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In ricordo di ITALO CARLO SESTI

Nel secondo anniversario della morte
mercoledì 17 maggio 2006 di Arturo Capasso

Argomenti: Celebrazioni/Anniversari


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Grazie Italo, per tutto quello che mi hai insegnato.

E grazie per avermi dato ospitalità sulla tua Scena, che ho sempre sentito anche mia.

Ed ora che la tua rivista è rinata, ti prometto che farò come sempre la mia parte e sono sicuro che di questo saranno lieti i tuoi e miei amici che hanno ripreso la pubblicazione.

Voglio anche prometterti che al più presto desidero riproporre la bella e sentita recensione (ma era un vero articolo) che il tuo Alfredo volle dedicare ad un mio scritto.

Ricordo quella sera in cui ti telefonai e ti dissi che lui, pur non conoscendomi, aveva capito tutto dì me. Ci mettemmo a piangere tutti e due, caro, carissimo Italo.

Basta, mi fermo qui, la commozione anche questa volta mi ha preso. Ciao, caro amico, direttore.

Arturo Capasso

Pubblichiamo adesso una lettera di Arturo Capasso e la risposta di Italo Carlo Sesti.

P.S.

SCENA ILLUSTRATA N° 5 MAGGIO 1993

A PROPOSITO DEL VOTO

Caro Italo,

bisogna cercare di capire che gesto noi facciamo quando an¬diamo a votare.

Sono azioni che compiamo con un rito solito, che ci portano quasi sempre malvolentieri in un ’aula scolastica e nel segreto di un pìccolo box. Ma perché votiamo?

Dopo vari tentativi sbagliati ci convincia¬mo che quella croce può essere messa sul logo ammiccante e che i nomi a fianco daranno un nuovo indirizzo al partito e al Paese

Per decenni tutti abbiamo pensalo così e abbiamo delegato un esercito di uomini a compiere quello che tutti noi non potevamo fare e quindi a rappresentarci.

Che c’era di male? È dai tempi dei Greci e dei Romani che vige il criterio della rappresentanza; è continuamente adottato nel mon¬do cattolico: gli ordini religiosi hanno la loro struttura piramida¬le, fino ad arrivare all’elezione del Papa, momento in cui i cardinali "sono" l’intero mondo dei credenti.

Noi abbiamo agito e abbiamo forse sbagliato a scegliere. Ma ancora di più hanno errato quelli che erano stati scelti, passando dal Parlamento al parlamentarismo, dividendosi e moltiplicandosi, aumentando prebende, pensando ai propri affari, agendo come una casta chiusa. . Hanno dimenticato il motivo per cui si trovavano a quel posto; si sono buttati come cani famelici a spolpare una pecora che con¬tinuava a dare lana e latte.

Hanno mangiato la pecora con tutta la lana.

Siamo stati dirottati e non lo sapevamo

Ci hanno portato in altri mondi, ci hanno fatto credere che tutto andava bene o che si poteva aggiustare.

Hanno chiesto sacrifici e poi hanno dato un esempio gravissimo: sono stati pescati con le mani nel sacco, anzi nei aocchi.

E così tutto quello che ci dicevano era pura falsità.

È facile chiedere - a pancia piena - di fare un digiuno.

Questo è stato il più grosso esempio di malcostume.

Un insegnamento terribile per i giovani che si affacciano al primo lavo¬ro, per quelli che sbattono la testa contro il muro e far quadrareil magro bilancio , per gli anziani sempre più indifesi ed offesi, perun Paese bello, ma ormai putrido.

L’istituto della rappresentan¬za parlamentare fa acqua da tutte le parti.

Arturo Papasso


Dobbiamo proprio condividere quanto afferma spregiudicatamente Arturo Capasso sull’intollerabile declino di tutto il nostro sistema politico.

Certo non diamo un bell’esempio di credibilità a questa Europa nella quale vorremmo sentirci esponenti princi¬pali e tanto meno possiamo nascondere ai nostri giovani gli in¬ganni e le delusioni che "anneriscono" quest ’aria così inquinata da dentro.

Il piombo è nell’Italia stessa.

Ora sentiamo di non po¬ter essere rappresentati dalle istituzioni democratiche che noi ab¬biamo voluto e, certamente, una valida ripulitura "magica" potrebbe rispondere al nostro desiderio di eliminare il malessere, i disonesti o i frequentatori di Tangentopoli.

Alla luce della nostra storia affiorano le parole di Platone nel processo ad un grande uomo dalle mani pulite tra quelle sporche della politica ateniese:

"Pensate che io avrei potuto durare a lungo ricoprendo una carica pubblica se avessi sostenuto, come si con¬viene ad un galantuomo, il giusto, perseguendo, come dovere, la giustizia più di ogni altra cosa?

Oh, no! Nè io né nessuno avrebbe potuto durare a lungo " . I! richiamo assume così uno strano sapore di tragedia antica, perché anche la parte migliore di noi sente di recitare con il gran¬de filosofo e saggio:

"...non posso buttare a mare tutti i ragiona¬menti che ho fatto nella mia vita.

Perché continuo a credere e contìnuo ad onorare sempre le stesse cose, anche qui, in questo frangente".

È quanto ci occorre per sperare nel nuovo, sulle tracce dell’antico.

ITALO CARLO SESTI.


 

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