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Roberto Dottorini

IL FUOCO DEL COLORE - Personale di Roberto Dottorini


venerdì 1 marzo 2013 di Pietro di Loreto

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Il lungo percorso formativo di Roberto Dottorini (Chiusi 1956), iniziato all’Accademia di Belle Arti di Roma sotto la guida di Giovanni Dragoni e poi di Emilio Greco, certamente uno dei più grandi scultori del XX secolo, conosce uno straordinario momento di verifica con questa notevole antologica ospitata nei locali della Fondazione Varrone a Rieti

E’subito evidente nei suoi lavori la netta prevalenza dell’aspetto ‘percettivo’ dell’opera d’arte, vale a dire l’idea della organicità tra il suo mondo e chi osserva e, di conseguenza, anche l’interesse verso l’elemento comunicativo, cioè verso il coinvolgimento dello spettatore grazie ad una plasticità ‘purificata’, semplificata, ed anche cromaticamente originale.

E’ possibile racchiudere una simile esperienza frutto di una vocazione assolutamente individuale all’interno di una precisa e definita tendenza dell’arte contemporanea?

Se è vero che il lavoro del critico consiste anche nel tentare di ‘classificare’ artisti ed opere e nell’individuare le radici su cui cresce una personalità artistica, ciò sarebbe ingenuo e riduttivo nel caso di Dottorini.

“L’opera d’arte ha solo bisogno di essere interessante” proclamavano i seguaci della filosofia pragmatista agli inizi del Novecento. Ma l’arte di Dottorini si distingue dalla filosofia per il fatto che non appare interessata ad astrarre, bensì a concentrarsi sullo specifico, seguendo la scia, si può dire, dei Costruttivisti che per primi avevano liberato la scultura dalla logica della ‘rappresentazione’ rifondandola come “forma autonoma” (cfr A. Nigro, Estetica della riduzione, Cleup, Padova, 2003).

Riaffermando l’idea di un’autonomia formale della scultura, non certo priva di attenzione verso i materiali, Dottorini ribadisce la natura assolutamente personale del suo modo di operare, come s’intuisce dalla capacità di manipolazione del materiale plastico e dalla limpidità del suo linguaggio, con quell’evidenziazione dei contorni e con quella ricercata precisione, descrittiva e mimetica allo stesso tempo, tipiche del suo standard creativo.

Si prendano come esempio due opere del 2009 come i Nodi rossi (cm 77 x 77; ceramica smaltata su legno) pressochè replicata nei Carri stellari (cm 83 x 63; ceramica smaltata su legno) e si confrontino con la splendida, più recente Tempesta del 2012 (cm 50 x 53, ceramica smaltata su plexiglas) (figg. 1, 2, 3) ; ecco : l’originalità del processo creativo, la varietà di soluzioni, la potenzialità dei percorsi: tutto questo dichiarano le opere di Dottorini, insieme con la necessità di esprimere la propria autenticità e di rappresentare –con la materica sensualità delle sue sculture e ceramiche- le emozioni e gli ideali del suo mondo, che sono in verità gli stessi del nostro mondo.

Non mancano nel cammino dell’artista esperienze diverse da quelle prettamente scultoree, inizialmente come pittore e poi come progettista-designer, che hanno certamente contribuito a determinare l’acquisizione di un linguaggio schietto e lineare, basato sull’essenzialità e sulla sintesi che rende all’artista la capacità di padroneggiare le più ampie espressioni del fare artistico, mettendole al suo servizio. Ne sono chiaro esempio, a nostro parere, numerosi suoi lavori; basti pensare a l’ Evento del 2010, cm 28 x 38, e soprattutto a la Goccia del 2011, cm 60 x 60, la prima una ceramica smaltata su legno, una scultura lignea l’altra (figg. 4, 5) dove certamente l’immaginazione opera e lascia riflettere, corroborando però, allo stesso tempo, l’analisi del ‘vero’, la volontà del confronto con il dato reale.

Servendosi di mezzi espressivi variegati e di un linguaggio estetico che non si giustappone mai a quanto possa stimolare la sua ricerca, Dottorini sposta sovente la sua concentrazione lungo il crinale della implicazione metaforica, sul simbolo, come mero strumento di ricerca della forma; ma ogni figurazione parte inevitabilmente sempre da un atto estetico, da un saper cogliere l’elemento reale, concreto.

Ne sono testimonianza, tanto lo svolgimento piano e scorrevole animato da fluenti e lineari sovrapposizioni dell’elemento plastico in una delle ultime opere come il Muro d’acqua del 2013 (cm 50 x 60, ceramica smaltata su plexiglas), quanto l’incombenza scalena e quasi scomposta della davvero affascinante Pioggia metallica anch’essa del 2012 (cm 50 x 35) lavorata su alluminio, a dimostrazione, come peraltro già si faceva cenno, di una ragguardevole padronanza del complesso delle tecniche artistiche (figg. 6, 7)

Questa stessa padronanza, insieme a quella che appare un’evidente ricerca di semplificazione formale –si veda la scelta prevalente delle simmetrie e di volumetrie regolari- e insieme all’uso di materiali ‘poveri’ (legno, compensato, cartone) o anche industriali (plexiglas, alluminio anodizzato, polistirolo), testimoniano di una pratica artistica unica ed originale.

Non a caso quindi l’arte di Dottorini, il suo virtuosismo plastico, mirano alla realizzazione di un sistema visivo, nonché comunicativo, che si propone su piani diversi. Oltre a quello ‘percettivo’ –cui si è fatto cenno- basato su un linguaggio che peraltro sembra voler prendere le distanze da un certo clima artistico che in genere guarda con sufficienza, per non dire diffidenza, nei confronti di questo tipo di abilità e padronanza della tecnica, emerge il piano del rapporto tra natura e invenzione, vale a dire tra ‘visione’ e ‘riproduzione’, come se, cioè, messi di fronte all’oggetto creato, ossia davanti ad una ‘realtà’, dovessimo imparare a vedere di più ed oltre.

In una delle sue ultime opere tra le più significative, il Soffio del 2013 (cm 42 x 50; ceramica smaltata) questo aspetto ci appare particolarmente evidente, laddove la ceramica, pur disegnando forme chiuse ed inviluppate, sembra evidenziarsi in un’iconografia che irradia intime emozioni (fig. 8).

E allo stesso modo un senso di inquietudine sembrano trasemttere Ordine e disordine del 2012 (cm 50 x 92, ceramica smaltata su legno) e Facce della terra del 2011 (cm 38 x 58, ceramica smaltata) o ancora Folgore Fulmini e Saette, una eccezionale scultura su cartone espanso, anch’essa realizzata nel 2011, dove l’ordinato aggrovigliarsi dell’elemento ligneo, frutto di una basilare purezza espositiva, fa pienamente cogliere il simbolismo aggressivo e lo stile rigoroso (figg. 9, 10, 11).

Ma ancor più evidente si palesa l’intenzionalità mimetica in opere quali il Muro Nero del 2012 (cm 38 x 117, ceramica smaltata su legno, fig. 12) piuttosto che nelle Onde del 2012 (cm 50 x 98, ceramica smaltata su legno) laddove i volumi -rappresentati come fossero ora statici ora in movimento- trasmettono sensazioni combinate di dissolvenza e ricostituzione (fig. 13); e in questo senso, davvero straordinarie per ispirazione e risultati ci sembrano anche opere che a prima vista dovrebbero apparire più ‘semplificate’, come sono in questa mostra il Labirinto del 2010 (cm 73 x 90, ceramica smaltata su legno) o il Fiume del 2012 (cm 32 x 52; ceramica smaltata su legno) (figg. 14, 15) che suggeriscono, a chi si sofferma davanti ad esse, un misto di inquietudine e smarrimento, in una sorta di sintesi quasi perfetta del carattere e dello spirito che animano tutto il lavoro dell’artista.

P.S.

Galleria d’arte moderna e contemporanea Rieti. Officine Fondazione Varrone._ Rieti, Piazza San Giorgio. 23 febbraio – 21 marzo 2013


 

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