Leggevo qualche giorno fa un articolo sul mondo del lavoro dei nostri tempi e mi ha colpito l’assenza totale di espressioni che dessero al lavoro la dignità che merita. Non si ha più memoria della famosa espressione “il lavoro nobilita l’uomo”, ma bensì si è radicalizzata una sua modificazione che recita “il lavoro mobilita l’uomo”.
Si parla di mobilità nel mondo del lavoro da diversi anni e tutti hanno teorizzato sul tema con posizioni molto contrastanti e risvolti controversi nell’ambito dei sistemi organizzativi delle aziende: l’obiettivo mirava ad aumentare l’efficienza, ridurre i costi del lavoro e creare altre opportunità.
- Chaplin
Ma la realtà che si vive oggigiorno ha dimostrato che l’applicazione selvaggia di tali strategie non ha migliorato né le condizioni lavorative, né ha aumentato i posti di lavoro, al contrario li ha ridotti drasticamente.
Negli anni ‘90, allora dirigente aziendale, ero orgoglioso di rappresentare l’azienda al top nell’applicazione dei sistemi di qualità, che miravano alla soddisfazione del consumatore/ cliente, con risultati conseguiti attraverso la partecipazione di tutto il personale in ogni settore. L’applicazione dei sistemi di qualità rappresenta la massima evoluzione dei metodi di lavoro, perché è l’individuo, con capacità ed esperienze polifunzionali acquisite, che si fa garante della qualità del prodotto finale. La formazione, la partecipazione e la motivazione erano gli elementi trainanti di questo processo. Quanti successi, quanta forza nel coinvolgere le persone, quante emozioni nel vedere il “meno capace” presentare un risultato o una soluzione!
- Senso di appartenenza
In quegli anni ci fu un netto miglioramento dei parametri aziendali, sia produttivi che relazionali. Si ebbero anche i più bassi tassi di assenteismo e l’incidenza degli infortuni sul lavoro si ridusse drasticamente, perché la forza della motivazione, della partecipazione è sempre un motore trainante formidabile. Far eseguire la mappatura delle possibili cause di infortunio di una macchina di produzione dal personale che vi opera, non da ispettori esterni, fornisce una più elevata possibilità di evidenziare rischi nascosti che solo gli addetti conoscono e, pertanto, possono mettere in risalto.
- Rispetto R. Sennet
Ma negli anni a seguire, sulla scia dei successi e dei risultati acquisiti, si è sviluppata la logica del profitto massimo che in sintesi ha comportato la concentrazione in siti produttivi più efficienti, con chiusura di altri, il trasferimento di attività in nazioni con costi più bassi, la mobilità interna è diventata esterna e la precarietà, con la consequenziale paura di perdere quel poco che si ha, è diventata la modalità di lavoro, in particolare per i giovani.
Il lavoro si è spersonalizzato, manca la dignità e si vive sempre nell’incertezza. Gli sviluppi di carriera si sono rallentati ed in molti casi azzerati. L’identità, il senso di appartenenza, la vicinanza al compagno di lavoro, sono valori che si sono persi drammaticamente. L’individuo si sente solo ed il turnover spietato lo isola sempre di più. La pressione psicologica esaspera e, sentirsi non parte dell’azienda, ma oggetto interinale, crea anche disturbi nel comportamento.
E’ indispensabile rivedere la logica del profitto massimo e rilanciare quella del cliente, non solo come soggetto che acquista, ma come colui che avendo un lavoro “sicuro” è in grado di acquistare e quindi di generare profitto.