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Castello Svevo di Porto Recanati

Orientalismo Americano di Douglas Little

Tradotto e curato da Stefano Cosimi
sabato 8 settembre 2007 di Renzo Caldarelli

Argomenti: Mondo


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Alla pinacoteca del Castello Svevo di Porto Recanati, il 10 agosto del 2007 è stato presentato per la prima volta in Italia, davanti a un foltissimo pubblico, il libro “Orientalismo Americano”, di Douglas Little, professore statunitense della Clark University del Massachussets, per la casa editrice Liberilibri di Macerata. Presenti il sindaco di Porto Recanati prof. Fabbracci, le massime autorità cittadine e, tra gli altri, il Comandante del Dipartimento Marittimo del Medio Adriatico, Ammiraglio di Squadra Trevisani e il Comandante della Scuola Sottufficiali e della Scuola di Lingue Estere dell’Aeronautica Militare di Loreto, Colonnello Sabbione. Particolarmente interessanti gli interventi di Giuseppe Balboni Acqua, Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, dell’On. Prof. Pietro Di Muccio, già Direttore del Senato della Repubblica e del Generale Stefano Cosimi, che ha tradotto e curato il libro. L’Avv. Salvatore Piscitelli, Assessore alla Cultura del Comune di Porto Recanati, ha svolto le funzioni di moderatore.

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Castello Svevo

Il saggio di Douglas Little, nel suo genere uno dei più completi e meglio documentati, investiga i rapporti tra Stati Uniti e Medio Oriente dalla fine della seconda guerra mondiale ai giorni nostri. Il maggior pregio di Orientalismo Americano è nella ricchezza delle fonti bibliografiche, in specie quelle primarie, tra cui spiccano numerosi documenti del NSC, della CIA e del Dipartimento di Stato.

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Little Douglas

Non mancano poi, in un quadro storico sempre rigoroso e generalmente assai obiettivo, gustose annotazioni dell’autore che richiamano esplicitamente o implicitamente il Mark Twain di alcune opere di costume, soprattutto il racconto di viaggio The Innocents Abroad, un’ironica descrizione dei comportamenti della maggioranza degli statunitensi nei contatti con culture come quella mediorientale.

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Stefano Cosimi

Il saggio tocca, in otto diversi capitoli, altrettante tematiche frequentemente interconnesse, come, ad esempio, l’orientalismo - una sorta di complesso di superiorità che animerebbe l’occidentale nei confronti degli arabi e dei musulmani - il petrolio, le diverse impostazioni dottrinarie degli undici presidenti degli Stati Uniti susseguitisi nel periodo trattato, i tentativi, generalmente in buona fede, di esportare nei paesi del M.O. metodologie peculiari al sistema politico-economico occidentale, i rapporti con Israele, il superamento della “sindrome vietnamita”.

Vi sono poi numerosi richiami ad eventi politici coevi a quelli che costituiscono l’oggetto principale della trattazione, spesso al momento di maggior interesse per la politica americana rispetto al teatro mediorientale, quali la ricostruzione europea, la Corea, i fatti di Ungheria, Cuba, il Vietnam, che aiutano a orientare il lettore nel collocare gli avvenimenti in un più preciso contesto storico e ambientale.

Per quanti intendono avvicinarsi all’opera occorrerà precisare che Little, nonostante l’ampiezza e la rigorosità della documentazione fornita, non rischia mai di annoiare, con citazioni pedanti o un eccesso di informazioni, il lettore, il quale può essere senz’altro un addetto ai lavori, uno studente, un ricercatore, così come chiunque – in possesso di alcune necessarie nozioni storico politiche di base – voglia avere un quadro completo dell’evoluzione delle relazione che sono intercorse tra gli Stati Uniti e un mondo tanto vicino quanto così poco conosciuto, mondo che dopo l’11 settembre ha proiettato nel nostro immaginario collettivo la psicosi dell’attentato terroristico.

Nel narrare la vicenda dell’incontro con il M.O., tra rigore storico e notazioni di costume viste spesso con occhio ironico e distaccato, Little parte dai primi contatti con gli Stati della cosiddetta Barbèria e con i pirati che infestavano il Mediterraneo nel XIX secolo, le prove di forza dell’ammiraglio Decatur e l’inno dei marines che ne decanta le gesta, il tentativo non riuscito di creare un corpo cammellieri della cavalleria USA. Dopo che la regione ha cominciato a crescere di importanza per via delle risorse petrolifere, divenute sempre più importanti con la guerra mondiale e poi con il contributo all’espansione industriale, gli Stati Uniti danno un forte contributo alla nascita di Israele e poi sostituiscono, dalla metà alla fine degli anni 50, la Gran Bretagna nel suo ruolo di leadership nell’area. Sono gli anni della guerra fredda ed il problema centrale di politica e diplomazia è come evitare che i contrasti tra i diversi paesi arabi, e di questi con Israele, conducano i primi nelle braccia dell’URSS.

Problema certamente non secondario strettamente connesso al precedente è come mantenere, se non il possesso, almeno il controllo delle fonti energetiche, mentre con la fine della contrapposizione Est-Ovest i nazionalismi dei paesi arabi vengono sostituiti o affiancati da un cliente anche più pericoloso: l’estremismo religioso.

Azioni e reazioni degli USA sembrano a volte rincorrersi in modo schizofrenico, sull’onda di emozioni e sulla spinta dei gruppi di pressione al momento prevalenti; basti pensare, quanto a questi ultimi, alla continua contrapposizione tra lobby ebraica, spesso molto attiva nell’entourage del Presidente, e lobby petrolifera, più presente all’interno del Dipartimento di Stato. In realtà, come spiega lucidamente Little, vi è una continuità culturale e politica largamente condivisa basata sulla consapevolezza, a volte fin troppo ottimistica, di una grande nazione nella capacità dei propri uomini e sulla superiorità dei propri mezzi, un’idealità generosa che ritiene il prossimo imperfetto ma migliorabile se solo segue il modello americano – democrazia, ammodernamento sociale e liberismo economico. Un momento della presentazione Di contro vi è la percezione da parte araba e/o islamica di una marcata mancanza di sensibilità statunitense verso modelli di sviluppo civile e religioso autoctoni, che si evidenzia in un senso di superiorità culturale e una più o meno evidente volontà egemonica e di sfruttamento di risorse energetiche nel segno di un neocolonialismo o di una nuova crociata. Un problema a sé stante è quello di Israele, risorsa strategica, onere diplomatico e comunque rapporto speciale per la maggioranza degli americani, quinta colonna occidentale e nemico da distruggere per gli altri paesi del M.O.

L’Autore segue con partecipazione mista a disincanto l’azione politico-diplomatica del suo paese, più spesso lasciando parlare le sue fonti, a volte commentando nel modo più obiettivo possibile il coinvolgimento degli USA nel groviglio mediorientale, la voglia di rivincita spesso riaffiorante nei confronti della sindrome vietnamita o, al contrario, la tentazione di rifugiarsi nell’isolazionismo.

 

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