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LE INCISIONI DA CARAVAGGIO E CARAVAGGESCHI}} (Logart Press. Roma 2012)

Musici, giocatori e indovine nelle scene di genere


mercoledì 15 febbraio 2012 di Pietro di Loreto

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Michela Gianfranceschi


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La lunga stagione delle celebrazioni del quattrocentenario della morte di Michelangelo Merisi da Caravaggio (Milano, 1571 - Porto Ercole, 1610), culminata due anni fa con la grande mostra romana alle Scuderie del Quirinale, continua a dar luogo a iniziative e pubblicazioni che mettono a fuoco, a volte con sempre maggiore intraprendenza, i temi collegati alla vicenda personale ed artistica del grande genio lombardo.

E’ il caso del bel volume di una giovane storica dell’arte, Michela Gianfranceschi, Le incisioni da Caravaggio e caravaggeschi. Musici, giocatori e indovini nelle scene di genere, (vedi logo) curato da Stefania Macioce e appena edito per i tipi della Logart Press, la piccola quanto meritoria casa editrice romana che da tempo riesce a dar spazio anche a giovani studiosi con pubblicazioni pregevoli per forma e contenuto, proprio come questa in esame.

Crediamo infatti che questo lavoro -frutto di un più ampio progetto di ricerca promosso dalla prof.ssa Stefania Macioce, docente presso la cattedra di Storia dell’Arte Moderna dell’Università La Sapienza di Roma- non passerà inosservato, dal momento che, come nota la stessa Macioce nella Prefazione “viene a colmare una lacuna, poiché contribuisce in modo significativo alla comprensione delle modalità di ricezione dell’opera di Caravaggio nella cultura e nella rappresentazione figurativa tra Seicento ed Ottocento”.Lo studio prende in esame un genere figurativo spesso considerato ’minore’, quello cioè teso a raffigurare la vita nella sua quotidianità, nei suoi aspetti ritenuti ’ inferiori ’, che, in una cultura fondata sulla classicità e permeata di idealismo come quella italiana, non poteva che essere ritenuta marginale, pur costituendo un filone nient’affatto trascurabile che d’altronde si diffuse (con i bamboccianti ed altri pittori di genere) un po’ ovunque, con risultati anche di eccellenza.

La ricerca condotta dalla Gianfranceschi mostra in effetti una realtà molto vivace, peraltro ricostruita in modo scrupoloso ed esauriente, in cui vengono raccordati i momenti salienti e i diversi contributi con cui, nel corso della storia, in tutte le ’arti’ non solo nella pittura, sono stati delineati e analizzati questi temi ’minori’, soprattutto in forza della rivoluzione caravaggesca, allorquando la particolare ripresa scenica dell’evento religioso ne determinerà da una parte l’attualizzazione e il conseguente inserimento nella sfera della quotidianità, dall’altra l’elevazione ideologica, per così dire, degli stessi personaggi ’minori’ adeguandoli in questo modo alla tematica del decoro; il crinale fin lì insuperabile tra sacro e profano verrà così in buona sostanza livellato.

E’ questo obiettivamente il momento, come la Gianfranceschi a ragione sottolinea, in cui “personaggi grotteschi e volgari acquistano un sapore intellettualistico” posto che, in modo più o meno consapevole, “sono considerati atteggiamenti umani anche quelli più meschini...”. L’autrice del resto si mostra del tutto convinta -anche in garbata polemica con altri approcci interpretativi- del portato ’moralistico’ e perfino ’sociale’ di simili tipizzazioni, individuando “dettagli moralizzanti”, che richiamano ai temi della vanitas, già nelle scene di mercato o cucine presenti nelle opere cinquecentesche di autori quali Peter Aertsen (fig. 1) oppure ancora in quelle religiose, comuni un po’ a tutte le scuole pittoriche, del tipo “Gesù in casa di Marta e Maria” (fig. 2), dove emergerebbe chiaro il confronto tra sacro e profano.

Ma prima dell’irrompere di Caravaggio, certamente l’iter percorso dalla scena cosiddetta di genere per emendarsi in qualche modo dalla valenza comico-grottesca sarebbe stato ben più accidentato, senza l’apporto di Annibale Carracci, che, sottolinea la studiosa, saprà restituire ai soggetti di queste scene “un respiro che si addice ai soggetti della tradizione classica”, come nel caso della famosa ’Macelleria’ (fig. 3), laddove peraltro un’autentica innovazione del linguaggio pittorico contribuirà ad elevare “il soggetto di genere a pittura di storia”.

Su questa scia, il Merisi -che non a caso considerava Annibale Carracci tra i pochi valent’huomini del panorama artistico romano del suo tempo- arriverà ad una “interpretazione in senso classico delle forme e dei significati, con espressioni formali completamente innovative”, frutto di “una magistrale sintesi tra l’eredità della pittura di genere cinquecentesca e la prorompente vitalità della sua poetica”.

Così in effetti si dimostra già dalle opere cosiddette giovanili, risalenti cioè ai primi tempi del suo soggiorno romano, che non poche critiche subirono da parte del mondo accademico, il quale evidentemente ignorava che – a parere della studiosa- “i soggetti più scabrosi di Caravaggio offrono spunti virtuosi a chi non si soffermi ad una mera osservazione di superficie”, come nel caso di opere famose come la Buona Ventura o i Bari (figg. 4a, 4b) quest’ultima peraltro ambientata probabilmente in una taverna, autentica sentina di ogni vizio e vituperio per la Chiesa Romana, nondimeno capace di evocare -proprio in ragione del risalto dato ai temi del vizio e delle tentazioni peccaminose- l’insegnamento morale, cioè l’idea di una vita virtuosa, perchè “mettere in mostra ciò che si considera malvagio o deviato rende facile indicare la retta via”

Non sappiamo dire oggi se questo fosse effettivamente il disegno del Merisi, vero è però che subito dopo la sua esperienza, a partire dal secondo decennio del XVII secolo, il genere da lui inaugurato fornirà la matrice per approfondimenti e sviluppi tali da costituire veri e propri topoi creando un linguaggio completamente nuovo, grazie all’opera di un ’seguace’ come Bartolomeo Manfredi, in quella che sarà definita dallo storico, Karel van Mander, la Manfrediana methodus.

Il successo delle cosiddette scene di genere caravaggesche sarà enorme, e proprio qui, insiste ancora la Gianfranceschi “nonostante l’evidente edonismo di taluni soggetti e la raffigurazione del vizio in tutte le sue forme, era quasi sempre presente una forte componente educativa e moralistica”; si pensi, viene da aggiungere, al tema evangelico del ’figliol prodigo’ dove attraverso richiami esplicitamente sessuali e lussuriosi (fig. 5) passava però la portata virtuosa ed etica della parabola di Luca.

La contaminazione e gli scambi reciproci con altri tipi di rappresentazione -letterarie e teatrali- saranno praticamente inevitabili e la studiosa non si esime certo dal rilevarli; basta leggere il capitolo dedicato a “La cultura di genere, temi feriali e moniti virtuosi” dove si chiarisce il ruolo della letteratura picaresca, con i protagonisti della strada “trasformati in eroi popolari” e dove, in particolare, l’autrice azzarda la non peregrina ipotesi che lo stesso Caravaggio venisse ispirato dalla “Iudit” del noto drammaturgo Federico della Valle per la sua “Giuditta ed Oloferne” (fig 6)

E tuttavia, nonostante il successo di cui simili rappresentazioni godevano, molti furono i divieti cui s’imbatterono ad opera di vari Papi, specie sul finire del XVI secolo; e non per caso. In effetti le pratiche ludiche e mondane avvenivano sotto il loro occhi, avevano proprio ed in particolare come centro Roma, considerata allora sì la capitale delle arti ma anche il paradiso dei truffatori, meta dei furfanti di tutta Europa :“ Vi inviterei ad andarci -scriveva Karel van Mander rivolto ai giovani artisti oltremontani- se non avessi paura che vi traviaste...”

Fu proprio nella ’capitale delle arti’ che l’arte incisoria, a partire dai primi anni del XVII secolo conobbe il più forte sviluppo, con la moltiplicazione di laboratori e botteghe che consentivano l’acquisto e la circolazione delle incisioni, tanto quelle “d’invenzione” quanto quelle “di traduzione”.

Partendo da qui, l’autrice chiarisce bene le tecniche e le tematiche ’particolari’ che si affermarono nell’attività grafica relativamente alla pittura di genere, richiamando nel capitolo significativamente intitolato “Il ladro, il diavolo e il mondo sono le tre cose da cui l’uomo deve guardarsi”, opere di artisti che ebbero un ruolo preminente nel campo, quali Jacques Callot e Bernardo Capitelli, avanzando altresì la tesi che l’utilizzazione da parte dei pittori di genere delle opere grafiche come fonte d’ispirazione, porti a rivedere l’idea, fin qui accreditata, che questo genere fosse unicamente la traduzione di quanto osservato dalla vita; in verità al di là ed oltre l’osservazione della realtà e del mondo, la creazione di simili iconografie comportava “un attento studio” e “un singolare linguaggio parallelo”.

La fioritura delle incisioni di genere viene analizzata dalla Gianfranceschi con una panoramica completa tanto dei temi quanto degli autori che si cimentarono in questo lavoro in un arco di tempo che abbraccia quattro secoli, dal XVI al XIX secolo, con la pubblicazione di una quarantina di opere, spesso poco note o addirittura del tutto inedite, seguendo, nella selezione, un criterio iconografico non privo di attrattiva.

I lettori che vorranno dedicarsi alla lettura di questo notevole studio saranno certamente affascinati dai testi e dalle raffigurazioni che formano le cinque sezioni suddivise per soggetto; a partire dalla “Buona Ventura” (fig 7, 8, 9), per proseguire con “La revers de fortune. Il gioco d’azzardo: le carte, i dadi” (fig. 10, 11, 12), poi con “La musique. Il concerto” (fig. 13, 14), ancora con “Versa l’amico il vin. Riunioni conviviali...” (fig 15, 16, 17) per finire con “Io canto alla mia maniera. Ritratti e motti popolari” (18, 19)

Va detto infine che i gruppi tematici sono stati scansionati in ragione della loro apparizione ed importanza, il che ne consente una lettura anche più significativa ed approfondita.

 

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