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Hong Kong, ieri un paradiso, oggi moderna e frenetica

Un consiglio: viaggiamo in Italia o in Europa dove ci sono tante bellezze da scoprire e dove palpita una cultura insuperabile
martedì 17 marzo 2009 di Giacomo de Antonellis

Argomenti: Mondo


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Do you like Hong Kong? Of course, if we are talking about the old Island! Oggi è tutto un altro discorso. Metropoli modernissima, cementificata fino all’assurdo, dotata di infrastrutture e trasporti d’avanguardia, traffico intensissimo ma con divieto di sosta lungo la maggioranza dei marciapiedi, parcheggi sotterranei a migliaia, corsie differenziate per biciclette pedoni e veicoli, strade brulicanti di persone-formiche, vita senza tregua per 24 ore al giorno, Hong Kong ha una densità demografica terrificante, tra le più alte al mondo (circa 6500 abitanti per chilometro quadrato: in Italia, e crediamo di essere in tanti, nello stesso spazio siamo in media sui 200 cittadini).

Xiāngǎng o “Porto profumato”, i cinesi denominavano da quasi un millennio questa isola del Mare meridionale e il nome veniva conservato anche dai britannici dopo l’acquisizione a metà Ottocento quale preda per la Guerra dell’oppio. C’erano tutti i presupposti: panorami incantevoli, selve fitte e ondulate con tanti animali esotici, clima subtropicale ma sopportabile (nonostante il caldo stagionale e la perenne umidità), pesca abbondante e rifugi sicuri dai tifoni per navigli di ogni stazza. Colture, giardini e fiori in ogni angolo del territorio principale e delle sue 234 isole sparse lungo le coste cantonesi. Un autentico luogo paradisiaco al punto che persino l’area riservata al riposo dei morti europei era appellata Happy Valley, ambito spazio per l’eterno riposo.

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Su questa incantevole terra cresce una pianta originale, la Bauhinia blakeana (il nome deriva dai botanici svizzeri, Caspar e Jean Bauhin che nel Cinquecento ne studiarono e la classificarono in base a esemplari riportati dai missionari in Italia) che produce un fiore purpureo a cinque petali preso a emblema di questa città, da dieci anni di nuovo sotto la sovranità della Cina Popolare. Una regione autonoma, anzi separata, come la vicina Macao. Gli europei entrano in Hong Kong soltanto con il passaporto ma devono richiedere il visto per Pechino o Shangai. Per raggiungere Canton i cinesi devono avere un documento speciale per superare la frontiera: e se sono in automobile sono costretti a cambiare corsia e mentalità di guida, dato che in Cina si usa la destra come la maggior parte del mondo, ma nell’area di Hong Kong vige ancora la britannica sinistra.

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Hong Kong affascina e terrorizza, se vogliamo. In pochi anni l’Amministrazione ha costruito autostrade cittadine, dieci linee di metropolitana, tunnel sottomarini tra l’isola e la terraferma, lunghissimi ponti tra i Nuovi Territori e Lantau ove si trova il nuovo aeroporto, per non dire dell’efficiente e precisa rete di traghetti, autobus e taxi a prezzi stracciati (per gli occidentali). Ma ha lasciato costruire anche migliaia di grattacieli, stretti e alti come sigari, su suoli ricavati dal mare e sulle colline impervie, assolute sfide al senso dell’equilibrio e alla natura, compresi i terremoti peraltro poco frequenti in questa area.

Molta parte delle antiche vestigia resistono al furore dei tempi. I templi (alcuni restaurati di recente) resistono in mezzo a selve di palazzi e di scritte pubblicitarie. Il verde pubblico occhieggia con dignità tra strade e supermercati. I musei non mancano, e spesso servono a ricordare un passato scomparso attraverso ricostruzioni scenografiche dell’era coloniale quando i diavoli bianchi e i coolies convivevano tra vicoli, case, magazzini colmi di ogni merce, moli, giunche. Persino il tram-funicolare che raggiunge il maggiore belvedere di Hong Kong, ha trasformato il suo terminale da balcone panoramico in una Peak Tower a dieci piani ove ristoranti e negozi si contengono sciami di turisti. Appare dunque ovvio che il popolo delle barche sia diventato invisibile: abbandonati i bacini di Victoria e di Aberdeen ha preferito trasferirsi in baie più tranquille.

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Questa frenetica city of life possiede ormai altri luoghi abituali. I centri commerciali inseriti in ogni grattacielo della città sono sempre affollati di clienti, gente locale in maggioranza. Le stazioni della MTR (Mass Transit Railway) – vastissime e pulitissime – si sono moltiplicate, e tutte hanno pianificato il cemento nel sottosuolo per apparire luoghi di transito ma all’insegna commerciale: gallerie zeppe di griffes globalizzate con offerta straripante di tessuti scarpe e gioielli. Il regno dell’effimero: resta un mistero come facciano a sopravvivere.

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Se lo shopping è ormai un affare universale, la cucina è arte tipicamente cinese. Pare di essere negli Stati Uniti: si mangia a tutte le ore e in ogni angolo della città, a prezzi generalmente contenuti salvo un giro di raffinati, dagli hot dogs ai piatti da gourmet. Sono oltre diecimila i ristoranti con cucine di tutto il mondo, dall’olandese alla sudafricana, dall’americana alla giapponese, senza contare i chioschi di bevande e di alimenti cotti. Per conoscere i sapori più genuini della ristorazione locale, la prima cosa da fare è di abbandonare l’atmosfera ovattata dell’albergo. Sempre che il proprio palato sopporti l’uso abbondante di aglio, aceto, salse, fritture. Tutto è commestibile in mille versioni: pescato di ogni genere, carne di maiale, anatre e oche, agnello e montone, uova, fagioli, riso, zuppe, foglie di loto ripiene, ravioli al vapore, persino pizze all’taliana (da sconsigliare vivamente). Chi ha tempo libero e voglia di approfondire la cultura locale può immergersi nei dim sum, contenuti in cestini di bambù o semplici piattini, che variano tra una moltitudine di stuzzicanti pietanze accompagnati da thé.

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Girando per Hong Kong – purtroppo, anche in molti altri posti del mondo – si ha la sensazione di una città pagana, indifferente al senso della religione. Pochi i templi tradizionali, nascoste le chiese cristiane, introvabili le sinagoghe. In bella vista è invece la Moschea di Kowloon lungo la Nathan Road che è l’arteria principale dell’area peninsulare: ad essa è annessa un Centro islamico con funzioni culturali e promozionali. Definire atei i cinesi è tuttavia falso. La loro religiosità fa perno sul culto dei morti e sulle previsioni del futuro: ecco il motivo per cui uno dei commerci locali più diffusi è fornito dall’incenso e dai bastoncini. Questi ultimi si prendono in blocchi numerati e, davanti alla divinità prescelta, si scuotono ritmicamente finché uno di essi cade; quindi si ricorre ad un indovino “patentato” (sono presenti in ogni luogo sacro taoista o buddista) per ottenere la giusta interpretazione con un lieve esborso di moneta.

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In tema di religiosità, però, c’è un angolo italiano che ci esalta: il Pontificio Istituto Missioni Estere che di recente ha celebrato i suoi 150 anni di presenza in Asia; tra i primi sacerdoti giunti su queste terre c’era anche il lombardo Timoleone Raimondi, per lungo tempo arcivescovo di Hong Kong. Oggi il PIME, che ha una bella sede con vista su Clear Water Bay, conta circa trenta sacerdoti con giurisdizione su numerose parrocchie della regione.

La nostra comunità è ridotta ma molto attiva. Oltre a due associazioni che riuniscono gli uomini di affari e le donne, va messa in risalto la Scuola italiana Manzoni ospitata nei locali del Liceo francese che mantiene viva la lingua tra i figli dei connazionali studenti nelle istituzioni locali e quindi portati a parlare soltanto inglese o in pochi casi il cinese.

Volete conoscere il mondo frenetico dell’era moderna? Non c’è bisogno di andare a Nuova York. Vi aspetta Hong Kong, una città che ha almeno il pregio di essere a buon mercato, se si sceglie una vita semplice e non si vada negli alberghi all’occidentale.

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Un consiglio: viaggiamo in Italia o in Europa dove ci sono tante bellezze da scoprire e dove palpita una cultura insuperabile.