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Hiroshima come Hauschwitz, il male assoluto

L’apocalisse rimossa
giovedì 13 maggio 2010 di Anna Maria Casavola

Argomenti: Storia


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Mentre nei nostri discorsi é frequente la citazione di Auschwitz, divenuta incarnazione del male assoluto, non altrettanto ricorrente è il ricordo dell’apocalisse atomica che concluse la seconda guerra mondiale, che è stato rimosso sia da quelli che ne furono gli autori, gli americani, sia da quelli che la subirono, i giapponesi. Una vera e propria congiura del silenzio, certamente per imbarazzo morale gli uni, per pudore i secondi. Questi hanno allontanato dallo sguardo le immagini e le testimonianze terrificanti di quell’evento, custodite nascoste in un museo (il Museo della Bomba a Hiroshima) e hanno imposto l’oblio del passato, nei manuali scolastici giapponesi non più di tre righe sono dedicate a quell’evento. Tuttavia ciò che è meno comprensibile é che sia stato rimosso anche dalla coscienza collettiva del mondo…

Evidentemente per non voler fare i conti con quelle spaventose, forse, ingovernabili forze, oggi che, con tanta leggerezza, si programmano ancora centrali nucleari, senza aver risolto né tentato di risolvere il problema di dove seppellire le scorie, attive per migliaia di anni. Ma ricostruiamo i fatti per ordine…

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Per piegare il Giappone che resisteva ancora, ma più verosimilmente per dare un avvertimento al gigante sovietico, perché la guerra fredda tra i due blocchi era già iniziata, gli USA, il 6 agosto 1945, alle ore 8,14 lanciarono su Hiroshima una bomba di quattro tonnellate, la little boy, con un cuore di uranio puro. Un lampo di fuoco, un enorme fungo di polvere, un città che non c’è più. Il 9 agosto alle 11 del mattino è la volta di Nagasaki, la bomba questa volta è di plutonio, in un niente si porta via case e abitanti. Ma erano proprie necessarie quelle bombe?

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Foto di Hiroshima
Robert L Capp Collection
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Hiroshima Le Monde

Il 13 agosto il Giappone, che era già alle corde, offre la resa senza condizioni. La seconda guerra mondiale è finita, ma a quale prezzo! Le vittime questa volta sono tutte civili, uomini, donne, bambini, vecchi, spazzati via all’istante, disciolti, inceneriti per il tremendo impatto, oppure ridotti ad ombra, rimasta impressa sui muri. Molti, ancora più sventurati, destinati a morire successivamente per le piaghe e le ustioni che si aprono nella pelle come carboni ardenti.

Le vittime ad Hiroshima sono cento quarantamila, a Nagasaki quarantamila, ma le radiazioni hanno continuato ad uccidere, ogni anno migliaia di persone fino ad oggi. A più di sessanta anni di distanza si calcola che siano morte per malattie, dipendenti dalle conseguenze della bomba, trecento cinquantamila persone. Qualche tempo fa, il 10 agosto 2008, a Nashville, nel Tennessee, è morto il fotografo O’ Donnel che immortalò l’orrore atomico e che, esposto per settimane alle radiazioni, ebbe non pochi problemi di salute, ma soprattutto, dopo quell’esperienza, divenne un uno strenuo oppositore dell’atomica, tanto da avere l’ostracismo dai media del suo paese, dove la sua morte è caduta nel dimenticatoio.

Gli effetti dell’atomica sono risultati terrificanti non tanto per il numero delle vittime – i bombardamenti aerei alleati sulle città tedesche e quelli dei tedeschi sulle città inglesi avevano fatto anche numeri maggiori – ma per le modalità, per l’orrore e la quantità di sofferenze inflitte ad esseri umani.

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Data da allora, secondo il poeta Bertold Brecht, il peccato d’origine della scienza moderna, la perdita della sua innocenza. Lo scienziato non può più ignorare le terribili conseguenze delle applicazioni delle sue scoperte. A inquietare di nuovo le coscienze, a più di 60 anni, è emerso un nuovo documento agghiacciante, dieci immagini fotografiche scattate appena 4 giorni dopo da un fotografo senza nome e poi, probabilmente, morto per le radiazioni, ma arrivato in tempo per fermare le immagini della catastrofe, prima che i bulldozer americani cancellassero quelle cataste di morti.

In verità ogni guerra, ogni genocidio, ogni olocausto ha sempre almeno un superstite che torna a raccontarceli, come queste foto per cui non si può far finta che non sia accaduto. Quel rollino un soldato americano Samuel Capp trovò per caso, frugando in una caverna, dopo l’occupazione. Le sviluppò e le tenne per sé per cinquant’anni, poi le consegnò ad una fondazione presso l’università di Stanford con l’impegno di non renderle pubbliche prima del 2008.

In Italia ne ha dato notizia il giornale La Repubblica il 7 maggio 2008, e dall’articolo di Vittorio Zucconi, corrispondente dagli USA, voglio trascrivere il seguente commento:”Guardare quelle dieci foto (…) significa rivedere istantaneamente le cataste di cadaveri di Mauthausen, le fosse comuni in Ucraina, gli ebrei della rivolta di Varsavia, i bambini di Halabia, il villaggio gassato da Saddam Hussein, i soldati iracheni sollevati dalle ruspe americane e inglesi, lungo l’autostrada della morte Kuweit City e Basra nel febbraio del 91 e poi ricoperti dalla sabbia, senza guardare troppo per il sottile chi fosse morto o morente (…). Di fronte a queste fotografie si può invocare il diritto della propria causa, si possono e si debbono ricordare le responsabilità, ma nessun combattente può mai pretendere l’assoluzione preventiva dalle atrocità implicite in tutte le guerre.”

Oggi, anche se non c’è stata un’altra guerra atomica perché la paura ha funzionato come deterrente e si é proceduto ad un processo di parziale disarmo alla fine degli anni ottanta - sotto l’impulso dell’allora presidente sovietico Mickail Gorbaciov – oggi – dico - gli arsenali atomici si sono moltiplicati. Ed essi sono a dismisura più potenti di quelli degli anni 50. Secondo dati riportati dai giornali, gli USA con le 10315 testate nucleari sono la prima potenza atomica. Seguono la Russia con 7200, la Cina con 410, la Francia 315, la Gran Bretagna 200. Ancora Israele ne ha tra i cento e i 170, l’India tra i 75 e i 110, il Pakistan tra i 50 ed i 110. Ed alla lista bisogna aggiungere anche l’Iran e la Corea del Nord che reclamano il loro diritto a fornirsi di armi nucleari. Che fare?

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Ciò che di certo insegna la storia é che non si ascoltano le sue lezioni.

Scriveva Albert Camus l’8 agosto 1945 questo appello che vale la pena di rileggere: ”Davanti alle prospettive terrificanti che si aprono all’umanità, ci accorgiamo ancora di più che la pace è la sola battaglia che meriti di essere combattuta. Non è più una supplica ma un ordine che deve salire dai popoli ai governi, l’ordine di decidere definitivamente tra l’inferno e la ragione

 

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