La Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini, rinata a nuova vita dopo un complesso lavoro di restauro degli spazi un tempo occupati dal Circolo Ufficiali, inaugura le sale espositive del piano terra, adibite alle esposizioni temporanee, con la mostra “Guercino 1591-1666. Capolavori da Cento e da Roma”.
Come dichiara la Soprintendente per il Polo Museale di Roma Rossella Vodret, curatrice della rassegna insieme a Fausto Gozzi, direttore della Pinacoteca Civica di Cento (Ferrara), l’idea è stata quella di riunire uno straordinario corpus di dipinti, provenienti da Roma e dalla città natale del grande pittore barocco, secondo un criterio cronologico che evidenzia le diverse fasi del suo percorso artistico.
Dai primi dipinti che risentono dell’influenza di artisti ferraresi fino alla produzione bolognese legata ai Carracci, si arriva alla fase romana (1621-23), quindi si approfondisce il successivo periodo trascorso a Cento e da ultimo il periodo classicista bolognese, che gli permette di inserirsi in quella fascia di mercato che Guido Reni aveva lasciato libera dopo la sua morte.
A dispetto del suo difetto visivo, il Guercino (Giovanni Francesco Barbieri) aveva un talento innato che gli viene subito riconosciuto anche dal maestro più indiscusso della sua epoca Ludovico Carracci, che in una lettera del 1617, parlando della situazione artistica di Bologna, cita la presenza dell’artista di Cento con queste parole: “Qua vi è un giovane di patria di Cento che dipinge con tanta felicità di invenzione, gran disegnatore e felicissimo coloritore, e mostro di natura e miracolo da far stupire …”
Nei quadri del primo Guercino notiamo una ricchezza cromatica e un’ambientazione intimista legata alla sua città, come nel piccolo dipinto “Lo Sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria alla presenza di San Carlo Borromeo” (1613), in cui si vedono le mura medievali di Cento. La scena sacra è raffigurata all’aria aperta, con la Vergine seduta su un ceppo di legno, mentre il Bambino ha in mano l’anello che dovrebbe infilare al dito della santa, ma curiosamente guarda distratto verso l’altro santo.
Dello stesso periodo sono alcune pale d’altare con San Carlo Borromeo, mentre è datata al 1618 la pala eseguita per la cattedrale della sua città, ovvero “La cattedra di San Pietro”, dove il santo inginocchiato mostra in primo piano i piedi nudi in una posa che richiama un celebre dipinto di Caravaggio.
Già a partire dal 1618 Guercino dipinge dei capolavori assoluti, che dovevano apparire decisamente moderni ai contemporanei, come le due versioni pressoché identiche di “San Girolamo in atto di sigillare una lettera” e “Erminia ritrova Tancredi ferito”, un dipinto ispirato da un celebre passo della “Gerusalemme liberata” del Tasso. _ Col tremolio delle luci e dei colori, le sue figure rifuggono dall’immobilismo e sembrano animate da un fremito di passione.
Affascinante ed enigmatico ci appare “Et in Arcadia ego”, un dipinto che con la sua frase latina incisa sotto un teschio ancora in putrefazione (tradotta con “Anche io sono in Arcadia”) allude alla presenza della morte anche nel mitico regno della poesia pastorale. _ Un tema questo che verrà ripreso da Poussin e che ultimamente ha dato luogo a interpretazioni ermetiche, come quella che vede celato nella frase l’anagramma “I tego arcana dei”, ovvero “custodisco i segreti di Dio”.
A riprova del fatto che Guercino eseguiva delle copie dei suoi dipinti, in questo celebre quadro della Galleria di Palazzo Barberini, i due pastori sulla sinistra sono gli stessi che compaiono nello sfondo del grande dipinto raffigurante “Apollo e Marsia” della Galleria Palatina di Firenze.Quando il cardinale arcivescovo di Bologna Alessandro Ludovisi diventa papa nel 1621 con il nome di Gregorio XV, Guercino viene invitato a Roma per incarichi importanti dalla famiglia Ludovisi (tra cui la celebre “Aurora” del Casino Ludovisi) e vi rimane fino alla morte del pontefice nel luglio del 1623.
Il periodo trascorso presso la corte pontificia è fondamentale per le sue relazioni con gli esponenti del classicismo romano (in particolare il Domenichino), che, come scrive Rossella Vodret, “lo spinsero ad avviare un processo di idealizzazione delle sue potenti composizioni giovanili”. Questo cambiamento è evidente nel “San Luca” e nel “San Matteo” di Palazzo Barberini (ottime copie di bottega, derivate da una serie dei santi evangelisti realizzata a Cento dopo il soggiorno romano), nella “Morte di Didone” (purtroppo assente) e nel “Ritratto del cardinale Bernardino Spada” della Galleria Spada, nella pala di Santa Petronilla dei Musei Capitolini (della quale è in mostra il bozzetto), nel grande olio “Cristo risorto appare alla Vergine” della Pinacoteca Civica di Cento, un quadro che colpì molto Wolfgang Goethe per la “tenerezza indicibile” dello sguardo della Madre che si incrocia con quello del figlio.
Al 1646 è datato il dipinto “Saul contro David”, che è stato scelto come immagine guida della mostra, uno splendido esempio dello stile tardo del Guercino, influenzato dal classicismo di Guido Reni. _ Raffigura l’episodio biblico in cui il re Saul, colto da gelosia, scaglia la sua freccia contro il giovane arpista David, che schiva il colpo. Nonostante la drammaticità della scena, la composizione appare equilibrata.
Dello stesso periodo sono la malinconica e raffinatissima “Sibilla persica” dei Musei Capitolini, ben diversa dalla sensuale “Sibilla” del 1620, tanto che non sembra più una donna in carne ed ossa come quella, ma una idealizzazione della bellezza femminile, come pure “San Giovanni Battista nel deserto” e la “Flagellazione” di Palazzo Barberini.
L’ultima opera è “Diana cacciatrice”, caratterizzata da un’aria pacata e divina e da delicate tinte pastello che sicuramente piacevano a quella committenza bolognese rimasta orfana del Reni.