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I veneti sono tedeschi e non lo sanno!


giovedì 1 maggio 2014 di Michele Penza

Argomenti: Italia


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E’ accaduto. Si sono solennemente pronunciati in due milioni, o in centomila, fa lo stesso perché ce lo ha spiegato bene Pirandello che ognuno di noi può essere uno, nessuno o centomila, che hanno votato un referendum per optare tra la nazionalità italiana e quella veneta. Il risultato ahimè era scontato e finora solo la nota doppiezza italica aveva mescolato le carte sostenendo la tesi truffaldina che si potesse tranquillamente essere al contempo veneti e italiani così come ad esempio ci sono texani che sono pure americani o bavaresi che ammettono, forse a malincuore, di essere pure tedeschi.

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Finora i veneti erano stati pazientemente al gioco e tanti fra loro avevano esagerato nella compiacenza accollandosi persino l’onere di dichiararsi padani. Tre etnie in una sola persona, un vero record. Ma ora basta, l’ora delle decisioni irrevocabili è suonata. In realtà nessuno si è sognato di imporre loro una scelta ma se lo sono imposto da soli. I veneti sono veneti perché si sentono veneti, non italiani.

Ora vi stupirò. Quel che sto per dire sembrerà strampalato a qualcuno ma vi dirò che li capisco appieno. Io non sono quel che sembro cioè un vecchietto simpatico cui talvolta capita che sul tram qualche extracomunitario faccia il gesto di alzarsi per cedergli il posto. Io lo rifiuto sempre quel posto perché il mio vero animo è quello di un giovanotto, anzi quello di un giovinastro scapestrato, che sogna di giocare ancora a pallone e segnare tre gol di seguito, di afferrare un paio di Belen al giorno e dar loro una bella strapazzata, di fare marce in montagna lunghe decine di chilometri.

C’è qualcuno che osi pretendere di limitare la mia libertà di pensiero, che si permetta di azzardare l’ipotesi che si tratti di velleitarie fantasie e non di serena consapevolezza critica? E se anche volessi esagerare e dicessi che non sono in realtà nemmeno un essere umano ma la reincarnazione di un ceratosauro chi avrebbe il diritto di reclamare? Erano colossali rettili muniti di corna che dominavano la terra tanto tempo fa. Tale mi sento nell’intimo, e allora? Consentite sia a me che ai veneti di dire quel che ci aggrada e non ci rompete le scatole.

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Damiano Chiesa
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Cesare battisti
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Nazario Sauro
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Filzi

Solo un quesito mi pongo. Mi chiedo dove cominci e dove finisca il territorio che costituisce la allocazione dei ceratosauri in oggetto. Per esempio i trentini, come erano Cesare Battisti, Nazario Sauro, Damiano Chiesa, Filzi, che padani non sono ma parlano il veneto, son veneti anche loro o no? O forse lo erano e non lo sapevano? Nel caso perché nessuno glielo ha detto? Avrebbe loro risparmiato un sacco di guai! Dov’è il confine dell’Italia col Veneto, forse dove finisce la Valsugana e il Brenta esce dalla gola dei monti, sbocca in pianura e attraversa Bassano del Grappa?

Lo conosco bene quel posto. Ci vado ogni estate perché si trova a due passi da Levico dove vado a trascorrere qualche settimana. Ci vado perché da Bassano, dove trovo la mia grappa preferita, in mezz’ora si sale sul Monte Grappa. Lassù in alto c’è ancora intatta una galleria fortificata dove mio padre ha trascorso un anno della sua breve vita. Poco più su c’è la vetta dalla quale in lontananza si gode una vista meravigliosa su gran parte della pianura veneta ma se abbassi gli occhi e guardi a terra intorno a te vedi migliaia di croci. Circa seimila, credo, la centesima parte del totale che fanno seicentomila. Non dico riconoscenza ma un po’ di rispetto lo meriterebbero.

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Sacrario del Monte Grappa

Seicentomila italiani che ci hanno lasciato la pelle in Veneto e dintorni e ora venti ‘patrioti’ ci puntano contro un cannoncino per spiegarci quanto ci amino.

Comunque non è questo il problema: ciascuno ha il diritto di fare le sue scelte. Ma se nelle sue scelte coinvolge anche gli altri, e questo è il caso, costoro avranno anche il diritto di commentarle.

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I vecchi se non sono rimbambiti hanno memoria lunga, io ce l’ho. In gioventù, anni trenta e quaranta, vivendo a Roma incontravo veneti al mercato rionale dove vedevo spesso ambulanti vendere cucchiai e posate di legno intagliati da loro stessi a lama di coltello. Mi erano simpatici perché apparivano uomini semplici e diretti e non spocchiosi come quelli che oggi vedo e sento in televisione.

Alla stazione Termini, che per tradizione è sempre luogo di appuntamento per i forestieri vuoi per la posizione centrale che per la facilità di arrivarci con tanti mezzi di trasporto, di sera gli studenti e i militari andavano a dare la caccia alle ragazze venete che facevano le cameriere in città. Più tardi sono sopraggiunte quelle sarde e ora ci trovi gli extracomunitari e le filippine. E’ la turnazione dei poveri.

Altri veneti li trovavi nell’Europa del nord e facevano i gelatai. Incontrarli era una festa. Con un paio di amici a Monaco ho passato un paio d’ore a ridere e scherzare nella bottega di uno di loro.

Quello veneto era un popolo di agricoltori ma chi non aveva abbastanza terra doveva emigrare e infatti erano quasi tutti veneti i ventimila coloni italiani inviati in Libia, come veneti erano quelli che hanno bonificato le paludi pontine. Altri, tanti, in Argentina e in tutte e due le Americhe. Gente povera ma tosta, grandi lavoratori, poche idee ma chiare nella testa. Dove la vita li ha portati si sono fatti onore, tanto di cappello.

Poi le cose sono cambiate in meglio, per loro come per tutti. Il boom economico italiano del secondo dopoguerra li ha trascinati in alto. Il popolo dei contadini e dei gelatai è divenuto quello delle partite IVA, delle fabbriche, fabbrichine e fabbrichette nonché della evasione fiscale. In una parola sono arrivati gli “sghei” e i veneti pare che non si sentissero ancora così veneti. Comunque non si ponevano il problema.

E ora c’è la crisi, la maledetta crisi. La scarsezza di denaro, così come la ricchezza smisurata, incattivisce gli animi e rende peggiori gli uomini. I veneti che si erano, beninteso coi loro meriti, arrampicati più in alto degli altri italiani cadendo da maggiore altezza si sono fatti male e non l’hanno presa bene. Capisco il loro disappunto ma non la loro reazione. Ci sono tanti altri italiani che poveri erano e tali sono sempre rimasti. Che dovrebbero dire che si sentono lussemburghesi?

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In realtà mi sento combattuto da due sentimenti dei quali uno è l’amarezza e non sto a spiegarvi da cosa mi viene, e l’altro è la voglia di ridere per certi aspetti ameni della vicenda. La ruspa armata è veramente impagabile.

Mi confortano un po’ le parole di una delle mie nuore, fiumana, e di Gianni Mattei, un mio caro amico zaratino. ‘Noi non rinneghiamo la nostra identità italiana, non la buttiamo via perché l’abbiamo pagata non cara ma carissima.’ ‘Non credo ci possano essere dalmati tra quel branco. Non ci credo neanche se li vedo! Per noi il leone di S. Marco scolpito su tante pietre significava Italia! E non ti avvilire per quello che gli italiani mostrano di sé oggi - mi dice Gianni - Tu non conosci gli slavi! Guarda che a due passi da noi c’è tanto peggio!

Poi la butta in cagnara: Sai, mi sorge un dubbio. Vuoi vedere che hanno ragione loro e che essendo stati sotto i crucchi per tanto tempo lo sono diventati anche loro senza saperlo? Pure i crucchi ce l’hanno (però essendo più seri e coerenti ce l’hanno avuto sempre) quello stesso pallino: “Meinen Kakkien uber alles!”-