È la vigilia di Natale, nel piazzale deserto appaiono un gruppo personaggi spaesati e unici, c’è chi regge la testina con la parrucca, chi trascina una valigia con l’abito di scena o un cilindro da frac avvolto in carta velina, è chiaro che si tratta di artisti vari con i loro attrezzi del mestiere.
Sullo sfondo s’intravede la vetrata di un albergo e l’insegna luminosa di una discoteca anni ‘80, qualche lampadina colorata ricorda una festa che è finita.
I protagonisti, Ginger e Fred, sono stati scritturati come ospiti per lo show di Natale di una televisione privata, sono molto emozionati per la serata, perché dopo molti anni dalla loro ultima performance, si ritroveranno per ballare insieme sotto le luci dei riflettori. Ciò che non gli è chiaro è che la tv li ha derubricati alla voce “materiale di varia umanità”, quindi necessari per far andare avanti l’ingranaggio spietato della televisione commerciale, riempiendo i buchi tra una pubblicità e l’altra, senza alcuna valorizzazione né da parte della regia né dal presentatore che pare più che altro un Banditore del Circo mediatico, ignorante e spietato. Prima che si vada in scena, nella sala del trucco, prima che cominci quella Fiera delle bestie ammaestrate, gli altri artisti si raccontano con le loro vite fatte di solitudine, ambizioni e aspirazioni piccole e basse, menzogne e confessioni improvvise, tutto il comico e il tragico mescolato assieme, esposto nell’attesa dell’entrata in scena.
Per Amelia e Pippo, Ginger e Fred, è diverso: un tempo era il loro talento a essere ammirato, a brillare sotto le luci dei riflettori, erano loro a emanare luce e la decisione di partecipare significa riannodare quel filo nascosto che aveva tessuto la trama della loro coppia artistica e anche intima, che sapeva emanare luce, a cui per l’età, per le convenzioni, Ginger ha voluto rinunciare lasciando Fred solo e ferito. Scopriranno la solidarietà umana, l’ammirazione di quelli che sono più che altro improvvisati e raffazzonati tuttofare che però sanno riconoscere l’arte che emanano e li aiuteranno ad attendere il grande momento. Balleranno e per un momento, il loro passo a due storico e saranno di nuovo insieme, come in quel tempo passato che non c’è più.
Irrompe la morte in quinta dell’Ospite d’Onore l’Ammiraglio/eroe che interrompe lo show, la sua commemorazione è una citazione al felliniano I Clown, girato nello studio 5 di Cinecittà, lì dove poi fu allestita la camera ardente del regista. Si separeranno di nuovo: “Perché Ginger e Fred non possono restare insieme?” chiederà Fred, Ginger risponderà semplicemente: “Non lo so. Federico ha voluto così”.
Considerato uno dei film minori del grande regista, è certamente il più emblematico in cui il regista riuscì a cogliere lo spirito della realtà, con ironia amara, più di tanti film veristi. La Guerritore ha saputo farne una sintesi teatrale efficace e altrettanto malinconica ed amara. Se all’epoca la rappresentazione della televisione fatta in termini così esasperati e beffardi appariva come una trasposizione felliniana di un ambiente controverso ma ancora stimolante, oggi palesa la profezia di come si presenta ai nostri occhi. Fellini irrideva il mondo della TV non immaginando, che il peggio fosse dietro l’angolo. Quei personaggi mostruosi e stravaganti, sosia, esibizionisti, questo circo inquietante rappresenta il travestimento della realtà che viene vomitata sugli schermi, con interruzioni pubblicitarie nevrotiche, un bolo disgustoso che il famelico spettatore è pronto a digerire.
Come ha dichiarato nelle note di regia Monica Guerritore: “È nell’osservazione di questo piccolo popolo, nella comprensione, nella partecipazione alle loro vite disvelate durante le ore di attesa, nella loro umanizzazione prima di essere usati come ‘caricature’ e spediti al massacro, che emerge la pietas che spinge Fellini a scrivere e dirigere Ginger & Fred.
Il mondo di Fellini è illusione e suggestione. La scena non descrive ma allude, indica uno spazio ‘altro’: le luci di una festa finita da tempo, le insegne di una discoteca riminese, l’Eden Rock. È quello il mondo che accoglie Ginger e Fred. E che ne racconta la fine”.
Teatro della Toscana, Accademia Perduta Romagna Teatro, Società per Attori
Presentano MONICA GUERRITORE, PIETRO BONTEMPO
GINGER E FRED
di Federico Fellini, Tonino Guerra, Tullio Pinelli
con (in o. a.)
Alessandro Di Somma Mara Gentile Nicolò Giacalone Francesco Godina
Diego Migeni Lucilla Mininno Valentina Morini Claudio Vanni
scenografia Maria Grazia Iovine
costumi Walter Azzini
coreografie Alberto Canestro
light design Pietro Sperduti
regista assistente Leonardo Buttaroni
direttore allestimento Andrea Sorbera
adattamento e regia MONICA GUERRITORE