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È TORBIDA L’ACQUA DEL SARNO.

Racconto e considerazioni…..
lunedì 6 gennaio 2014 di Michele Penza

Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Racconti, Romanzi


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Di mafia ne parlano tutti, ma sempre secondo il nostro costume ufficiale che è quello di cantare solo mezza messa solenne, quella che ci conviene, tacendo quei salmi che ci disturbano. Così fanno pure, ahimè, magistrati e presidenti. Che peccato, però !

Don Gaetano M. quel giorno uscì di casa in ritardo per recarsi al lavoro. Era nero di umore e rispose appena alla moglie che lo salutava a mezza voce. Procedeva lentamente per la via che immette nella piazza centrale di Scafati, immerso nei suoi pensieri. Ogni tanto qualcuno gli abbozzava un gesto di saluto al quale lui rispondeva con un cenno del capo. Già, c’era chi salutava, ma parve a lui che più di qualcuno incontrandolo distogliesse il viso per guardare da un’altra parte.

Raggiunta la piazza l’attraversò e s’inoltrò sul ponte del Sarno. Si fermò un attimo al centro della campata, a fissare immobile la schiuma torbida e tumultuante del fiume che in quel punto si suddivide in tre canali, posti a livelli diversi. C’è sempre una scelta possibile per noi, si chiese, oppure siamo gocce trascinate nella direzione cui il destino le assegna?

Oltrepassato il ponte non prese, come di solito, la scorciatoia che costeggia il fiume, ma seguì la provinciale, che corre dritta nella piana verso Pompei. Non devono pensare che mi nascondo, quei fetenti!

Davanti allo spaccio del dopolavoro vide due biciclette in rastrelliera e sebbene fosse tardi volle entrare per vedere a chi appartenessero. Al tavolo del biliardo c’erano due giovani operai che vedendolo entrare scambiarono un cenno d’intesa. Senza finire la partita posarono le stecche sul tavolo, lasciarono cadere fra le bocce una carta da mille lire, bisbigliarono qualcosa guardando alla porta e uscirono. Il gestore non rispose. Gettò due tazzine sporche nel lavello di zinco e chiese “Il solito, don Gaetano ?” facendo scorrere l’acqua.

Don Gaetano non disse nulla, a conferma. Rifletteva. Dunque, a questo si era arrivati. Non lo rispettavano più, la gente pensava che ormai era caduto in disgrazia, e quelli che prima tremavano innanzi alla sua collera, giusta collera, perché non era di quelli che sul lavoro si incazzano coi dipendenti senza una ragione, ora alla sua vista volgevano il capo ostentatamente da un’altra parte. Il suo amor proprio sanguinava, maggiormente perché era la prima volta, a sessant’anni, che gli capitava una cosa del genere.

Un piccolo contrasto col direttore, nato da una sciocchezza, una divergenza di vedute su una questione tecnica di poca importanza nella quale al direttore era sembrato forse di cogliere nelle parole di Gaetano una sfumatura di irrisione, aveva fatto inalberare il superiore che gliela aveva fatta pagare con una serie di piccole sgarbatezze, punture di spillo, minime in apparenza, che però non erano sfuggite ai suoi nemici. Da allora aveva notato sorrisetti, alzate di spalle, risposte strafottenti alle quali in un primo tempo aveva cercato di non dare importanza e poi, constatando che la cosa perdurava, aveva reagito con durezza, senza migliorare la situazione.

E quest’ultima storia della multa? Il sabato non si lavora, però il direttore incarica sempre qualcuno dei suoi collaboratori di venire a fare un giro di ronda nei locali della fabbrica per controllare che tutto sia stato lasciato in ordine e non ci sia in giro materiale a rischio di deperimento. E`normale assegnare questo servizio mettendo a turnazione i collaboratori più giovani o coloro che non hanno impegni di famiglia nei giorni di festa. Affidarlo platealmente al commissario amministrativo è non solo inusuale ma uno schiaffo in faccia per un uomo che tiene al rispetto della gente. Don Gaetano si era guardato bene quel sabato dal presentarsi e così era scattata automaticamente la procedura della multa.

Una sciocchezza, l’equivalente di due ore di lavoro, che però, comminata al funzionario che gestisce la disciplina del personale e propone al direttore le punizioni e le sanzioni da irrogare, può suonare alle orecchie dei malevoli come una vera esautorazione. Come poteva quell’idiota non capire che facendo perdere la faccia a lui le conseguenze sarebbero ricadute anche sul lavoro, al di là delle persone stesse? Perché gli aveva fatto questo? Senza malizia?

Non ci poteva credere. Non era possibile! Un volpone come quello, che per il passato s’era sempre affidato a lui per ogni cosa, che per tanto tempo s’era adagiato sul suo impegno sempre inducendolo a svolgere il ruolo del cagnaccio che lo rendeva odioso a tutti ma tanto utile al servizio!

Ma era ancora interessato il direttore al buon andamento del servizio? Aveva ancora bisogno di qualcuno che svolgesse per lui il lavoro sporco, la parte ingrata della funzione di comando? E quelle voci che correvano sulla chiusura delle fabbriche di stato nel sud? L’ultima volta che se n’era parlato la gente era scesa in piazza e i carabinieri non ce la facevano a tenerla ferma.(Dica loro qualcosa anche lei, don Gaetano!)

Non poteva la sua vicenda personale segnare l’inizio di un disegno della direzione per cominciare a strangolare la fabbrica, pian piano, seminando confusione, svogliatezza, malumore. come se ce ne fosse bisogno? No, concluse, ciò che stava accadendo non avveniva per caso!

Don Gaetano finì di sorseggiare il solito caffè corretto al cognac e s’avviò verso l’uscio. Quel mattino gli era rimasto un fondo d’amaro in bocca ma forse era colpa del veleno che aveva in corpo.“ Buona giornata, don Gaetano” “ Buona!” rispose lui. Buona magari non sarebbe stata, ma da ricordare sì, meditava fra sé riprendendo il cammino. Guardò l’orologio: il ritardo stava diventando consistente. Un’altra lettera di diffida, si disse, con un sorriso amaro.

Ma ormai era arrivato. Svoltò per la via Diaz, ancora pochi passi ed entrò nell’androne della fabbrica. Senza timbrare il cartellino di presenza passò in cortile e lo attraversò puntando all’ufficio del direttore. Sulla porta c’era Caterina, l’inserviente, una povera donna mezza scema che stava passando lo straccio bagnato in terra.

“ Non si può, don Gaetano. Il direttore guarda ‘a posta. Dice che non vuole essere scocciato.” Don Gaetano non si degnò nemmeno di risponderle. Batté solo due volte il dito sulla cintura dove portava sempre infilato il cerca-persone, per significarle che era stato chiamato. “ E va buo` passate. Proprio mò!” Caterina scansò il secchio borbottando, girata a guardare le pedate che l’uomo lasciava sul pavimento bagnato. “Chi è? Perché non bussate?” gridò con voce irata il direttore sentendo aprire la porta, senza alzare il viso dalla posta che stava esaminando.

“Guardami in faccia, bastardo!” sillabò don Gaetano. Caterina lo vide portare la mano alla cintura, impugnare il cerca-persone e sentì sparare una, due, tre volte. Cominciò a urlare come una pazza e fu lo stesso Gaetano che si girò verso di lei e le turò la bocca con la mano, gentilmente. Poi, vedendola stravolta, la strinse fra le braccia e le disse “State calma. E’ tutto finito!

“Che avete fatto, don Gaetano!” singhiozzò la donna.

“L’ho fatto per voi. Ci ha tradito a tutti! E` stata legittima difesa! Ora vado in ufficio, oggi è giorno di paga e se non chiudo i conti voi i soldi quando li pigliate! Poi chiamerò i carabinieri. Caterì, nemmeno un fiato voglio sentire: tutti al lavoro e che nessuno tocchi nulla.” rivolto pure a quelli che accorrevano.

Nessuno osò replicare al capo, che era tornato in sella, alla grande!


L’unico commento che posso fare a questo racconto è che purtroppo è tutto vero: è realmente accaduto. Ero sul posto poco tempo dopo e mi colpì una cosa: tutti coloro con cui parlavo concludevano mestamente “Povero don Gaetano”. Nessuno mi disse “Povero direttore!”. Storia di qualche decennio fa, quando l’autorevolezza di chi esercitava il potere, sia quello legittimo dello stato sia quello alternativo, spesso presente al sud, dipendeva dal carisma della persona, dalla sua credibilità, dalla capacità di trasmettere ai sottoposti fiducia ma anche di suscitare un senso di appartenenza a un gruppo coeso, a una comunità con interessi condivisi. Attenzione: se ci fossero stati solo i ricatti e le lupare la mafia sarebbe durata 150 giorni, non 150 anni. C’erano anche soggetti che riuscivano a divenire punto di riferimento per tanti altri. Mi guardo bene dal tesserne l’elogio ma avendo riscontrato più di una volta che nell’interpretare e rappresentare il sentimento della gente riuscivano più convincenti i capi alternativi, mi pongo un paio di domande:

1° Le cose sono cambiate sostanzialmente dal tempo di don Gaetano?

2° E’ più colpa della gente, che indubbiamente scarseggia di senso civico ma abbonda di solidarietà di clan, o di una classe dirigente insipiente e spesso peggiore della mafia?