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TERRANTICA. Una mostra archeologica al Colosseo

Volti, miti e immagini della Terra, dalla preistoria all’età imperiale
venerdì 1 maggio 2015 di Nica Fiori

Argomenti: Mostre, musei, arch.


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“La terra non è solo quella cosa che ci permette di camminare e che ci nutre, ma è anche una cosa buona per pensare e immaginare, che ha suscitato innumerevoli miti”. Così ha esordito il filologo e antropologo Maurizio Bettini presentando alla stampa la mostra “Terrantica. Volti, miti e immagini della Terra nel mondo antico”, da lui curata insieme all’archeologo Giuseppe Pucci. L’esposizione, che si tiene nel Colosseo fino all’11 ottobre 2015, è stata promossa dalla Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’area archeologica di Roma, e inaugurata nell’Earth Day (22 aprile), con l’intento di far riflettere sulla forza e la sacralità della madre Terra, nei suoi molteplici aspetti, attraverso 75 opere tra reperti archeologici e fotografie contemporanee di paesaggi naturali non antropizzati, che evocano quelli dell’antichità.

L’idea è stata quella di selezionare una serie di immagini da situare idealmente lungo un itinerario di memorie, che si snoda lungo 15 tappe per cercare di individuare, come ha sottolineato il Soprintendente Francesco Prosperetti, i diversi significati che la parola “terra” ha avuto nell’antichità. Non a caso la mostra era stata annunciata inizialmente con il titolo “Daedala Tellus” (tratto da un verso del De Rerum Naturae di Lucrezio), di difficile traduzione ma che indica in qualche modo le innumerevoli funzioni della Terra (“industriosa Terra”). E qui pensiamo a Dedalo, artefice di abili e perfette invenzioni, il cui nome si rifà al significato che il termine greco Daidalos aveva per i greci. Quanto a Tellus, va ribadito che i Romani designavano con questo nome la dea che accoglie i semi nella Terra, mentre Ceres (Cerere) è quella che li fa crescere.

Il percorso espositivo è complesso e articolato, perché ci trasporta dai primordi della civiltà umana, alle teorie cosmogoniche degli antichi greci (in particolare alla “Teogonia” di Esiodo) per arrivare al mondo romano, esplorando anche il sottosuolo e quindi le divinità ctonie, i sogni e il mondo oracolare. Tra i pezzi esposti, ce ne sono alcuni poco visti, in particolare quelli provenienti dalla Sardegna, dalla Calabria e dalla Grecia.

Le prime immagini sono quelle delle cosiddette “Veneri” preistoriche, statuette femminili dalle forme molto pronunciate che hanno fatto pensare all’esistenza di una primitiva dea madre. Si va dalla “Venere” di Willendorf e da quella di Savignano, entrambe del Paleolitico superiore, alla statuetta femminile proveniente dal villaggio sommerso “La Marmotta”, nel lago di Bracciano, che è forse il più importante sito neolitico venuto alla luce in Europa in questi ultimi anni. Grazie all’archeologia subacquea, quasi otto millenni dopo la cerimonia rituale nel corso della quale era stata deposta in un luogo sacro, è giunta sino a noi questa piccola, raffinata scultura in steatite (pietra verde considerata magica), anch’essa ricollegabile all’idea che vede nella donna l’incarnazione dell’inizio e della continuazione della vita, e quindi il simbolo della fecondità della Madre terra.

Dalla Sardegna provengono alcune statuette femminili neolitiche (in marmo, alabastro, calcarenite) dalle forme stilizzate, non molto diverse da quelle dei cosiddetti idoli cicladici, pure presenti in mostra, e da Oristano, in particolare, proviene una stele con idolo femminile, in funzione di porta di accesso a un ipogeo funerario.

Nel mondo greco è Gaia la divinità della terra, dalla quale tutto ha avuto inizio. È lei che ha generato i mostri e gli altri dei in un intreccio intricato di miti affascinanti. Un’anfora greca da Tebe, risalente al VII secolo a.C., raffigura la “Signora delle fiere”, attributo della dea Artemide; un cratere del V a.C. in ceramica attica a figure rosse (da una necropoli di Spina) presenta una scena di Gigantomachia. Anche una testa marmorea di Ciclope è presente a testimoniare i mostri dell’antichità, mentre alcuni affreschi da Pompei raffigurano alcuni dei, come Saturno con la sua falce e Zeus con lo scettro e il fulmine.

È sempre dalla Terra che avviene l’antropogonia, la nascita dell’uomo. Un sarcofago dai Musei Capitolini (III secolo d.C.) raffigura Prometeo che plasma il primo uomo, ricollegandosi ad altri innumerevoli miti che vedono l’uomo nascere dall’unione della terra (argilla) con l’acqua, mentre una ceramica attica del V secolo a.C., come pure un rilievo in terracotta dello stesso secolo, mostrano il fondatore di Atene Erittonio che viene porto alla dea Atena direttamente da Gaia. In questo caso si parla di autoctonia, il “nascere dalla terra”, intendendo con questo termine il rapporto che s’instaura tra l’uomo e il suo territorio. Secondo il mito, Gaia avrebbe generato Erittonio dallo sperma di Efesto, il quale rincorreva Atena nel vano desiderio di possederla.

Anche il mito della fondazione di Roma è legato alla terra, solcata dall’aratro con un rituale sacro evocato in mostra dal celebre “Aratore di Arezzo” (bronzo della Collezione Kircheriana ora a Villa Giulia) e da un rilievo in marmo con aratura da Aquileia. I romani avevano delle regole precise in fatto di delimitazione dei confini di un territorio. Sia in città che in campagna, i confini venivano consacrati, come pure i crocicchi, sacri ai Lares Compitales.

Da un paesaggio solare e rigoglioso, ci si immerge a questo punto, sia pure metaforicamente, nel mondo sotterraneo e in questa discesa agli inferi incontriamo il mito di Orfeo, che riesce ad accedere all’Ade per riportare sulla Terra l’amata Euridice, che però gli sfugge perché lui si volta a guardarla. Una tavoletta d’oro, proveniente da Vibo Valentia, doveva funzionare come guida per l’aldilà nell’orfismo. Altro mito importantissimo è quello di Kore, che diviene Persefone, la regina degli Inferi, in seguito al rapimento da parte del dio Ade. Il suo culto era strettamente associato a quello della madre Demetra nei misteri eleusini (riti volti ad ottenere la protezione divina sui raccolti e una sorte privilegiata nell’aldilà): culto rappresentato in mostra da una nutrita serie di reperti, tra cui gli splendidi pìnakes (tavolette votive di terracotta), provenienti dal tempio di Persefone a Locri Epizefiri e il busto colossale di Demetra dal santuario di Valle Ariccia.

Il racconto continua, dall’Italia greca al Lazio, con le pregevoli testimonianze di altri strani riti, come le defixiones (maledizioni magiche, racchiuse entro scatoline di piombo, da seppellire in una tomba o nell’acqua) o la devotio alle potenze della terra: un rito della religione romana per cui un generale poteva votarsi, e quindi sacrificarsi (ma poteva anche trattarsi di un suo legionario o di una città appena conquistata) agli dei inferi. Rientra in questo tipo di devozione il sacrificio di Marco Curzio, che si sarebbe gettato armato e a cavallo in una voragine apertasi nel Foro Romano, che da allora si chiamò Lacus Curtius.

Gli oracoli e i sogni hanno pure a che fare col mondo sotterraneo. Di grande impatto visivo è il pezzo in terracotta proveniente da Cagliari relativo all’incubatio, cioè quel procedimento di guarigione che il dio Esculapio (Asclepio per i greci) invia attraverso il sogno. Non è un caso che il dormiente sia raffigurato con un serpente (simbolo del dio), che, come animale ctonio, era strettamente legato alle divinità oracolari. Tages è la figura etrusca legata alla divinazione: un bambino prodigiosamente balzato dalla terra durante un’aratura per insegnare l’arte dell’interpretazione del linguaggio divino, disciplina che avrà molta importanza presso gli Etruschi. Tra i più noti interpreti dei segni divini troviamo gli Auguri, che osservavano il volo degli uccelli, e gli Aruspici, che esaminavano le viscere degli animali. Da loro derivano parole di uso corrente come “augurare, inaugurare, auspicare”, ma pochi se lo ricordano.

Anche il culto misterico del dio solare Mithra è messo in relazione con la terra, essendo egli “petrogenito”, e di conseguenza praticato entro una simbolica caverna; inoltre, nella sua consueta iconografia di tauroctono, vediamo come dal contatto della terra con il sangue del toro da lui sacrificato, nascono le piante, l’uva e gli animali utili. Il serpente, il cane e lo scorpione cercano di contrastare l’aspersione benefica, ma inutilmente.

Si arriva, infine, alle dee romane della fertilità, Cerere e Tellus, che hanno avuto grande importanza in età augustea (Livia, la moglie di Augusto, è raffigurata come Cerere) e, in chiusura, c’è anche il settore che vede la Terra non più madre, ma matrigna, in quanto apportatrice di calamità come i terremoti.

P.S.

“Terrantica. Volti, miti e immagini della Terra nel mondo antico”
Colosseo, dal 23 aprile all’11 ottobre 2015
Orari: 08.30–18.15, fino al 31 agosto; 08.30–18.00, dal 1° al 30 settembre; 08.30–17.30, dal 1° all’11 ottobre
Biglietto intero € 12,00; ridotto € 7,50
Informazioni: www.archeoroma.beniculturali.it tel. +39.06.39967700
I biglietti sono acquistabili anche online sul sito www.coopculture.it


 

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