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Dieci giorni da Nilonauta.

Note a margine di un viaggio in Egitto (molto acute e divertenti).
martedì 3 febbraio 2009 di Michele Penza

Argomenti: Attualità
Argomenti: Mondo
Argomenti: Racconti, Romanzi


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Non ci pensavo proprio all’Egitto, alle sue piramidi e all’eventualità di un giretto da queste anche troppo famose contrade. Non ne avevo mai avuto prima il desiderio poiché non potevo nemmeno ipotizzarne la possibilità. Questo mi è nato quando mia figlia mi ha chiesto di accompagnarla per una breve vacanza sul Nilo. Ho aderito con piacere ed eccomi qua spaparanzato sulla terrazza della Grand Princess, una delle sontuose navi albergo che pascolano turisti di ogni specie e colore lungo il tratto Luxor - Assuan e ritorno.

La sicurezza. Il grande problema del turismo nei nostri giorni è quello della sicurezza e qui ne vedo proposta una soluzione che vuole essere radicale, e direi che raggiunga l’obiettivo. Questo paese, che poggia la sua economia per l’80% sul turismo e il suo indotto, tutto vuole sentire in casa sua tranne fragore di spari che spaventi e allontani i visitatori. Non siamo lontani dal Sinai e da Gaza dove c’è quello che sapete e dove si raccolgono ogni giorno i morti e i feriti, e per l’Egitto le insidie possono venire più che dall’esterno dall’interno stesso del mondo arabo. La situazione è delicata e credo che il timoniere della feluca che ci ha scarrozzato tra gli scogli della prima cataratta sia una matricola rispetto a quel volpone di Mubarak che è riuscito a galleggiare al potere per ventisette anni senza suscitare grandi amori ma neppure troppi sconquassi.

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Cairo Mercato

Qui la sicurezza è condizione di sopravvivenza per il paese, necessaria come l’aria, e tutti sono attenti a fartene percepire la sensazione concreta. Ovunque ti possa trovare, tranne che nel deserto dove senza scorta non ti fanno andare, se giri gli occhi intorno vedi da qualche parte un militare a portata di voce. I controlli sono attivi in tutti i principali incroci stradali e tessono una fitta rete nelle aree urbane, che diventa ancora più fitta attorno ai siti di interesse archeologico, che non sono pochi. Non parliamo dei metal-detector su ogni porta di locali pubblici e privati frequentati dai turisti, e non parliamo dei controlli a passaporti e biglietti, tre dei quali concentrati negli ultimi trenta metri che separano il Gate dell’aeroporto dall’autobus che ti porta all’aereo.

Malgrado ciò non si può dire che qui si respiri aria gelida da Unione Sovietica. L’idea che potrà sembrare banalissima, e a taluni potrà anche dar fastidio, di mettere il maggior numero possibile di gatti a parare un eventuale assalto di topi che potrebbero saltar fuori da qualsiasi buco, alla prova dei fatti funziona perché salva il formaggio senza disturbare più di tanto, e in più costituisce una offerta di lavoro rilevante alla classe più povera. La gente di qui è naturalmente portata alla gentilezza e alla disponibilità, tu non ti senti chiuso in gabbia e i controlli sono rapidi, cortesi e mai fiscali. Lo capisci che non ce l’hanno con te, non sei tu quello che loro guardano con sospetto e tu sai che chi ti controlla considera il tuo benessere legato a filo doppio a quello della sua famiglia. Gli egiziani sono ottanta milioni e con il cotone, gli ortaggi e le royalties che riscuotono dalle navi che attraversano il canale di Suez non ce la potrebbero fare senza capitalizzare anche quella immensa eredità che la civiltà dei faraoni ha lasciato alla etnia araba prima di scomparire dalla faccia della terra.

Le contraddizioni. Come e più di ogni altro paese della terra l’Egitto vive allegramente le sue contraddizioni. Il nuovo e l’antico si mescolano indissolubilmente. Tranne che nella capitale dappertutto ci sono agricoltori che usano il somaro come mezzo di trasporto per se stessi o per piccoli carichi. Per quanti somari possa vedere puoi contare altrettante antenne paraboliche sui tetti delle case che biancheggiano nel verde sulle rive del fiume. Se frughi nella tasca di una qualsiasi ‘ghellabia’ (quel camicione lungo fino a terra che è il costume tradizionale arabo) magari non ci trovi una piastra, ma un cellulare di modello recente sicuramente sì.

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Panorama del Cairo

Poi ci sono le contraddizioni che riguardano le mie conoscenze sull’Egitto dei faraoni. Mi dicono che il grande Ramses II (quello di Mosè, per capirci), che oltre alla favorita, la bella Nefertari, si pacioccava altre 40 mogli, abbia generato un numero di figli spropositato, di molto superiore al centinaio. Ma mi assicurano anche che i faraoni usavano pratiche anticoncezionali, tanto è vero che una guida si è premurata di indicarmi al museo del Cairo assieme al perizoma anche il preservativo di Tuthankamon. Senza tali pratiche, domando io, a quali records sarebbe pervenuto Ramses II?

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Relax nel caffé

Per tutta la mia vita ho ritenuto erroneamente che le piramidi fossero state costruite dagli schiavi costretti a fatiche inumane dagli sbirri del faraone. Calunnie, alimentate da una falsa letteratura e dalle grandi scenografie cinematografiche. Le piramidi sono state edificate dai contadini che vi lavoravano volontariamente ogni anno per i tre mesi in cui la piena del Nilo li affrancava da ogni attività agricola. La schiavitù è stata introdotta durante il nuovo regno, ossia migliaia di anni dopo la costruzione delle piramidi, quando i faraoni costruivano i loro sepolcri non più al di sopra ma al di sotto del terreno per sottrarli alle ruberie dei tombaroli, in un periodo in cui l’Egitto sostenne lunghe guerre con gli Ittiti e con altri popoli limitrofi, per cui si ritenne di utilizzare i prigionieri invece di offrirli in sacrificio agli dei come si faceva in precedenza.

La globalizzazione. E’ forse il fenomeno sociologico più significativo del nostro tempo che sta cambiando i termini e la prospettiva dei nostri maggiori problemi, ma se giri il mondo ne incontri gli aspetti più banalizzanti. Camminando nella grandiosa navata centrale del tempio di Amon a Karnak, fra due file di colonne millenarie, un luogo di una suggestione immensa, mi imbatto in un giapponese che incede solennemente a petto in fuori per farsi ammirare in un giubbotto di lucida pelle nera che inalbera sul petto un enorme scudetto bianconero e la scritta Juventus, un gadget costoso, di una pacchianeria da far accapponare la pelle. Mi è venuto da esclamare ‘Gulp!’ come fa Paperino quando è costernato. Ho provato un reale senso di fastidio. Se il giapponese vuol avvicinarsi all’occidente cominciando da Del Piero invece che da Galileo perde il suo tempo. E se cominciasse poi da Michelangelo forse acquisirebbe qualche nozione di base sul buon gusto e non si vestirebbe così. E poi, restando in ambito sportivo, il tifo sano e fisiologico si nutre di un sano localismo: come dice il proverbio? “Totti e buoi dei paesi tuoi!” La Juve è squadra di Torino, che cavolo c’entra col giapponese? Ma che vada a fare il tifo per il Nagasaki e non rompa le scatole.

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Verso le piramidi

Il traffico stradale del Cairo materializza il concetto puro, assoluto, la quintessenza, l’idea cosmica del casino. I mezzi vi circolano come una linfa, una corrente sanguigna di un corpo che procede lenta in ogni direzione e va ad irrorare tutte le cellule. I semafori non esistono, perché non servono. Ne avrò visto solo quattro o cinque negli snodi principali esterni della città. Quando si riesce ad avanzare si fa un metro e poi si frena di colpo, e se ci fossero i semafori non si farebbe neppure quel metro e ci sarebbe in breve il blocco totale. I pedoni filtrano tra le vetture da un marciapiede all’altro come l’acqua nella sabbia con una freddezza incredibile e vedi queste matriosche velate di grigio col borsone o il pargolo fra le braccia avventurarsi fra i pullman e i taxi con un’aria di totale indifferenza e lo sguardo fisso in avanti. La loro sicurezza ti ispira il dubbio assurdo che se qualcuno le dovesse tamponare sarebbe il cofano e non il sedere ad ammaccarsi.

Per dovere di cronaca informo che il codice stradale non vieta di suonare il clacson, anzi… ti sorge il dubbio che lo prescriva rigorosamente. In questo scenario mi è apparsa un giorno la visione di un tale in bicicletta che procedeva al centro della via portando in equilibrio sul turbante un lungo asse carico di merce. Pedalava lentamente al centro della corrente di macchine senza staccare le mani dal manubrio, fino a quando è scomparso dalla vista. Saranno arrivati a buon fine lui e la sua roba? Solo Allah ce lo potrebbe assicurare ma auguriamoci che si occupi di cose più serie e non di queste fesserie. Una volta sola ho fatto la prova ad andarmene a zonzo a piedi per la strada ma è stata una esperienza da non ripetere, troppo traumatica per i miei poveri by-pass aorto-coronarici. Un vero peccato perché la vita che ferve nelle vie è incredibilmente intrisa di umanità e ti dà l’impulso di tendere le braccia per stringerla a te.

Il Cairo. Ma quanti saranno veramente i cittadini del Cairo? Lo ho chiesto a cinque guide ed ho avuto cinque risposte diverse. Cifre che oscillano fra i quindici e i diciotto milioni. Ho capito che in realtà non lo sanno neppure loro con esattezza. In una realtà come questa non deve essere neppure facile tenere aggiornata la situazione. Sono tanti comunque, e non amano starsene chiusi in casa nemmeno in questi giorni perché, pur essendo questo per loro un inverno gelido da sciarpa e cappotto, al sole faranno venticinque gradi.

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Traffico al Cairo

Mentre scrivo queste righe sicuramente ne starà nascendo qualche altro e mi piace rivolgergli un caldo benvenuto. “Ti auguro di cuore che le cose ti vadano per il verso giusto in questa valle nilotica, piccolo Ahmed, ma comunque dovesse andarti vedi di fare come ogni altro buon cairota, ossia non te la prendere mai troppo. Nel caso peggiore non ti mancheranno un piatto di fave all’olio e limone (che non sono poi da disprezzare), tantissimo sole, e un posto nella fila di sedie davanti alla porta del tuo bar per le chiacchiere con gli amici e la pippata al narghilè, nella pace del tramonto”.

La maledizione moderna del faraone che colpisce spietatamente da queste parti il viaggiatore nel suo lato B è stata tutto sommato clemente con me. Mi ha sfiorato leggermente solo negli ultimi due giorni, dopo un paio di pasti consumati fuori degli alberghi in ristoranti arabi. La attribuisco all’acqua di lavaggio delle verdure in insalata, Il grande padre Nilo che per millenni ha donato ai suoi figli quel limo straordinario che ne era la ricchezza e la vita ora dona loro colibacilli a iosa. Rendo grazie al dio Horus che nel pantheon locale amministra il dicastero della salute.

In cauda venenum. Sono riuscito a trasmettere con chiarezza il concetto di cosa sia il traffico del Cairo? Beh, l’aeroporto internazionale di Heliopolis è peggio. Il concetto di fila vi è sconosciuto ed ognuno spinge il suo carrello cercando fisicamente di fregare gli altri. Vi si potrebbero organizzare almeno delle competizioni internazionali di lotta al chek-in se il termine organizzare avesse un senso in questa sede. Ho realmente temuto che il mio accompagnatore, il ragazzo dell’agenzia che lottava disperatamente per contrastare i miei prevaricatori (quelli arabi naturalmente) potesse essere arrestato per la rabbia con cui urlava invettive contro di loro.

Ma non voglio guastarmi per questo dettaglio episodico e marginale il ricordo di un bel viaggio lungo un fiume splendido e maestoso, e di un popolo quanto mai cordiale e simpatico. Ogni rosa ha le sue spine e in Egitto le rose sono veramente tante, belle e profumate.

Dell’aspetto artistico e archeologico non parlo: non lo ho scoperto io e non serve che aggiunga qualcosa a quel che tutti sanno meglio di me.

 

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