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DIRITTI CIVILI

Battaglia rivoluzionaria o propaganda reazionaria?
lunedì 2 settembre 2013 di Andrea Comincini

Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Politica


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Se apriamo un qualsiasi dizionario per trovare la definizione di “diritti civili” possiamo leggere: “Diritti di cui godono tutti i cittadini di uno Stato in quanto tali. Sono i diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico come fondamentali, inviolabili e irrinunciabili (dunque non suscettibili di compressione da parte dello Stato), i quali assicurano all’individuo la possibilità di realizzare pienamente sé stesso”.

La dichiarazione esprime non solamente un concetto chiaro e definito, ma propone una tensione etica difficilmente non condivisibile. La lotta per i diritti civili appare dunque orizzonte imprescindibile per chiunque sia interessato seriamente a suffragare concretamente le esigenze dell’individuo. Le battaglie per la libertà d’espressione, o per le nozze gay, o ancora per quella religiosa, di culto, possono diventare il banco di prova non soltanto per definire l’etica individuale, ma anche per giudicare l’azione pubblica di un qualsiasi Stato.

Sebbene sia conseguentemente auspicabile una continua e costante lotta per i suddetti diritti, bisogna interrogarsi se questa azione non nasconda incredibilmente e paradossalmente addirittura un lato oscuro, opposto al sentimento rivoluzionario che la sottende, fino a rivelarsi addirittura reazionario.

Se guardiamo al paese paladino dei diritti civili, gli Stati Uniti, ed allarghiamo lo sguardo anche all’Inghilterra o alla Francia, notiamo subito un evidente paradosso: i campioni dei diritti sono gli stati in cui capitalismo ed imperialismo si esprimono con maggiore forza e crudeltà. In America, in particolare, appare quasi antitetica la sovrapposizione tra lotta per i diritti e classismo censitario e sociale. L’affermazione della felicità individuale va di pari passo con un divario sempre più insostenibile tra chi ha accesso a tale felicità e quanti sprofondano nell’indigenza.

La domanda appare legittima. È possibile che la lotta per i diritti civili non serva a coprire l’assenza di qualcosa di più profondo, ovvero l’assenza di una battaglia contro le cause originarie che impediscono all’uomo di realizzare se stesso? È legittimo pensare che la passione espressa da questi paesi per i diritti civili serva a far dimenticare o almeno rimandare la sfida al problema reale, ovvero la risoluzione dei diritti politici? La risposta, a mio avviso, è positiva.

Diritti politici: “Insieme dei diritti che rendono possibile a tutti i cittadini, in posizione paritaria, la partecipazione alla vita politica dello Stato (per es. il diritto di voto) e l’esercizio di cariche pubbliche (per es. il diritto di accesso ai pubblici uffici) nelle forme e attraverso gli istituti predisposti dall’ordinamento giuridico.”

Come possiamo notare, quando si parla di diritti politici, è ineludibile affrontare il problema delle condizioni economiche del cittadino, perché senza la loro effettiva soluzione, l’esecuzione di tali diritti appare insormontabile. Mentre per i diritti civili è necessaria una formulazione giuridica progressista, per la realizzazione dei diritti politici serve un completo ripensamento dell’idea di Stato, e di società.

Non sembra dunque casuale la “doppia morale” esibita da certi Stati. Da una parte si tenta di mostrarsi moderni e democratici, dall’altra permangono differenze colossali tra chi di quei diritti può usufruire, e chi no.

Un ricco gay di Manhattan non avrà certamente gli stessi problemi di un povero disoccupato omosessuale di un piccolo paesino del Texas: entrambi desidereranno riconosciuta la possibilità di unirsi al proprio compagno in maniera ufficiale, ma certamente il problema reale che avvolge le loro vite è la discriminazione economica imposta da uno stato capitalista.

Si arriva quindi ad una paradossale contraddizione, in apparenza: quanto più uno Stato o un presidente si cimentano nella affermazione dei diritti civili, tanto più vediamo mascherata ed occultata la radice vera delle discriminazioni, ovvero la mancata soluzione dei diritti politici, assenti ingiustificati nel dibattito contemporaneo. Proprio gli Stati Uniti, con la loro vocazione narcisistica a mostrarsi paladini dell’individuo e promotori della felicità universale, dimostrano che l’obiettivo finale non è l’umanità, ma l’occultamento della differenza delle classi sociali, e, in questo occultamento, l’interesse unico per le esigenze dell’alta borghesia.

I diritti civili nascono in essa e si rivolgono ad essa, e sebbene si possano applicare a tutti, diventano solo lo specchietto delle allodole di un mondo ipocrita se non vi si accompagna contemporaneamente la più giusta e necessaria battaglia per i diritti politici dell’individuo.

Per concludere, non si vuole certo negare l’importanza dell’affermazione dei diritti civili, ma soltanto l’importanza che non vengano usati per occultare i drammi prodotti dal mondo capitalistico, la cui soluzione è possibile soltanto se si risolvano in maniera corretta i diritti politici degli individui e dei popoli.

 

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