagnato nel ristorante tutti i nostri pasti si tace sbigottita: non serve più, viene sommersa dal vocio scoppiettante. Sì, avevo letto qualcosa sulle donne di Romagna, mi avevano parlato del loro spirito irriverente, del loro temperamento effervescente così simile a quello del lambrusco, della gioia di vivere che sprizza dai loro comportamenti, ma altro è sentir dire altro sperimentare di persona.

Dopo una prima breve fase di studio reciproco e di timido imbarazzo ispirato anche a una certa prudenza, riscontrando che a taluni approcci dei citati lumaconi giudicati un po’ insolenti seguono risposte tali da lasciarli col pelo ritto e le zampe anteriori piegate verso il basso come i canguri, mi sono cautamente avvicinato a queste signore e devo dire che ne ho ricevuto grande disponibilità. Al dialogo, sia chiaro.

Le romagnole parlano tanto e volentieri, il problema è capirle perché tre quarti del loro eloquio è in forma dialettale. Non perché non conoscano l’italiano, lo parlano benissimo solo che la lingua non ce la fa ad esprimere compiutamente quel che hanno dentro, non sta al passo con la loro passionalità. Solo quel dialetto ci riesce. Ho conversato molto con loro e tutte in modo più o meno colorito mi hanno detto della loro vita. Qualcuna ha voluto confidarmi la sua storia personale e così ho cominciato a capirle meglio.

Ho iniziato anche a considerare da un altro punto di vista il loro aspetto fisico, sul quale avevo inizialmente condiviso battute banali con altri sciocchi come me, in un modo che a posteriori riconosco ingeneroso e volgare, dando spazio piuttosto a talune riflessioni sui motivi della loro bruttezza. Quante lenzuola, quanti pannolini di bimbi hanno lavato nell’acqua gelata, quante bracciate di fieno hanno sollevato quelle braccia deformate dall’artrite, quanti passi in giornate umide e gelide trascorse nei laboratori delle fabbriche, nei campi di mais hanno contato quei piedi, quelle ginocchia che il bisturi ha spaccato e sostituito con articolazioni di metallo massacrando gambe che sono state anche loro in un tempo ormai lontano suscitatrici e oggetto al contempo d’amore e di carezze?

Ho cercato dunque di parlare con quelle donne e soprattutto di farle parlare. Quando stanno tutte insieme sono compatte e impenetrabili come una testuggine di legionari romani ma prese una alla volta si concedono volentieri. Alla confidenza, sia chiaro.

Una notte sento verso l’una un chiasso incredibile nel corridoio. Urla, risate, richiami e lazzi in dialetto stretto che non mi rivelano il motivo della baraonda. Vorrei alzarmi per andare a vedere che succede ma dovrei rivestirmi e non mi va. Cedo quindi alla pigrizia unita anche a una certa prudenza. Vuoi vedere che hanno alzato il gomito e me ne dicono di tutti colori? Al mattino successivo alla prima che incontro chiedo che diamine stessero combinando a quell’ora e lei mi dice che è stata una di loro, quella che è sempre la prima gallina a cantare, la più vivace e spiritosa come anche la più vecchia di tutte, 91 anni, ad infilarsi addosso un pagliaccetto frufru, di quelli sexi che oggi si comprano su internet, e uscire in corridoio a fare il suo gran defilè dopo aver bussato a tutte le compagne.

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Quando costei mi capita a tiro le chiedo di parlarmi di sé, convinco (e ci vuol poco) anche tutte le altre a sollecitarla e mi rendo conto che andiamo a sturare un vaso di Pandora incredibile. Ores, è così che si chiama, ha fatto per una vita al suo paese la barista della Casa del Popolo, un posto dove tutti avrebbero voluto comandare ma essendo ovviamente la cosa impossibile si rassegnavano presto a rilassarsi e a bere senza rispondere di alcunché, e dove lei sola doveva lavorare essendo responsabile di tutto. Un lavoro in cui lei riusciva ad andare a dormire solo dopo che l’ultimo ubriacone aveva deciso che per quel giorno ne aveva fatte abbastanza.

Stuzzicata dalle amiche mi racconta taluni episodi significativi, circostanze che capitavano sempre in ore notturne mentre era sola, senza possibilità di soccorso e da lei animosamente affrontate e risolte con il suo indomito coraggio e la sua arma segreta, lo spazzolone brandito minacciosamente e armato di straccio inzuppato in varechina con il quale ha messo in fuga un paio di maldestri rapinatori, torme di ubriaconi vocianti e perfino punito duramente un esibizionista che ancora oggi, quando la incontra in paese, porta istintivamente le mani sul basso ventre fa una smorfia e poi scoppia a ridere assieme a lei. Questo il personaggio.

Si progettano due gite da fare nei dintorni. Siamo in Trentino e non mancano bei posti che meritano una escursione. La prima è programmata al lago di Molveno e l’altra sul Vezzena, un monte ai margini dell’altopiano di Asiago. Le gite sono organizzate dalla capogruppo delle vedove e naturalmente sono invitato anch’io, molto calorosamente e insistentemente. ‘Vieni anche tu Michele, s’intende, non puoi mancare!’ ‘Certo, vengo volentieri, grazie cara’. - rispondo - ‘Perché più siamo e meno paghiamo’, mi spiega la signora per chiarirmi meglio le idee. E scoppia in una gran risata. Queste sono le ferraresi.

Ed eccoci agli addii. Una di loro, Pina, una quintalata di donna che mi metteva in ansia quando roteava paurosamente nel salone ballando il liscio, mi abbraccia a nome di tutte ed è un abbraccio tenero ed affettuoso che scalda il cuore. Queste donne sanno manifestarti sentimenti e amore in modo semplice e diretto così come sono capaci di mandarti a cagare, se è il caso, senza pensarci un secondo. ’Addio, Michele - mi dice - è stato un piacere. Sono contenta di aver conosciuto una persona come te, un uomo che sa ascoltare’.

Addio Pina. E buona fortuna a tutte voi, amiche di Ferrara. Anch’io sono contento di avervi conosciuto, ragazze degli anni trenta che vi siete godute prima Balbo e Farinacci e poi per soprammercato hanno cercato di consolarvi con le Case del Popolo. Meritavate sicuramente qualcosa di meglio.

Se è vero, come è vero, che non tutti possiedono il dono di trasformare lo sport del sollevamento gonne in raffinata ed elegante opera d’arte è bene che la partecipazione a questo gioco resti almeno per tutti gioiosa e liberamente condivisa e non diventi un diritto-dovere del cittadino nei confronti di tutto il genere femminile, come ritengono debba essere certi signori. Vi sento vicine perché avete vissuto come me un tempo nel quale la lotta per la sopravvivenza era dura e pericolosa e in cui tante donne per varie ragioni sono rimaste da sole a battersi quotidianamente come leonesse per sé e i loro cuccioli.

Anche la mia, di donna, vi somigliava nel carattere. La sua storia era simile alla vostra ed è per questo che vi amo tutte. Certo, oggi non sarete più belle e attraenti come potevate esserlo una volta, vi vedo arrancare faticosamente con borse e valige e trascinare i piedi ma non ve ne dovete fare un cruccio: c’è un tempo per ogni cosa ma le più forti, le più brave siete ancora voi, senza confronto!