Una donna bionda passeggia su una spiaggia deserta, è una mattina autunnale, si ferma spaesata guardandosi intorno, chiede aiuto ad un giovane a cui dichiara di essersi persa, si tratta di Monica, una donna che abita in una casa sulla spiaggia insieme al marito Edoardo.
Sta perdendo la memoria.
Roberta Torre, omaggia Monica Vitti, ricostruendo la storia di un’omonima, Monica, (Alba Rohrwacher) che sta perdendo la memoria ed è sospesa tra la sua vita e i sogni. Le è stata diagnosticata la sindrome di Korsakoff, ed è una malattia irreversibile. La donna si aggira per le stanze della sua casa, perdendo sia i riferimenti che i volti della sua vita, eppure nella confusione che vive, cerca di ritrovarsi attraverso i film dell’attrice che ha sempre ammirato ed amato, Monica Vitti.
Accanto a lei il marito Edoardo (Filippo Timi), l’uomo che l’ama profondamente e che nella paura del domani, spera che questo immedesimarsi possa farle accettare la realtà e permetterle di vivere, giocando ad impersonare i film dell’attrice, La notte, L’eclisse, Deserto rosso, Teresa la ladra, Amore mio aiutami, Polvere di stelle, mentre Monica viaggia tra ricordi e illusioni, conversando con uno schermo e confondendo il cinema con la realtà, Edoardo tre le mille difficoltà materiali, tenta di trattenerla nella vita vera.
Alba Rohrwacher convince in questo ruolo di assente e confusa, ha una somiglianza semiotica estesa piuttosto che una somiglianza ristretta con Monica Vitti (per dirla secondo Wittgestein), vestita, acconciata e mimando certe caratteristiche dell’attrice scomparsa, occupando lo spazio nel “reframe” delle scene iconiche dei film, la Monica omonima finisce per mimetizzarsi nell’originale.
Le due donne scompaiono l’una negli occhi dell’altra, superando la paura e permettendo alla mente di trasformare il punto di vista sulla malattia, da negativo a positivo. Dimenticare, come le aveva spiegato durante una visita il neurologo, è forse l’unico modo per andare avanti, ma occorre che il ricordo smetta di bussare invano alla porta della mente provocando il precipitare nella “tristezza da cane” che impedisce la vita e rassegnandosi a costruire l’esistenza, ogni volta daccapo, come una protagonista sempre diversa di ogni film.