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IL DISORDINE DELLE COSE (La Lepre Edizioni , Roma 2014)

Passaggio in Finlandia: un racconto ironico e spietato sulle giovani generazioni di oggi “senza santi in paradiso”

Una giovane scrittrice alla sua terza esperienza narrativa, in un romanzo senza sfumature e senza facili compiacimenti che si legge tutto d’un fiato
lunedì 1 dicembre 2014 di Pietro di Loreto

Argomenti: Sociologia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Silvia Pingitore


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Non sappiamo se questo nuovo romanzo, il terzo, di Silvia Pingitore finirà se non nella classifica dei best sellers quanto meno nella lista dei romanzi consigliati dai ‘critici’, certo è che lo meriterebbe, per l’originalità della storia, per la capacità di caratterizzazione dei personaggi, ma soprattutto per l’impatto a volte inquietante che certe situazioni evocano, alla stessa stregua di un carillon impazzito dove tutto –i passaggi temporali, le cose viste e fatte, le vicende delle persone- sembra muoversi a scatti.

Ed in effetti, sotto questo aspetto “Il Disordine delle cose”, appena pubblicato per i tipi di una giovane quanto meritevole casa editrice romana, La Lepre Edizioni, è un titolo assolutamente appropriato per una narrazione del genere, tanto più che entra in una collana di letteratura contemporanea, Visioni, ideata proprio per “proporre una visione del mondo inedita”

Il libro non a caso mette in scena una sorta di analisi comparata di “una generazione senza santi in paradiso”, condotta con gli strumenti narrativi più adeguati, ed elaborati al meglio dall’autrice, la quale fa continuamente trasparire –pur non dichiarandolo apertis verbis - qual è il suo punto di osservazione, la sua “visione del mondo” per l’appunto, o meglio ancora, se vogliamo, da quale parte sta, come si può capire peraltro dalla citazione presa dal Dubbio made in Italy, (un video di tre giovani romani, il Gruppo Zero) e posta in apertura di romanzo, nonché dalla scelta degli aforismi che inaugurano ogni capitolo.

Né poteva essere altrimenti, se immaginiamo come i personaggi siano stati plasmati - spietatamente viene da dire - proprio per delineare e in qualche misura anche denunciare lo scollamento a livello sociale che subiscono le giovani generazioni di oggi, incerte e spesso divise tra voglia di fare e paura di cambiare, specie se ciò significa, come capita molto spesso, partenza ed abbandono del proprio paese.

Tra loro, in primo luogo Lucia, la protagonista, una ventenne universitaria il cui importante ma solo omonimo cognome, Fellini, se sarà inizialmente oggetto di fraintendimento tra i ‘Tanti Nuovi Amici’ approcciati in un improbabile corso di laurea in S.C.E.M.I. (Scienze Comunicative § Mediazione Intercontinentale), tuttavia non la salva certo dalla marginalità e dalle ristrettezze; è lei che sarà coinvolta, quasi senza volerlo, in un viaggio che si rivelerà davvero formativo, come una sorta di percorso di educazione non tanto sentimentale quanto vitale, se si può dire, una specie di cammino ad ostacoli che evoca vari precedenti letterari, ma dove ci si muove quasi sempre sull’orlo della crisi e dell’ imprevisto.

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Niente di più curioso, c’è da dire, per una ragazza che “dall’età di dodici anni nascondeva a se stessa e al mondo “quei giorni, ora incresciosamente rievocati dalla inquietante e misteriosa scritta apparsa sui muri di un bagno della facoltà : ”Sangue, stai fermo … sangue cessa di sgorgare …” a firma di un altrettanto misterioso ed inquietante Kalevala, che tuttavia sarà poi una sorta di convitato di pietra, continuamente evocato, il suo autentico filo conduttore, in qualche modo consolatorio, se non proprio incoraggiante, in quello stralunato viaggio.

Alle lezioni universitarie ovviamente non mancano alcuni altri sfuggenti protagonisti della storia, che accompagnano Lucia per una buona parte del romanzo.

Innanzitutto Nicolò, Nik, un meridionale fuori sede abbastanza attempato e naturalmente fuori corso, probabilmente irretito dentro una spirale malavitosa che si stenta a delineare ma che certamente sembra più grande di lui, descritto ogni giorno “impaziente di uscire dal letto per andare in facoltà, dove finalmente poteva dormire in santa pace”, intento più ad appiccicare adesivi pro Palestina sui lampioni della città che non allo studio; e al suo fianco Demetria, che ne è segretamente attratta e passa le notti a copiare per lui i suoi appunti -“mentre scriveva pensava a Nicolò: chissà come passava lui le notti…”- in un’abitazione “alle soglie di Roma, dentro un mostro di cemento affacciato sul centro commerciale che sfamava il quartiere”.

Periferie desolate, stanze d’affitto trasformate in dormitori per extracomunitari, padroni di casa ossessivi, famiglie che vivono la loro mediocre esistenza di una banalità sconcertante, professori che si muovono tra precarietà e sfruttamento del loro ruolo a volte per scopi indegni: è un universo senza possibilità di sintesi quello che Silvia Pingitore mette in scena.

Vi possono comparire tipi come Ludovica, l’amica ‘sveglia’ di Lucia (“Che ragazzina che sei – le dice - non ti eri neanche mai fatta una canna !”) quella che ha organizzato il viaggio in Finlandia senza poi però poterci partecipare, anch’essa attratta da Nicolò e capace di frasi che paiono sentenze degne di poter essere scolpite :” Quando nell’aria si respira sesso è sempre un problema. Soprattutto per gli assenti”.

Ed una notazione va fatta su questo tema del sesso -che pure ha segnato il facile successo commerciale per altre scrittrici altrettanto giovani: la moda dell’eros evidentemente non contagia affatto la Pingitore dal momento che, certamente a bella posta, non vi insiste pur a fronte di protagonisti così giovani e ‘liberi’ come Lucia ed i suoi Tanti Nuovi Amici

Il tema non entra nel romanzo se non a latere, così, quasi di sfuggita, in un modo anche poco edificante, con il professore che approfitta dell’allieva o con l’evanescente ricordo di un fugace amplesso in un bagno della facoltà, protagonista ovviamente la ‘sveglia’ Ludovica, la cui vera fisima –si scoprirà- è che non può riferirsi ai genitori come mamma e papà, perché costretta dagli stessi a chiamarli per nome : probabile rimasuglio, c’è da ritenere, di un malinteso senso comunitario post sessantottino.

Un senso che evidentemente manca del tutto al cugino Mirco, che accompagna Lucia nelle varie mete finlandesi, sempre borbottando, sempre scontroso, sempre in disaccordo e riottoso verso la cugina che rimprovera continuamente e contro cui si scaglia come fosse un punching ball.

Eppure la ragazza non appare mai delusa, amareggiata o peggio ancora ossessionata nel corso del viaggio, ed anzi l’autrice è sempre attenta a ricalcarne in senso positivo le sfumature caratteriali; è lei che riesce ad aprire le lattine “senza spargimento di sangue” o che “per far piacere al suo cugino” pensa di regalargli qualcosa:” Un maschio dovrebbe essere sempre felice di ricevere una chiave inglese”.

E’ evidente anche in queste brevi citazioni come la scelta della figura retorica dell’ironia sia l’autentica cifra stilistica di questo lavoro, ma è un’ironia che se pure a volte spinge al sorriso, non induce però al compiacimento: le pagine con cui questa giovane autrice traccia un profilo delle nuove generazioni sono prive di boria ma, a quanto pare, anche di capacità reattiva, come se al tramonto dei grandi ideali si sia sostituita la totale indifferenza.

Lasciamo ai lettori poter giudicare se tuttavia, magari sotto traccia, magari oltre il peso degli eventi, esistono ancora le persone vere e la loro capacità di agire.