Nel corso della vita credo che ogni individuo si sia posto almeno una volta, nel bene e nel male, la seguente domanda: - Perché sono fatto così? -. Il quesito ovviamente non riguarda l’estetica individuale, anche se questo aspetto forse ci tiene impegnati fin troppo, ma è rivolto al nostro modo di essere, di relazionare, alle nostre reazioni e comportamenti, al carattere, alla sensibilità, cioè a tutto quello che noi mettiamo in gioco per perseguire i nostri obiettivi esistenziali.
- Solfatara
Si parte da lontano, il percorso è lungo, le connotazioni tante, ma prenderò in esame solo quelle che hanno caratterizzato la mia vita nello sport (dilettantistico) e nel lavoro, cercando di mettere in rilievo come le due cose si siano coniugate, esaltandosi vicendevolmente.
Ricordi della mia infanzia ancora vivi: mi rivedo, io ragazzo nato nel ’42, nei pressi delle fumarole della Solfatara di Pozzuoli durante la guerra, tra le corse nei ricoveri in braccio ai genitori, il rumore ovattato dei bombardamenti, il procedere dei soldati americani lungo la strada con i loro carri armati, il lancio di caramelle per la gioia di noi piccoli.
Ho vissuto in quegli anni sempre a contatto con la natura, nei campi che circondavano la mia casa insieme a tanti bimbi con i quali c’era un legame fortissimo. Come dimenticare i giochi nel cortile, le corse che non finivano mai, le partite con la palla di pezza ovunque ci fosse uno spazio disponibile, le gare in bicicletta e, d’estate, le nuotate per raggiungere la Torre di Pulcinella dalla spiaggia di Lucrino. Tutto avveniva in una natura incontaminata: alberi pieni di frutta, gare a chi si arrampicava più in alto, il sapore di quei frutti, mai lavati e oggi mai più trovati, l’acqua del mare limpida, i fondali sabbiosi, la pelle sempre abbronzata dai raggi di sole allora non dannosi.
- Il saluto ad Orlando prima della partenza per Rotterdam
La natura, la vita all’aria aperta, il competere lealmente ovunque ci fosse un traguardo da raggiungere, il senso della vera amicizia, i valori della famiglia, sono i connotati del mio essere e la guida della mia vita. Le attività sportive si alternavano agli studi ed era un bel problema giornaliero per i miei genitori farmi staccare dagli uni per farmi concentrare sugli altri: bisogna riconoscere che sono stati veramente bravi a gestire i miei tempi.
- Prima della partenza
Il trasferimento da Pozzuoli a Napoli, dalla vita a contatto con la natura al Vomero, modificò ambiente, amicizie, ma non i miei interessi. Ovunque ci fosse uno spazio libero, vialetto, piazzetta, strada in costruzione, con due pietre o due cartelle segnavamo la porta e.. via ad infinite partite di pallone! La motivazione era troppo forte e nulla ci fermava. Allora c’era il pallone superflex giallo: era un dramma perderlo o bucarlo, le paghette per ricomprarlo erano minime, quasi zero. Era un sogno poter giocare con quello di cuoio o fittare un campo e quando ci riuscivamo ci sentivamo tutti Vinicio o Pelè. Tra di noi, in strada, giocava un certo Pinotto, Giuseppe Wilson, poi divenuto calciatore professionista e capitano della Lazio ai tempi del primo scudetto con Maestrelli.
- Premiazione del vincitore
Potevo diventare un calciatore, un ciclista, un nuotatore, ma sono diventato un ingegnere, un manager d’azienda, con i geni della competizione, della lealtà, del lavoro di gruppo e dell’integrazione che una sana attività sportiva sviluppano e migliorano.
Borsista presso l’Istituto di Tecnologie dell’Università di Napoli, optai quasi subito per il mondo delle aziende di produzione che più si confacevano al mio carattere, sempre alla ricerca di sfide e con obiettivi perseguibili e con risultati certi e tangibili. Anche occupando posizione di vertice, prediligevo il contatto quotidiano con la realtà produttiva e la forza lavoro, a tutti i livelli.
- Squadra di calcio aziendale
Memorabili sfide per migliorare un impianto di produzione, per trovare soluzioni tecnologiche innovative per il lancio di un nuovo prodotto, per migliorare le condizioni di lavoro e di sicurezza, per far capire ai sindacati che la sana competizione non è prevaricazione ma vera costruzione del futuro.
Posso vantare un record: a quei tempi direttore di un’importante fabbrica del napoletano, con più di mille dipendenti, non ho mai subito un minuto di sciopero e, quando lasciai la direzione per altro incarico, il saluto più inaspettato lo ebbi dalle rappresentanze sindacali regionali.
Le persone se stimolate e motivate rivelano una forza ed un’incredibile capacità di realizzazione, ma in queste cose bisogna credere per sentirle e praticarle ogni giorno. Avevo coniato l’acronimo F.I.F. (Forte, Intelligente, Fortunato), mi era venuto quando qualche dipendente si giustificava per un ritardo ad una riunione, per un’assenza o per un mancato perseguimento. A loro spiegavo che per vincere una competizione, in qualsiasi campo, bisogna essere forti, intelligenti, ma anche un poco fortunati. Condividevano e mi seguivano: era emozionante.
- Con un gruppo di operai
Non ci fermavamo davanti alle sfide, anche le più complesse. Il mio caro amico e collega Orlando, che ha fatto una carriera super, a volte mi diceva “Savino non lanciare sempre il cuore oltre l’ostacolo”, non per frenarmi, ma per invitarmi a riflettere un poco di più. Io mi fermavo un attimo, riflettevo e ripartivo con rinnovato entusiasmo. Sono fatto così. E’ stato lo sport, che ancora oggi pratico a ritmi più blandi, a darmi questo mio modo di essere? Io penso di sì. I miei figli, dopo qualche giornata intensa passata insieme, mi dicono: - Papà, ma tu non ti stanchi mai? -. Io rispondo che è questione di allenamento, di ritmo costante, di porsi dei traguardi progressivi che vanno perseguiti tappa dopo tappa. Forza ragazzi, pronti a prendere il testimone quando sarà il momento!