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Dans l’espace d’un matin


giovedì 20 luglio 2006 di Arturo Capasso



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Finalmente c’era riuscito! Quante volte aveva sperato, sognato. E quante volte glielo aveva chiesto, implorando, supplicando. Ma lei era stata sempre restia e non voleva assolutamente che i loro rapporti andassero oltre un certo limite. Lui aveva faticato a conquistare la sua mente e la sua immaginazione. Le aveva inviato lettere ardenti, come faceva anni prima , e aveva composto per lei diverse poesie, ritraendola in vari atteggiamenti, come se fosse stata la tavolozza d’un pittore.

Lettere e poesie erano piene di fremito e lei se ne rese conto. Non poté rifiutarsi che lui accarezzasse quei lunghi capelli neri. I passi erano piccolissimi, quasi impercettibili. Quando le prese la mano e non ebbe una brusca risposta, toccò il cielo con un dito.

Mesi e mesi di attacco a quella fortezza inespugnabile . L’ascolto di una musica, il racconto d’un fatto frivolo o il commento sarcastico a qualche episodio televisivo la facevano sorridere e allora lui prendeva coraggio, allungava la mano e l’accarezzava. Accarezzava il viso dolce,il lobo dell’orecchio, le braccia, la mano che poi cercava d’intrecciare con la sua e la resistenza diventava sempre più flebile, salvo ad avere una reazione improvvisa, che ormai non ti saresti aspettato.

Guidava piano,non voleva perdersi il piacere di gioire con lei per la strada che cominciava ad innevarsi, man mano che salivano. Tutta la notte era nevicato e gli alberi avevano un aspetto magico; poche auto scendevano dalla collina. I ragazzi già erano a scuola e le piccole botteghe del paese a valle avevano aperto i loro battenti.

La casa aveva tetti spioventi ed era avvolta da alti pini. Un viottolo menava all’ingresso che risultò subito familiare. Andarono al piano di sopra e quando entrarono nella camera si sentì lo schioppettio della legna secca che ardeva nel camino. La camera aveva un arredamento essenziale, forse era stata parte d’un salotto. Il camino stava al centro della parete centrale, come se avesse voluto indicare il ruolo che svolgeva. Era costruito in mattoni rossi con grossi legni ai lati. Il tempo e l’uso continuo davano ora l’aspetto d’un pezzo antico. Sopra la mensola c’erano delle statuette di rame e la riproduzione di due vecchie armi.

La luce era fioca, c’era un lume che era stato sistemato nell’angolo a destra del camino. Un grosso divano era quasi al centro della camera,verso il fuoco. Lui la prese per il braccio e la invitò a sedersi. Non gli sembrava vero averla davanti, anzi vicino. Si era ricordato che le piaceva il cioccolato al latte e ne aveva preso un bel pezzo. Lo aprì piano, tolse la carta dorata, ne staccò un quadrato e lo portò alla sua bocca. Ringraziò, gustò. Aprì una bottiglia di demi sec e ne versò due coppe. Bevvero a piccoli sorsi, il fuoco ardeva nel camino e stava prendendo anche i loro corpi.

Raccontami qualcosa, gli disse . E lui lesse delle poesie che aveva scritto in suo onore e che le piacevano tanto. S’era infatti identificata in quelle immagini :

E’ una farfalla /Scende agile/giù nella valle /coi suoi colori/forti, solari./E’ una farfalla /Posso toccarla?/E perché? /Avrebbe senso? / Guàrdala / E’ così libera / E’ una farfalla.

Un’altra poesia che le piacque fu: Sciogli i tuoi capelli/ li voglio guardare/ al riflesso del sole/ Sciogli i tuoi capelli/li voglio accarezzare / mentre i tuoi occhi/ sfuggono veloci/ e la tua bocca / sorride silenziosa.

Quando cercava di conquistarla e non ci riusciva lui s’incupiva e scriveva : Puoi dire / alle onde del mare/ di fermarsi?/ Puoi dire /al vento che soffia / di fermarsi? E perché / vuoi dire / al mio cuore / di fermarsi?

E dopo le poesie lui raccontò e raccontò, tanto che alla fine gli disse: ma com’è lungo, questo racconto. Colto sul vivo, le fece presente che Thomas Mann aveva riempito cinquantotto pagine per descrivere un pranzo .Aggiungeva che aveva scritto cose stupende, ma che era stato costretto a lasciare la Germania e ad espatriare, anzi a rifugiarsi negli Stati Uniti. E lei chiese: ma era ebreo? Si, lo era.

Lui s’era tolto la camicia azzurro pallido a righe sottili e dal collo largo :volle che lei l’indossasse. Era splendida, coi suoi lunghi neri capelli sciolti,con quelle labbra carnose invitanti tanto attese. La musica era molto bella: il cielo in una stanza. A lei piaceva e fu riascoltata.

Che bella giornata, si stava presentando. Tutto sarebbe successo dans l’espace d’un matin, in un arco d’un mattino. E dove sarebbero arrivati, una volta insieme e soli davanti al camino, una volta che quella stanza sembrava una grande enorme vallata ricoperta da un cielo stellato? Si sarebbero finalmente scambiati quei baci tanto chiesti attesi desiderati?

Drin. drin..........suonò la sveglia. Finì il sogno

 

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