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MADE in Roma

Un’interessante mostra archeologica nei Mercati di Traiano incentrata sui marchi di produzione e di possesso nella società antica
mercoledì 1 giugno 2016 di Nica Fiori

Argomenti: Mostre, musei, arch.
Argomenti: Architettura, Archeologia


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I mattoni di Valeria Nice, lo stampo di marmo del vetraio Ampliato, il collirio del medico Epagato, le lucerne di Oppio, l’anfora da olio prodotto nella tenuta del console Sisenna, i proiettili da fionda di Tito Fabricio sono solo alcuni esempi di produzioni di epoca romana, esposti nei Mercati di Traiano nella mostra “MADE in Roma. Marchi di produzione e di possesso nella società antica”, che danno immediatamente l’idea di come il marchio di fabbrica contrassegnasse i più svariati oggetti.

Non c’è da stupirsi più di tanto, perché il “marchio” è un elemento che caratterizza i rapporti sociali dell’uomo fin dalle origini, come ha evidenziato nel corso della presentazione il Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali Claudio Parisi Presicce, ideatore della mostra. Pensiamo per esempio alla marchiatura del bestiame per attestarne la proprietà, alla marchiatura degli schiavi o dei delinquenti per stigmatizzarli socialmente, come pure ai segni tatuati sul corpo per evidenziare l’appartenenza a una tribù o a un gruppo particolare. L’esigenza di riconoscimento cresce ovviamente quando i manufatti e le derrate alimentari, insieme agli uomini, cominciano a viaggiare, e il “certificato di provenienza” diventa un valore aggiunto, come nel caso dei prodotti made in Roma.

Poiché il mondo romano era molto vasto e multietnico, la mostra, a cura di Lucrezia Ungaro, Marina Milella e Simone Pastor, ospita diversi reperti provenienti da musei di città che erano importanti centri di produzione dell’Impero come Colonia, Spalato, Aquileia, e proprio ad Aquileia è prevista una seconda tappa espositiva con il titolo “MADE in Roma and in Aquileia”.

Si tratta di un’esposizione che affronta un aspetto minore della storia romana, ma è proprio attraverso la storia minore che si comunica meglio con quella contemporanea, immergendosi nella quotidianità dell’epoca e, in effetti, attraverso la lettura di questi marchi, si possono datare oggetti e architetture e ricostruire diversi aspetti del lavoro artigianale e industriale (aiutati in ciò anche da apparati multimediali, che già da diversi anni caratterizzano le mostre dei Mercati traianei).

Prendiamo per esempio i bolli laterizi, ovvero i marchi di fabbrica impressi sui mattoni, che costituiscono uno dei primi esempi di produzione su scala industriale, necessari com’erano per la costruzione di edifici di grandi dimensioni, tra cui gli stessi “Mercati di Traiano”, per la loro leggerezza ed economicità. Fortunatamente alcuni laterizi venivano timbrati con bolli di varia forma e complessità, recanti la data di produzione, il nome del proprietario dell’industria o anche i nomi dei realizzatori. Scopriamo così che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, era molto consistente la presenza femminile nella gestione di questo tipo di attività, tant’è che su 150 officine diffuse in vari luoghi (ovviamente dove abbondava l’argilla), 50 erano di proprietà femminile.

La libèrta Valeria Nice ci racconta a voce la sua storia, da quando da piccola ha lavorato in una tenuta vicino a Todi, fino a quando per la sua bravura è diventata appaltatrice e ha diretto un’officina di proprietà dell’imperatrice Plotina (moglie di Traiano). Ci fa sapere anche che deve organizzare una spedizione a Nemausus (ora Nîmes), nella Gallia Narbonense, dove l’imperatore Adriano vuole far costruire una basilica in onore di Plotina.

Notizie sul mondo del lavoro le ricaviamo anche dai bolli sui tubi di piombo che trasportavano l’acqua (fistulae) e da tanti altri prodotti, tra cui coppe e piatti in ceramica e terracotta, lucerne e vetri. I nomi dei vetrai (interi o abbreviati) erano incisi sul fondo o sulle pareti degli oggetti in vetro, a volte con altre diciture, come si vede in mostra da uno stampo in marmo che reca il nome di Miscenio Ampliato, e il luogo di produzione, Salona (vicino Spalato), accompagnati da due figure di gladiatori.

Altre volte la produzione si riconosce da segni particolari, come nel caso dei vetri realizzati nelle officine di Colonia, la cui decorazione è caratterizzata da un ghirigoro di fili serpentiformi azzurri. Questi vetri erano talmente rinomati da essere imitati da altri produttori in Italia, proprio come avviene ora per i prodotti griffati di note case di moda. Sempre da Colonia proviene un oggetto in terracotta della seconda metà del II secolo d.C. raffigurante tre dee o matrone sedute, con lo slogan del maestro vasaio sul retro del sedile, che tradotto suona così: “A Colonia lo fece lo stesso Fabricius”, oppure “A Colonia lo fece Fabricius con le sue proprie mani”.

Le attività artigianali e professionali erano motivo di orgoglio non solo in vita, ma anche dopo la morte, a giudicare dai numerosi rilievi dei sepolcri che illustrano scene di mestiere o, più semplicemente, gli strumenti usati dal defunto, come è ben evidenziato in mostra da alcuni calchi prestati dal Museo della Civiltà Romana (attualmente chiuso).

Anche i farmaci (medicamenta) dovevano essere facilmente identificabili: i marchi e le iscrizioni attestavano l’autenticità e l’efficacia del preparato, grazie al nome del medico o del preparatore impresso sul contenitore o direttamente sul prodotto. In mostra troviamo il sigillo del medico Epagato, che lavorava ad Este (vicino a Padova), il cui collirio (lykion), a base di mirra, era adatto per la congiuntivite. Ma non dobbiamo pensare a un collirio liquido, come quelli odierni, bensì a un preparato secco che andava ammorbidito con l’acqua al momento dell’uso.

Molti altri esempi ci informano sulle attività dell’epoca, come i commerci marittimi che prevedevano l’uso di anfore da trasporto, segnate da marchi, graffiti e tituli picti (iscrizioni dipinte), e caratterizzate da fogge diverse a seconda del prodotto che dovevano ospitare (ad esempio colli più lunghi e stretti per le anfore da vino, più larghi per i cereali). Con il tempo nella percezione degli acquirenti la forma tipica del contenitore è stata associata al contenuto, non così diversamente dai giorni nostri (pensiamo per esempio alle bottiglie di olio che hanno base quadrata, contrapposte a quelle di vino a base circolare).

Le anfore, oltre al trasporto delle derrate alimentari potevano avere anche altre funzioni, come nel caso delle anfore cosiddette di Castro Pretorio, rinvenute nel 1878, il cui studio è legato al famoso archeologo ed epigrafista Heinrich Dressel (a lui si deve la Tavola Dressel, ovvero la classificazione dei vari tipi di anfore). Data la disposizione di queste anfore, capovolte e disposte su ordini sovrapposti, Dressel ipotizzò per esse una funzione di drenaggio e di isolamento dall’umidità, nella realizzazione del terrapieno del sistema difensivo delle Mura Serviane, secondo un uso documentato nell’ingegneria idraulica romana.

Una particolare nave da carico (calco del rilievo funerario di Neumagen, in Germania), caratterizzata da una vistosa testa di lupo, mostra il commercio via acqua di botti di vino, perché evidentemente nel bacino del Reno si usava commerciare lungo i fiumi con battelli fluviali. La zona della Mosella era particolarmente rinomata per i vini, e questa tradizione vinicola si è mantenuta nel tempo (pensiamo in particolare al noto vitigno Riesling).

Anche i materiali di cava come i marmi o le statue che decoravano le architetture imperiali erano contrassegnati da iscrizioni o sigilli impressi nelle diverse fasi del loro viaggio. Ricordiamo che i marmi (colorati e bianchi) giungevano a Roma dall’Egitto, dalla Turchia, dalla Grecia e, prima di essere utilizzati, potevano giacere a lungo in appositi magazzini. Molto apprezzate dai ricchi romani erano le copie di sculture greche ed ellenistiche. Le botteghe specializzate offrivano un’ampia gamma di tipi statuari e gli artigiani ricavavano spesso calchi e matrici direttamente dagli originali. In una satira di Luciano una statua di Ermes Agoraios si lamenta di essere spesso imbrattata di pece. Ciò avveniva per la realizzazione di un calco che veniva poi trasferito in una copia in marmo, servendosi di una serie di punti di riferimento (operazione questa perfezionata in seguito da artisti ottocenteschi come Antonio Canova, come si vede da un busto in mostra). Solo raramente le statue erano firmate dall’autore (in mostra c’è il busto di un giovane siglato da Zenas), più spesso era indicato il proprietario dell’officina o la provenienza.

Il tema del marchio prosegue con tanti altri esempi interessanti. Particolari sono i proiettili a forma di ghianda (glandes) usati dai frombolieri, sui quali sono riportati non solo i nomi dei produttori, ma anche invettive contro i nemici. Ma in guerra venivano usati anche i signa sulla pelle dei soldati, che indicavano l’appartenenza a una legione e allo stesso tempo scoraggiavano le diserzioni. Altri marchi di appartenenza erano previsti per gli schiavi (su collari che venivano saldati al collo, o anche incisi direttamente sulla fronte) e per i condannati, sulla cui pelle venivano tatuate delle lettere che indicavano il crimine commesso.

P.S.

MADE in Roma. Marchi di produzione e di possesso nella società antica
Mercati di Traiano-Museo dei Fori Imperiali
Via Quattro Novembre, 94 – Roma
Dal 13 maggio al 20 novembre 2016
Orari: tutti i giorni dalle 9,30 alle 19,30 (la biglietteria chiude un’ora prima)

Biglietto integrato mostra + museo: 14 euro (12 euro per i residenti); ridotto 12 euro (10 euro per i residenti); gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente

Organizzazione Zetema Progetto Cultura
Catalogo Gangemi
Info mostra: Tel 060608; www.mercatiditraiano.it


 

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