La vocazione occultata
Un fanciullo rivela nell’attività ludica contenuti, modi e forme della vocazione soggettiva. Egli esprime nel gioco, in modo libero e spontaneo, la dimensione creativa della propria vocazione. “Gli alberi e il legno hanno sempre suscitato in me grande fascino”, dice Francesco Lazzar, “quando studiavo, avevo accanto ai libri una scatola con dei materiali di legno e, nei momenti di pausa, costruivo alianti”.
Qui l’aliante esprime, di Francesco, l’aspirazione a librarsi verso l’infinito nella magia sospesa dell’immaginazione, mentre il legno rappresenta il mezzo naturale, attraverso il quale Francesco interpreta la natura nella matericità della dimensione culturale.
Nonostante queste premesse, Francesco arriva tardi all’arte dell’intarsio pittorico. Solo dopo aver abbandonato l’attività di economista-matematico sente riaffiorare l’antica vocazione, quella di far rivivere l’essenza del legno nel processo simbiotico natura-cultura.
Per capire questo ritardo, bisogna fare ricorso a considerazioni di carattere psico-sociologico. Un individuo al suo nascere entra in un contesto culturale e sociale che ha regole proprie e percorsi prestabiliti. Di fatto nel suo sviluppo, il nuovo nato viene indirizzato verso ruoli e carriere consoni alle aspettative familiari e di status. Si pongono, così, in essere sistemi educativi che possono inibire, invece di assecondare, le espressioni dell’attività spontanea, rivelatrici dell’identità creativa di una persona, le quali represse, vengono rimosse (ma non annullate), andandosi a depositare nei fondali del subconscio.
Sotto la cenere, il fuoco di una vocazione antica
Francesco Lazzar è oggi una personalità affermata nell’arte dell’intarsio pittorico, ma il suo inizio è stato timido e insicuro.
L’arte dell’intarsio pittorico richiede conoscenze tecniche approfondite sul legno, straordinarie abilità manuali e grandi doti creative. Francesco dubitava di avere queste doti quando ha iniziato il suo percorso di artista dell’intarsio. Ammirava i suoi amici pittori, come Guida e Di Vincenzo, ormai famosi. Di essi subiva il fascino e cercava di emularne l’arte.
All’inizio, per orientarsi nel suo percorso artistico, si riallaccia alla tradizione del ‘400 e del ‘500, quando l’arte dell’intarsio si è affermata. Ma Francesco non è soddisfatto, la ricerca di un’espressione artistica propria lo tormenta. Inizia la sperimentazione di espressioni innovative, animate da uno spirito onirico, surreale, ludico e fantastico.
La metafisica di De Chirico, l’arte di Mondrian, gli elementi della cultura nordica tridimensionale di Escher, lo spirito ludico, innocente, di Klee, ispirano l’arte di Francesco in un crescendo di consapevolezza creativa, di capacità tecnica, di intensa simbiosi con la matericità del legno.
Lasciare la parola all’autore, con un’intervista, nella quale ripercorrere le tappe della sua evoluzione tecnica e pittorica, mi è sembrato il modo migliore per seguire il percorso artistico di Francesco Lazzar.
Intervista
“Come hai proceduto? Quali metodi e tecniche hai seguito? Quali idee, quali fonti, quali maestri ti hanno ispirato nella ricerca di forme espressive originali? Quali soggetti sono stati e sono al centro delle tue opere?”
Francesco racconta il suo percorso d’artista
“Dal punto di vista della tecnica, dobbiamo riallacciarci alla teoria classica. Tra le principali tecniche c’è la tarsia certosina, che consiste nel prendere un pannello massiccio di legno, farci un incavo, e su quell’incavo si vanno ad inserire nuovi elementi di colore diverso, e così si crea una figura. Questa tecnica si chiama certosina ed è diventata oggi sinonimo di pazienza.
C’è un altro tipo di tecnica, la quale viene usata massimamente da tutti gli intarsiatori. È la tecnica di incastro: con questo sistema, si usa sovrapporre due o tre legni di colore diverso, si tagliano; in maniera tale che, per contrapposizione bianco su nero, nero su bianco, viene fuori il disegno.
Poi c’è una terza tecnica con cui si producono i famosi toppi. Toppo è un nome poco conosciuto, ma un tempo era molto noto, soprattutto nel Cinquecento. Aiutava gli intarsiatori nel loro lavoro. Il Toppo consiste in una tecnica di pre-industrializzazione del lavoro dell’intarsiatore. A Firenze, alla fine del 1400 c’erano numerose botteghe artigiane. Un viaggiatore ne conta addirittura più di ottanta. In queste botteghe venivano assemblate e incollate strisce di colori diversi, che venivano adoperate per ornare tarsie pittoriche.
Queste sono le tecniche fondamentali, in ogni modo, la tecnica è diversa a seconda di quello che l’intarsiatore deve fare. Nel mio lavoro spesso mi trovo ad inventare una tecnica nuova, funzionale all’opera che devo realizzare. Si tratta di una ricerca interessante, perché non puoi mai fare affidamento su ciò che hai fatto in precedenza e devi sempre inventare qualcosa di nuovo.
Ora parliamo degli strumenti. Gli strumenti sono praticamente stati sempre gli stessi dal 1400 in poi, ed erano strumenti soprattutto di tipo manuale. Fino alla fine del 1800 strumenti a macchina ce n’erano pochissimi.
Gli intarsiatori per secoli hanno usato semplicemente il seghetto da traforo oppure la taglierina, ma soprattutto il seghetto da traforo. Esistono ancora oggi dei banchetti che venivano chiamati caprette perché avevano la forma di capra, servivano all’intarsiatore per tenere fermo il legno ed agevolare il taglio. Oggi non sono più usati, l’industria del legno usa strumenti a laser. Esistono il laser a fuoco e il laser ad acqua. Il laser ad acqua proietta un sottilissimo spruzzo d’acqua capace di tagliare il legno, mentre il laser tradizionale brucerebbe i bordi, ed è poco utilizzabile per lavori di precisione.
L’arte come interpretazione critica della realtà
Per quanto riguarda la dimensione artistica, il mio percorso è stato tutto sommato un percorso un po’ obbligato, e da me particolarmente voluto.
Inizialmente, ho teso a ripercorrere le forme dell’intarsio dal 1400 fino ai giorni d’oggi. Nel primo periodo si usava spesso raffigurare “ante” che si aprivano verso spazi interni o esterni. Per imparare questa tecnica, ho disegnato “ante” che si aprivano, le quali, unite al disegno prospettico, davano anche il senso della profondità. Negli intarsi antichi, le “ante “ venivano riempite degli oggetti che si usavano allora, oppure venivano inserite vedute tradizionali come campagne, animali, montagne, oppure scorci di città. Io ho seguito questo sistema, ma ho introdotto all’interno delle “ante” delle realtà nuove che tenessero conto delle evoluzioni della pittura.
In questi ultimi anni il mio è stato un modo nuovo di interpretare la realtà e di portarsi fino ai giorni nostri. E’ il periodo in cui ho realizzato molti intarsi con riferimenti alla pittura del Novecento: c’è Carrà, c’è De Chirico, ci sono molti elementi tratti dai pittori di questo fecondo e stilisticamente diversificato periodo.
Dopo questa prima parte del mio percorso, sono entrato in crisi. Ho cominciato a pensare che avevo qualcosa da dire, non come intarsiatore, ma come pittore che usa il legno come strumento, così come i pittori usano i colori per esprimere le proprie capacità creative. A questo punto, mi sono ritrovato a dover fare i conti con il mio tipo di cultura, con l’ambiente e il momento politico-culturale in cui sono immerso.
Da qui sono nati nuovi filoni di interpretazione della realtà così come io la vivo.
Un filone importante investe la critica allo sviluppo del sistema sociale attuale, quindi allo sviluppo economico, al nostro modo di pensare. In questo filone di ricerca, nascono quadri in cui viene fatta una rappresentazione della realtà, per esempio nel quadro “Dove andiamo?”, utilizzando delle tecniche di falsa prospettiva alla Escher, ho fatto scendere tutte le automobiline verso un punto di stop, interpretando un’evoluzione che troverà inevitabilmente una barriera insuperabile.
Io penso che non è possibile continuare ad avere uno sviluppo così vertiginoso come quello in cui stiamo vivendo. Oggi siamo in una fase di assoluta crisi. Non sappiamo più se la mondializzazione è un fatto positivo, oppure negativo. Non sappiamo dove andremo a finire. Siamo consapevoli che il sistema economico-sociale del capitalismo ha fallito, così come hanno fallito quelle del comunismo. Si dovrà trovare una via nuova di sviluppo dell’economia e delle società.
C’è una mia opera che si chiama “Prigione e libertà”, in cui ho posto una serie di tubi innocenti in primo piano. Questi tubi stanno a significare i condizionamenti di carattere politico, morale, economico, i quali costituiscono una griglia che ingabbia l’uomo. Sotto c’è un paesaggio fatto di cose semplici, di abitazioni a misura d’uomo, di comunità solidali tra un paese e un altro. Ho inserito dei boschi e degli alberi, che danno l’idea di una vita molto più semplice di quella che, invece, il sistema attuale ci impone. Questi sono due esempi del filone che sto seguendo, interpretativo della realtà nella quale siamo immersi.
Un altro aspetto critico, rinvia alla prevalenza degli obiettivi economici, rispetto agli obiettivi umani. Questo aspetto mi suggerisce quadri in cui i palazzi e i grattacieli sono rappresentati come elementi architettonici che sovrastano l’uomo, che lo ingabbiano, che lo annullano, che lo stritolano.
Queste rappresentazioni, nelle mie opere, come ad esempio “La Finestra Rossa” e “Piazza dell’Obelisco”, possono provocare angoscia, perché riproducono questi palazzi con una prospettiva verticale che genera un senso di vertigine. È un effetto voluto, nel senso che se avessi fatto un palazzo secondo lo schema edilizio consueto, non sarebbe stata più una critica al modo di vivere di oggi. Avrei semplicemente riprodotto un paesaggio, mentre il senso di oppressione, che ho voluto esprimere con queste forme architettoniche, vuole dare l’idea dell’uomo stretto da meccanismi che lo sovrastano e che finiranno forse col travolgerlo completamente.
Un altro filone di ricerca è quello naturistico, cioè la raffigurazione della realtà attraverso la propria visione poetica. Si tratta di una raffigurazione che non vuole essere un’imitazione dei colori o delle forme della natura, ma un modo di intendere un bosco, un lago, un prato. Vuole essere un’interpretazione personale vista con gli occhi della spiritualità.
Non credo che queste cose le abbiano mai realizzate gli intarsiatori attuali, perché la loro produzione è ancorata a forme tradizionali. Oggi gli intarsiatori devono vivere del loro lavoro e quindi fanno prodotti ripetitivi, legati a un mercato che vuole prodotti commerciali.
Vorrei dire, ancora, del filone psicologico-intimistico. Questo filone trae ispirazione da rapporti d’amore, erotici, sessuali. Per me è abbastanza importante ed io lo sento molto. La memoria è un elemento importante nel filone intimistico, come ad esempio nel quadro “A volte ritornano” in cui i frammenti del ricordo vengono interpretati come isole.
Per me la memoria non è un continuum. Tu puoi avere uno sprazzo di memoria e questo sprazzo di memoria ti fa ricordare le cose del tuo passato. Spesso, all’inizio, i ricordi sono legati a colori. Io, ad esempio, ricordo i colori del mare, ricordo i colori dei prati, della foresta, e li ho interpretati con dei pezzetti di legno che diventano sempre più grandi, perché la memoria si ingrandisce man mano che arriva fino ai giorni nostri. Queste isole di memoria, sono isole spesso lievi, ma ce ne sono alcune che si presentano alla coscienza in maniera cupa, angosciante. Ricordano i problemi della tua vita che non sei riuscito a superare del tutto e a risolvere, come i contrasti con gli altri, le brutte figure, immancabili in tutte le vite.
Nei momenti peggiori, le isole di memoria emergono con una frequenza spesso ossessiva. Si presentano cariche di angoscia. Io le rappresento con uomini senza volto nell’atto di aggredirti, uomini disposti in forma circolare perché la memoria sfugge a qualunque direzione.
I ricordi affettivi e sessuali li interpreto come se fossero tante piccole cartoline, che ho rappresentato, per esempio, nel lavoro “Frammenti di pensieri amorosi”, che esprimono i sentimenti della passione, le fasi della ricerca della donna, i momenti in cui hai avuto attimi di tenerezza; al mare, in montagna, sotto la luna, con la chitarra....
È un percorso in cui Eros è il protagonista. Un Eros che a furia di tirare frecce rompe l’arco e la freccia lo uccide.”
Francesco Lazzar ha un progetto
La rinascita dell’intarsio pittorico è il progetto che sta realizzando nel suo itinerario, oltreché di artista, di studioso dell’intarsio pittorico.
L’obiettivo è quello di far conoscere al grande pubblico l’arte della tradizione rinascimentale rinnovata.
L’incontro con gli artisti intarsiatori italiani, gli ha fatto scoprire in Italia la presenza di personalità di grande talento artistico. Coinvolti nel suo progetto, sta organizzando insieme a loro, mostre itineranti di grande successo, come quella di Desenzano sul Garda e di Belluno.
La prossima mostra dei maestri intarsiatori si terrà a Cantù alla fine di settembre, in occasione della fiera del legno, in una città che ha la più grande produzione di legni colorati, necessari all’intarsio pittorico.