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Roca Vecchia con vista della costa albanese

ROCA: Riscoperta l’antica città messapica dell’età del bronzo

Un antichissimo approdo strategico sulle rotte del mediterraneo e le sue vicissitudini storiche, scoperto negli ultimi decenni
giovedì 8 marzo 2018 di Guido Raganato

Argomenti: Architettura, Archeologia
Argomenti: Turismo
Argomenti: Italia


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…Hic et Narycii posuerunt moenia Locri
et Sallentinos obsedit milite campos
Lyctius Idomeneus…
(Virgilio I° sec. a.C: Aenaeis, libro III vv. 399-401)

….Qui i Locresi di Naricia posero le mura
e Idomeneo con armi cretesi occupò i campi Salentini…

Come riportato in precedenti pubblicazioni, ho modo di fare saltuari e familiari soggiorni nella mia terra d’origine ed in particolare nella isolata località di ROCA VECCHIA, importante sito archeologico. Posta sulla costa adriatica del Salento a circa 20 km da Otranto, per poter rivivere in fragoroso silenzio le passate immagini del sito, rimaste in gran parte le stesse.

Nel borgo di Acaya, piccolo paesino del Salento, tipico esempio di città fortificata, con schema viario a maglia ortogonale dell’Italia Meridionale del XVI secolo, ho avuto modo di visitare la mostra ROCA NEL MEDITERRANEO dove era esposta una straordinaria e accurata esposizione del materiale recuperato sul sito dopo gli ultimi decenni di studio e ricerca archeologica.

Ricordavo il sito, che frequentavo da ragazzo per le sue bellissime possibilità balneari, come un ammasso di ruderi di cui di diceva fossero di origine medioevale. È stata con grande emozione che ho appreso della grande antichità e della importanza di questo luogo.

I recenti scavi effettuati a Roca hanno evidenziato un imponente sistema di fortificazioni risalente all’età del bronzo (XVII-XI secolo a.C.), oltre a numerosi reperti che per affinità ricordano modelli minoici ed egei. Si ritiene che, in un periodo databile intorno al XV secolo a.C., il sito sia stato assediato e incendiato. Anche le successive mura, ricostruite nell’XI secolo a.C., presentano tracce di incendio.

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Roca Vecchia e Baia Torre dell’Orso

Precedentemente la storia conosciuta del luogo cominciava solo nel periodo augusteo dove compare il toponimo Salento, il quale però risulta tuttora indefinito e nella suddivisione Augustea delle Regioni dell’Italia viene riportato nella Regio IIe, anche se nella successiva ed impropria denominazione di Apulia et Calabria di cui si rispettava sommariamente la dislocazione storica delle antiche popolazioni.

Il nucleo più consistente era formato dai Japigi, di origine illirica stabilitisi nel territorio tra il secondo e primo millennio a. C.

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Regioni-Augustee-7d.C - Calabria Messapii

Le passate denominazioni della civiltà Japigia, quali: Daunia, Peucezia e Messapia, dovevano essere in disuso in età augustea, anche se per la Messapia i due gruppi etnici dei Salentini e dei Calabri furono riconosciuti i più resistenti all’occupazione romana, prevalendo nella terminologia ufficiale.

Gualtiero VI di Brienne, ultimo conte di Lecce e duca di Atene, fece costruire a metà del XIV secolo (1350-1353) una città fortificata per rafforzare il confine meridionale della contea. La denominazione di “Rocca”, attribuita a Gualtiero VI, è incerta e pare possa corrispondere a voce dialettale greca quali Roca, Roga, Rocha, per indicarne le caratteristiche fisiche del territorio.

Lo storico ed umanista Antonio De Ferrariis, detto il Galateo dalla nativa Galatone in Terra d’Otranto, fu il primo a segnalare nel suo “De situ Japygiae” (1558) l’esistenza di un antico insediamento, roccaforte degli Aragonesi sul mare. L’insediamento, nel 1480, subì un attacco da parte dei Turchi che “… la uguagliarono al suolo.. che pria dell’incursione di costoro era stato castello affortificato, circondato nella maggior parte del mare e abitato da onesti cittadini..”

Nel 1544 Loffredo Ferrante (Ferdinando), governatore di Terra d’Otranto e di Bari e con l’autorità di Carlo V, diede ordine di radere al suolo tutta l’area, ma ne rimasero solo parte delle mura di cinta messapiche (IV-III sec. a. C.) in grandi blocchi di calcarenite locale e tombe a fossa con ricchi corredi funerari.

Nel 1568 fu costruita una delle 58 torri di guardia della costa salentina a base quadrata e a forma tronco-piramidale in modo da poter comunicare con le torri vicine di San Foca a nord e Torre dell’Orso a sud, tipica del sistema difensivo costiero del periodo del Vicereame spagnolo e ancora fantastica per la sua isolata posizione anche nel suo precario stato di conservazione.

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Rovine di Torre di Guardia del XVI sec. e Castello trecentesco

La carta orografica del litorale Roca-Torre dell’Orso, riportata sulla pubblicazione della mostra Roca nel Mediterraneo, illustra una utile ipotesi di mutamenti geo-morfologici della costa adriatica nel tratto compreso da Roca a Torre dell’Orso.

Le varie indagini geognostiche effettuate sulla specifica evoluzione morfologica della costa adriatica di Roca Vecchia hanno rilevato una sostanziale influenza del carsismo sulla falesia della costa. In particolare il mescolamento delle acque dolci meteoriche e di falda con quelle marine è causa di ipercarsismo chimico, molto aggressivo sul calcare, con numerosi crolli delle bancate calcarenitiche, rapido arretramento della linea di costa e con la formazione di ipogei tipici dell’area salentina.

Le prime campagne di scavi archeologici ebbero inizio nel 1928 da parte del sacerdote Luigi Paladini e portarono alla scoperta nel 1932 di tratti di una cinta muraria di epoca ellenistica (IV-III sec. a.C.) realizzata con grossi blocchi squadrati in calcarenite locale.

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Mura ellenistiche - IV-III sec. a.C.
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Grotte della Poesia. Complesso carsico
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Grotta Poesia Grande

A partire dal 1981 ebbe inizio un intenso programma di indagini archeologiche e topografiche nell’area costiera da Otranto a san Cataldo, sotto la direzione del prof. Pagliara, storico ed epigrafista dell’Università del Salento, con il rinvenimento di resti di materiali ceramici riferibili a un insediamento di età Protostorica negli ipogei delle Grotte della Poesia.

Il complesso delle Grotte è costituito da cavità derivanti da relativi crolli di ipogei carsici collegati da cunicoli e sifoni alla costa marina, con ampi crolli nelle volte. All’interno furono scoperte varie sorgenti di acqua dolce e si preferì l’uso locale del grico (cioè greco-salentino) nel nome della grotta, sicché l’antico termine del greco Posia, ovvero di bevuta, divenne l’attuale toponimo.

La Grotta Poesia Grande è stata inserita da National Geographic fra le dieci piscine naturali più belle del mondo.

Nell’ agosto del 1983, sempre ad opera del Prof. Pagliara, fu fatta la straordinaria scoperta di un sorprendente ed importante patrimonio epigrafico del Mediterraneo antico nella Grotta Poesia Piccola. Sulle pareti per un’altezza di 7/8 metri sopra il livello del mare e per almeno 600 metri quadrati di superfice sono riportati in differenti strati di incisione: figurazioni preistoriche in forma di figure geometriche ovali o a semicerchio, di segni stilizzati di animali e centinaia di iscrizioni in lingua messapica del sesto sec. a. C. e latina del II-I sec.

La grotta era un rinomato santuario dedicato al dio messapico Thaotor Amndirahas che i Latini nelle loro iscrizioni chiamarono Tutor Andreius (protettore) a cui si chiedevano aiuti contro i pericoli del mare, protezione dai nemici o liberazione dalla schiavitù e promettendo in cambio doni materiali quali anfore di vini preziosi, animali o simulacri. Sono ripetitivi motivi figurativi di ascia bipenne e di bucranio (teschio di bue), tipici del culto presso le comunità minoiche-micenee.

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Incisione di ascia bipenne
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Incisione di Bucranio

Le ulteriori indagini eseguite dal 1987 per oltre un ventennio nell’area del promontorio (zona Castello-Carrare), hanno portato alla luce le ignote vicende storiche del sito nelle varie fasi di vita e di distruzioni, con inizio nel Bronzo Medio (XVII sec. a. C.), per tutto il II millennio a. C. e nelle successive età del Ferro sino all’età Romana (I sec. a.C.).

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Fortificazioni-età-del-Bronzo-e-del-Ferro
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Ubicazione fortificazioni protostoriche
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Postieria A e Porta monumentale
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Postieria C

Nel 1992 fu scoperta l’imponente opera di fortificazione della media età del Bronzo, attualmente conservata per una lunghezza residua di circa 200 m ed uno spessore alla base compreso fra i 6 ed i 25m, ma si può ritenere possibile uno sviluppo maggiore del sistema difensivo, tenendo conto dei crolli delle falesie della costa e delle opere di escavazione tardo-medievale del fossato.

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Tavola-della-Postiera C

Le fortificazioni, varie volte ampliate e ristrutturate, erano articolate in un varco principale, la Porta Monumentale, con un camminamento interno di 3 m ed in almeno cinque postierle o passaggi minori di larghezza non superiore a 1,5 m. Tali passaggi erano costituiti da conci pseudo-isodomi di calcarenite locale, con l’impiego di una fitta serie di pali di legno per sopperire alla scarsa resistenza meccanica della struttura. La complessità dei lavori avrà probabilmente richiesto un largo impiego di manodopera specializzata quale una comunità di origine egea o una comunità locale educata agli stessi usi e costumi, anche religiosi.

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Anfora in ceramica d’impasto

Nella media Età del Bronzo (primi decenni del XIV sec. a. C.) varie distruzioni e incendi lungo le coste pugliesi causarono in una delle postierle [Postierla C] l’ostruzione dell’uscita per il crollo delle strutture soprastanti e la morte di sette individui rimasero insepolti e ritrovati sul piano di calpestio assieme a vario materiale di vita quotidiana quali anfore e bacini monoansati.

Tra le macerie della Porta Monumentale è stato scoperto lo scheletro semicombusto di un giovane di 18/20 anni morto verosimilmente a causa del colpo di un’arma da taglio menato dal basso verso l’alto. A poca distanza sono stati trovati due oggetti, quali la lama di un pugnale di bronzo e una piccola scultura in avorio di ippopotamo di chiara origine egeo-orientale, che confermerebbero l’origine dell’individuo. La lama appartiene ad un tipo egeo diffuso tra la fine del Medio Elladico e l’età protomicenea (sec.xxxxx), mentre la scultura, che raffigura parte di un’anatra, probabilmente è parte di una cosiddetta duck pyxis, per il confronto con prodotti simili rinvenuti nell’Egeo.

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Scultura ornitomorfa in avorio d’ippomotamo
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Lama Pugnale in bronzo di tipo egeo
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Bacino monoansato ad xocchiello

Nel periodo del Bronzo Recente (metà XIV – XIII sec. a.C.) la ricostruzione delle fortificazioni avviene con una sensibile riduzione del legname ed un maggior impiego di blocchi squadrati di calcare locale. La mano d’opera risulterebbe particolarmente numerosa per l’abbondante ritrovamento di reperti quali vasellame in parte importato tipo skyphos, coppe aperte per bere, o di prodotti locali ispirati a prototipi egei.

Nella fase del Bronzo Finale (XII – inizi X sec. a. C.) dopo le necessarie ed imponenti opere difensive, si registra a valle delle fortificazioni la creazione di un insediamento proto-urbano del sito realizzando una maglia di percorsi stradali per un agevole accesso ad imponenti edifici lignei di varie funzioni comunitarie.

Tra i vari edifici sono sti ritrovati i resti di una capanna-tempio con pianta rettangolare di circa 34 x 17 m. Il crollo degli alzati e delle coperture ha reso possibile la conservazione di un ingente materiale che fa supporre una valenza fortemente cultuale dell’edificio.

Nel pozzetto ripostiglio degli ori assieme a spilloni, fibule, pendagli, monili di vari tipo, lingotti e armi in bronzo è stata rinvenuta in particolare una coppia di dischi solari in lamina d’oro, ritenuti possibili arredi di culto per il motivo stilizzato del ciclo solare.

Nel corso dell’XI sec. a. C. un altro edificio simile al precedente fu distrutto da un violento incendio e nominato capanna-magazzino perché custodiva grandi dolii, del tipo cosiddetto cordonato, destinati allo stoccaggio di ingenti quantità di olio ed altri manufatti d’uso quotidiano.

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Skyphos
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Anfora tipo italo-miceneo
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Disco Solare in lamina d’oro (ca. 10 cm.)

Dopo il devastante incendio del Bronzo Finale, come riportato dal Prof. Pagliara, ogni nuovo occupante si insediò su resti e rovine affioranti ed operò secondo nuove forme riferibili al prima Età Ferro (metà X – VIII sec. a. C.) e all’età arcaica (VII-VII sec. a. C.).

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C. Raganato ammira il Dolo Cordonato

Si tratta di materiali ceramici di produzione locale assimilabili a vasellame d’importazione corinzio-corcirese, coinvolgendo Roca nelle rotte precoloniali dirette verso il Golfo di Taranto, la Sicilia e le regioni tirreniche meridionali poiché Roca era coinvolta.

Si registra l’abbondanza di ceramica indigena, quali figuline dipinte da mensa e da dispensa attribuibili al Geometrico Tardo (brocche, scodelle, boccali, anforette, etc.).

L’inconsueta imponenza del complesso difensivo non ha riscontri nel periodo protostorico italiano e rimanda ad una architettura diffusa nell’ egeo-orientale anche se di questo luogo misterioso, più volte distrutto e più volte ricostruito, si ignora chi fossero veramente i popoli fondatori.

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Mediterraneo all’età del bronzo
 

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