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Lettera a te


mercoledì 15 novembre 2006 di Arturo Capasso



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Era verso mezzogiorno; da alcune ore stavo bruciando le sterpaglie accatastate giorni fa, i rami secchi del mandarino, i rami freschi del bongazzone che infesta continuamente il terreno coi mille semi.

Non era un lavoro pesante, governare quel fuoco, che col venticello prendeva forme strane o saliva dritto.

Quando brucio gli aghi di pino, il fuoco dura solo pochi minuti. E se c’è dell’erba bagnata, bisogna stare attenti a che non soffochi la fiammella appena nata. Il fumo ti può venire incontro, appena cambia il vento.

Stamattina c’erano anche dei grossi tronchi che hanno cominciato a bruciarsi lentamente.

E cosa sono i nostri sentimenti? L’amore, l’odio, la passione per una donna, una causa, una ideologia, la rabbia, lo sdegno, la gioia, la serenità.

Sono solo e semplicemente dei fuochi.

E li puoi paragonare a sterpaglia secca che brucia velocemente, o a tronchi: richiedono tempo, pazienza, capacità; ma una volta che “hanno preso piede” ti danno calore e fiamma per molto tempo.

Allora, che sarà mai il nostro, un fuoco di paglia, come si dice solitamente, o un fuoco robusto, che dura a lungo, che è intenso, tanto da resistere anche se viene un acquazzone?

Come altre volte ho sistemato i fogli di giornale sul piano inclinato e mi sono seduto, come se fosse una poltroncina.

Il sole era proprio di fronte, l’aria frizzante e nitida. Lontano, qualche rumore di barca : i pescatori arrivano sempre qua sotto e buttano le reti o le nasse; la zona è particolarmente pescosa, perché ci sono correnti e i fondali ricchi.

Mi sono seduto e ho pensato: vorrei tenerti qua vicino.

Dovrei scrivere una poesia?

E come vorrei tenerti seduta qui,accanto a me?

Vedi, ho pensato a lungo ed ora ti dico.

Che desiderio avevo? Ho passato velocemente in rassegna le varie ipotesi e poi mi sono soffermato soltanto su una.

Tenerti qui, questo mi sarebbe piaciuto. Ma tenerti in silenzio, come spesso fai tu e provare solo la gioia di guardarti, di accarezzarti lievemente .

La mia mano doveva muoversi dolcemente sul tuo viso, fra i tuoi capelli.

E tu avresti chiuso gli occhi e saresti rimasta così, mansueta.

Desideravo qualche altra cosa? No, null’altro. Aggiungerei che avrei voluto anche prenderti la mano e stringerla, ma sempre lievemente, per non farti perdere il dolce torpore nel quale sicuramente saresti caduta.

Allora: tutto qui? Si, tutto qui. E questo cos’è ? Io lo so, ma voglio chiederlo anche a te, dolce farfalla.

Mi accorgo che , quando ho iniziato questa lettera, non ho scritto il tuo nome. Allora ti leggo dei versi che tu già conosci:

Il tuo nome
non lo conosco
Ha importanza?
Il tuo nome
non lo conosco
Il tuo nome
è scritto nel vento
di questo mattino
Il tuo nome
si chiama
passione.
 

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