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I Cavalieri di Malta e Caravaggio - La storia, gli artisti, i committenti (Roma, Logart Press, 2010)

L’intreccio delle storie tra i Cavalieri di Malta e Caravaggio


lunedì 21 febbraio 2011 di Pietro di Loreto

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Stefania Macioce (a cura di)


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E’ la prima volta che l’Ordine ormai quasi millenario dei Cavalieri di Malta è fatto oggetto di uno studio scientifico articolato ed esauriente, nonostante per esso, come sottolinea nella nota introduttiva, l’attuale Gran Maestro, Fra’ Mattew Festing, molti importanti artisti abbiano lavorato, quali Tiziano, Parmigianino, Mattia Preti, Piranesi, e altri ancora, a cominciare da Michelangelo Merisi da Caravaggio.

Per sanare questa strana amnesia degli studiosi, ci voleva appunto questo volume, che ha visto la luce anche grazie alla malleveria di Emmanuele Emanuele, autorevole presidente della Fondazione Roma, nonché Ambasciatore del Sovrano Ordine, da poco pubblicato per i tipi della Logart Press (vedi logo), a cura di Stefania Macioce, proprio per la ricorrenza del quattrocentenario della morte del genio lombardo, anche perchè molti erano (e probabilmente, come vedremo, in parte ancora sono) i misteri legati al suo soggiorno a Malta, protrattosi, com’è noto, dal luglio 1607 all’ottobre dell’anno successivo: un tempo limitato ma assai proficuo, in virtù dei capolavori che l’artista dipinse nell’isola, dove, in parte, ancora è possibile ammirarli.

La storia del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta, sorto in Terra Santa, nel 1048, come organismo dedito all’assistenza dei pellegrini, è ripercorsa nel bel saggio iniziale di Franco Cardini, che inaugura la prima sezione del libro, intitolata le Vicende, mentre delle “Origini dell’Ordine Gerosolimitano” tratta con completezza Giovanni Morello.

Vengono descritte in maniera inappuntabile le tappe fondamentali della vita dell’Ordine, autentico bastione difensivo della cristianità nei confronti dell’espansionismo islamico, dapprima in Terra Santa, dalle due sponde del Giordano fino al Mar Rosso, poi, con la riconquista di Gerusalemme da parte del Saladino (1187), nella strategica isola di Rodi (1306), dove i Cavalieri di san Giovanni costituirono di fatto l’unico argine alla potenza musulmana, anche dopo la caduta di Costantinopoli (1453). Solo nel 1522 il sultano Solimano il Magnifico riuscì nell’impresa di piegarne la resistenza.

Trasferitisi allora a Malta, gli adepti Gerosolimitani contribuirono in modo determinante a respingere il formidabile assedio turco del 1565, ricordato come il Grande Assedio (fig 2), dove, come ha scritto il noto medievalista francese Ferdinand Braudel “il coraggio dei Cavalieri salvò tutto”e dove, come ribadisce ora Veronica La Porta nel suo saggio, si svolse “l’ultimo tentativo degli Ottomani per irrompere nel Mediterraneo Occidentale … se in tale occasione Malta fosse caduta -sottolinea la studiosa- il volto dell’Europa avrebbe potuto trasformarsi completamente”.

Dunque non è certo per caso che a Malta ancora oggi si commemori la fine dell’assedio, ogni 8 settembre, quando nell’isola viene portata in processione la Madonna del Fileremo (fig 3 ), la celebre icona del Sovrano Ordine, tradizionalmente creduta di mano di san Luca, e celebrata appunto come Madonna della Vittoria . Ne parla Marta Rossetti in uno scritto esauriente e suggestivo che ricostruisce l’iconografia dell’immagine e i vari spostamenti, da Rodi, dove giunse in modo rocambolesco nell’anno 1000, fino all’attuale sede montenegrina.

Né è casuale che le vicende che contrassegnarono quello straordinario evento fossero illustrate ad affresco, ad opera di Matteo Perez d’Aleccio -per perpetuare la memoria dei ’fratelli’ morti nell’assedio- all’interno del Grand Master’s Palace della Valletta, la capitale dell’isola che prende proprio il nome del Gran Maestro allora vincitore, Jean Parisot de la Vallette (fig 4),

Valeria Marino fa notare l’apporto del manierismo italiano nelle scelte dell’artista della Val di Cecina (fig 5), cui fecero seguito Filippo Paladini e poi Leonello Spada il quale, proprio durante il suo soggiorno -come nota la studiosa- dovette maturare il suo interesse per il naturalismo di Caravaggio.

E proprio al Caravaggio “il pittore con la croce in petto” dedica il suo saggio Stefania Macioce.

Considerando il rilievo che questo ’passaggio’ assume nella vita del grande artista, esso è stato già fatto oggetto di numerosi studi; si pensi ai fondamentali lavori di David M. Stone e di Keith Sciberras (autore quest’ultimo di un riuscito contributo a questo volume, intitolato ’Roma fuori Roma. Roman Baroque Sculpture for the Knights of Malta’); ma certo ancora non poco resta da chiarire.

E’ ormai un fatto acclarato che l’artista approdò sull’isola nel luglio del 1607 arrivando da Napoli dove, come tutti sanno, era stato ospite della marchesa Costanza Sforza Colonna, che lo aveva precedentemente accolto nei suoi feudi laziali dopo l’uccisione di Ranuccio Tomassoni. Ma da qui in poi iniziano gli interrogativi, a cominciare dai veri motivi che portarono l’artista a scegliere di risiedere in una piccola isola piuttosto che nella grande capitale del viceregno.

E’ certamente credibile che egli aspirasse al cavalierato, una specie di carta da spendere negli ambienti che potessero favorirne il perdono papale, dopo la condanna al ’bando capitale’; così come appare credibile la tesi che fosse il Gran Maestro, Alof de Wignacourt (fig 6), a voler approfittare delle circostanze per avere al proprio servizio un pittore di quel calibro; oppure ancora si potrebbe credere alla tesi -ultima in ordine di tempo- secondo la quale Caravaggio in realtà non avesse subito la condanna a morte, ma all’esilio, pena grave sì, ma revocabile qualora avesse dimostrato una sorta di riscatto morale ed una nuova onorabilità, indossando appunto l’abito dell’Ordine.

Se si eccettua quest’ultima tesi (che in ogni caso non ci sembra superare i limiti dell’ipotetico) le altre, pur senza esaurire la questione, possono senz’altro integrarsi, se è vero quello che nota acutamente nella Postfazione Alessandro Zuccari, ossia che “Caravaggio si ritenesse ’cavaliere nato’ e che si gloriasse della ’croce al petto’ “.

Ma restano inevase anche altre domande: chi e perchè favorì l’approdo di Caravaggio sull’isola? Chi lo aiutò a candidarsi al cavalierato ed infine a vestire l’abito di Cavaliere dell’Osservanza?

La questione non è affatto di poco conto, dal momento che rimanda al basilare tema degli ambienti culturali che attorniavano il pittore e che egli frequentava al punto che ne avrebbero addirittura influenzato le rivoluzionarie scelte artistiche e figurative.

Vale a dire -secondo una tesi fatta propria da molti studiosi- gli ambienti controriformati che dai Borromeo, attraverso i filippini oratoriani, passando per vari intrecci famigliari, includevano i suoi ’veri’ protettori, gli Sforza Colonna (in primis la marchesa Costanza, e suo figlio Fabrizio, ritenuto appunto il trait d’union Caravaggio-Malta-Wignacourt) inclusa la loro propaggine partenopea (Luigi Carafa Colonna), permeati di quella religiosità pauperistica che, secondo molti, Caravaggio fece propria proprio perchè univa insieme quel mondo .

Ma questa ’filiera’ storico-culturale-religiosa non trova tutti d’accordo, specie chi non partecipa all’idea di un Caravaggio ingaggiato (sia pure in modo assai peculiare) nell’ambito controriformista, individuando anzi negli ambienti da lui frequentati, prima a Roma e poi a Napoli, influenze culturali diverse, post erasmiane, per così dire, tali comunque da porlo più volte in odore di eresia (come confermerebbero i non pochi rifiuti di opere significative dell’artista ritenute non in linea con il ’decoro’ richiesto dalle regole tridentine).

Non è facile dirimere la questione. E allo stesso modo ci pare rischioso definire con certezza chi e soprattutto ’come’ poté far evadere il Merisi dal carcere del Forte sant’Angelo.

Si tratta di temi dei quali riteniamo che bene abbia fatto la Macioce a ridefinire i contorni, sottolineandone la valenza filologica; questo le ha consentito, a nostro parere, di approcciare in modo dialetticamente apprezzabile il vaglio delle opere d’arte che Caravaggio ebbe il tempo di dipingere prima del 6 ottobre 1608, giorno dell’incredibile fuga dall’isola. Sono i capolavori che tutti conoscono, come -solo per citarne alcuni tra i più noti- il Ritratto di Alof de Wignacourt e del suo paggio, o il San Girolamo scrivente (fig 7), o come la Decollazione del Battista.

Lasciamo ai lettori del volume il piacere di approfondire le questioni relative a genesi datazioni committenze di questi capolavori dipinti sull’isola (alcuni discussi, altri invece certi di sua mano e di grande impatto emotivo,come l’Amore dormiente (fig 8) dipinto per Francesco dell’Antella e su cui si sofferma Ludovica Sebregondi) che la Macioce ripercorre con la usuale maestria.

Non ci si può però non soffermare sulla strepitosa Decollazione (fig 9 ) che la studiosa ritiene un vero spartiacque :”Da questo momento -scrive- come si vedrà poi nei quadri siciliani, l’ambientazione dei quadri caravaggeschi sarà solenne, austera e il senso dello spazio dilatato e monumentale”.

La lunga digressione dedicata al saggio su Caravaggio, non deve far dimenticare che altri famosi artisti fecero tappa sull’isola lasciando testimonianze ragguardevoli delle loro abilità.

Come Mattia Preti -di cui parla diffusamente Sciberras, in un suo secondo saggio dedicato appunto all’autore della decorazione della volta della Cattedrale di La Valletta (fig 10 ).

E numerosi grandi artisti ancora ne esaltarono l’immagine: chi, come Pinturicchio, nella affascinante decorazione della Cappella di San Giovanni nel Duomo di Siena (fig 11 ) commentata da Anna Cavallaro, chi tramite la proposizione delle effigi di importanti esponenti dell’Ordine ( fig.12 ) di cui parla Antonella Sciarpelletti.

Ma se è vero che grande importanza rivestono questi studi nel delineare il rilievo che hanno avuto nell’ambito della storia dell’arte le tematiche e i valori ideali interpretati dai Cavalieri dell’Ordine, altrettanta importanza rivestono i contributi che ne rimarcano le esigenze spirituali e devozionali.

Va sottolineato, in questo senso, lo studio scientificamente inappuntabile di Guendalina Serafinelli sui Percorsi leggendari e storici della reliquia di San Giovanni Battista nei secoli. La vicenda delle trasmigrazioni della reliquia più cara ai Cavalieri Gerosolimitani -la mano destra di San Giovanni- viene in effetti definitivamente chiarita in virtù di una poderosa documentazione rinvenuta presso gli Archivi del Sovrano Ordine grazie alla passione filologica e all’inesausto slancio della studiosa.

Il titolo del saggio, estremamente suggestivo, riassume bene quella che appare, nella limpida prosa della giovane storica dell’arte, un’autentica epopea, descritta in maniera tanto evocatrice ed esaltante che perfino gli aspetti più legati alla leggenda possono apparire sotto una luce di verosimiglianza.

A partire dalla ’donazione’ del sacro arto fatta a Rodi dal sultano Beyari al Gran Maestro Pierre d’Abuisson nel 1484 (ma com’è noto, altre città rivendicano il possesso del ’vero’ arto). Quel che è certo è che successivamente, nel 1686, venne commissionata all’artista Ciro Ferri, celebre seguace di Pietro da Cortona, la realizzazione del reliquiario per contenere la mano del santo.

L’opera d’arte, un autentico capolavoro dell’arte orafo-scultorea(fig 13 ) venne posta proprio sull’altare dell’Oratorio di San Giovanni Decollato, a detrimento però della piena visibilità della Decollazione di Caravaggio.

Con l’invasione delle truppe napoleoniche iniziarono però gli spostamenti della reliquia, che assunsero perfino connotati romanzeschi, fin quando, come dimostra la Serafinelli sulla base della documentazione riemersa dagli archivi, potè infine approdare all’attuale collocazione nel Monastero montenegrino di Cetinja.

Nel terminare questa rassegna non possiamo non rimarcare i contributi circostanziati e analitici dedicati ai Luoghi dei Cavalieri, di studiosi attenti come Stephen Degiorgio, Jacopo Curzietti , Immacolata Agnoli e Ranieri Varese, il cui lavoro può considerarsi un degno sigillo a questo volume che, come ben scrive la Sovrintendente del Polo museale romano, Rossella Vodret, fa emergere “uno spaccato di grande interesse all’interno del quale l’arte figurativa si coniuga felicemente con l’eccezionale ruolo storico devozionale” della prestigiosa Istituzione.Pietro di Loreto

 

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