Attualità di un sacerdote lombardo confinato in un’area contadina ma conosciuto in tutto il mondo per raffinatezza di scrittore, per profondità di giudizi, per senso di giustizia, per amore verso i “lontani”.
Chi si è accorto che sono passati cinquanta anni dalla scomparsa di don Primo Mazzolari? Eppure mezzo secolo dovrebbe significare qualcosa. Certo, la concomitante Pasqua e la trepidazione per l’Abruzzo terremotato hanno influito a sviare l’attenzione del mondo culturale e religioso ma ciò non giustifica tanta trascuratezza nei confronti della pubblica opinione.
Un silenzio generalizzato è calato su
questo straordinario sacerdote (Boschetto di Cremona, 13 gennaio 1890 – Bozzolo, Mantova, 12 aprile 1959) che ha tanto amato la Chiesa e la cristianità: ridotti i ricordi giornalisti, nessun convegno celebrativo (per la verità se ne prepara uno per la primavera 2010), scarsi i pellegrinaggi in terra di Bozzolo (soltanto il segretario del Pd si è recato presso la tomba del sacerdote padano, ma il benemerito gesto di Franceschini possedeva spiccati connotati politici).
Personalmente mi sento in colpa. Per due ragioni. La prima riguarda il quantum che ho ricevuto dal suo insegnamento. La seconda attiene alla sfera degli affetti ambientali, avendo a lungo frequentato quell’ambiente sulle sponde del Po. Non ho fatto in tempo a conoscere questo profetico Uomo, ma mi sono alimentato alla sua fonte attraverso l’amicizia con un fedelissimo discepolo: don Piero Piazza, uno dei dodici ragazzi entrati in seminario e divenuti preti grazie al suo coinvolgente carisma.
- Cicognara
- Santa Giulia
Don Piero aveva seguito passo passo le vicende del maestro assumendo la parrocchia di Roncadello Po, a un passo da Cicognara e dalla stesso Bozzolo, mitiche località della pastorale di don Primo. Infine, una volta ritirato in pensione, aveva creato la Fondazione Mazzolari per onorare e mantenere viva la memoria. Un ente al quale sono orgoglioso di aver cooperato in svariati ruoli con gli amici Arturo Chiodi e Mario Pancera, e che ancora oggi prosegue il suo cammino pubblicando libri, audiovisivi e la rassegna di Impegno.
- Roncadello Po
Per i più giovani e i più distratti conviene spiegare chi era questo favoloso don Mazzolari. Prete in giovanissima età, attento alle idee moderniste e impegnato nella ripresa politica dei cattolici prima della grande guerra (nella quale moriva il carissimo fratello Peppino), arruolato nei servizi sanitari, poteva sviluppare la propria pastorale soltanto a conflitto ultimato. Nel “diario” egli annotava: “Ritorniamo sacerdoti, nel più largo e nobile senso della parola, benedicenti ad ogni opera buona, ad ogni progresso, cooperatori e fattori di giustizia e carità, tolleranti e illuminati”.
- I luoghi di don Primo Mazzolari
Nel contesto contadino viveva appagato. Nella sua “pieve sull’argine” si maturava in amore verso i suoi parrocchiani e in cultura con una fitta rete epistolare con tanti intellettuali dell’epoca. Ogni povero e ogni laico diventava un preciso punto di riferimento. Cominciava a scrivere, una vera passione. E iniziava a pubblicare affidandosi all’amico libraio-editore, il bresciano Vittorio Gatti.
- Un uomo libero
Erano tempi duri. In provincia il fascismo dominava. Mazzolari riusciva a mantenere le distanze. L’asse con la Germania e la nuova guerra imponevano tuttavia scelte precise, e don Primo non si esimeva dal dichiararsi perplesso e contrario. Nei giorni di Salò era costretto persino a nascondersi per evitare rappresaglie.
Il dopoguerra imponeva nuove scelte. Don Primo scendeva in campo per difendere la riacquistata democrazia dal pericolo comunista. Occorreva difendere la polis con il Vangelo in mano. Teneva comizi, predicava in ogni luogo, spiegava i cardini della giustizia sociale alla luce della Parola, scriveva articoli e dettava programmi d’azione. Dopo la vittoria della Dc, ritenendo concluso il compito, si ergeva a critico dell’apparato politico.
Per De Gasperi egli nutriva profondo apprezzamento ma non altrettanta stima aveva per l’apparato del partito. Così
fondava il periodico Adesso per denunciare le carenze del sistema e per stimolare una “rivoluzione cristiana” fondata – come egli stesso aveva proclamato in un comizio del 1948 – nelle tre cose che la Chiesa moderna difende a spada tratta: la libertà, la pace, i poveri”.
Sulle pagine di Adesso, voce fuori dal coro, anche di quello ecclesiastico, ben presto si abbattevano gli strali della gerarchia: e don Primo era costretto a ritirarsi dall’impresa, pesantemente emarginato. Soltanto la benevolenza dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini (che lo invitava a predicare nella Missione di Milano 1957) e il finale riconoscimento di papa Giovanni XXIII (“Ecco la tromba dello Spirito Santo in terra padana”) avrebbero alleviato i suoi ultimi giorni. Dal suo eremo contadino, in fondo, egli aveva offerto al Concilio ottimi spunti di meditazione.