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I SERPARI DI COCULLO

La strana festa del 1° Maggio
sabato 2 maggio 2020 di Nica Fiori

Argomenti: Celebrazioni/Anniversari


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L’emergenza da coronavirus continua a privarci di tutti quegli aspetti culturali e religiosi che fanno parte della nostra bella Italia. Quest’anno, per la prima volta da quando è stata istituita, è stata cancellata la festa dei Serpari di Cocullo (l’Aquila), che si tiene dal 2012 il 1° maggio, mentre prima si teneva il primo giovedì del mese.

L’emergenza da coronavirus continua a privarci di tutti quegli aspetti culturali e religiosi che fanno parte della nostra bella Italia. Quest’anno, per la prima volta da quando è stata istituita, è stata cancellata la festa dei Serpari di Cocullo (l’Aquila), che si tiene dal 2012 il 1° maggio, mentre prima si teneva il primo giovedì del mese.

Si tratta di uno dei riti più singolari che si conoscano, che si svolge durante la festa di San Domenico di Sora, un monaco dell’XI secolo fondatore di vari monasteri nell’Italia centrale. In questa circostanza viene portata in processione la statua del santo, cui sono attorcigliati numerosi serpenti vivi. La maggior parte degli occidentali al solo pensiero di toccare un serpente prova un immediato ribrezzo. Eppure chi lo ha fatto assicura che la loro pelle non è affatto spiacevole al tatto. La cattiva reputazione di cui gode presso di noi questo rettile è legata essenzialmente al mito biblico del peccato originale, che lo vede come la personificazione del Demonio tentatore. Ma la Bibbia parla pure di un serpente di rame o di bronzo, modellato e issato su un vessillo da Mosè per ordine divino, verso cui dovevano guardare gli Ebrei per essere guariti dal morso velenoso dei serpenti.

Questa non è che una delle tante testimonianze dell’ambivalenza di questo rettile, presente nella mitologia, nel simbolismo e nel culto delle religioni più diverse. Esso può suscitare orrore o attrazione; il suo veleno può uccidere ma anche guarire; è l’oscura forza ctonia della terra e la divina forza spirituale; è la terra madre fecondata e il principio maschio fecondatore; avvolge nelle sue spire e soffoca, ma può anche insegnare il linguaggio oracolare degli antichi veggenti, ovvero dare l’accesso alle realtà metafisiche.

Il simbolo del serpente che si mangia la coda, detto uroboro, accompagna da sempre il pensiero magico-religioso dell’uomo. Esso è il cerchio, il perfetto, l’infinito, la continuità ciclica, ma anche l’increatum di Paracelso, il drago bisessuale alchemico che si autogenera e si autodistrugge, che contiene in sé tutti gli elementi. Nell’uroboro iniziale gli opposti non sono ancora divisi: non c’è né bene né male, né prima né dopo, ma tutto è presente allo stato di indifferenziazione. E’ l’Oceano primordiale.

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I SERPARI DI COCULLO

Anche la psicoanalisi si è occupata di esso. Secondo Jung nell’uomo questo stato iniziale corrisponde all’immersione nel liquido amniotico. Solo dopo, con la nascita, il bambino comincia a provare le prime sensazioni, i primi bisogni, ma per un certo periodo di tempo sarà completamente dipendente dalla madre. Questo stato felice di dipendenza lo si ritrova agli albori di ogni convivenza umana. Corrisponde alla società matriarcale i cui miti sono quelli della dea Terra, la fertile Madre dal cui grembo sboccia la vita. Da questo remoto periodo storico derivano tutti gli echi mitologici dei riti legati alla terra e il serpente vi appare come animale-simbolo del dominio femminile, e quindi attributo di numerose grandi dee, da Iside a Cibele, da Atena a Demetra, ma lo si ritrova anche nel culto di Esculapio e di altre divinità salutari.

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Bona Dea

A Cocullo, l’unico paese dove sopravvive in parte il culto del serpente, anche se in un contesto cristiano, i “serpari” si dedicano alla cattura delle serpi nelle prime giornate primaverili di sole, quando questi rettili sono ancora mezzo addormentati. Vengono presi soprattutto gli innocui cervoni, conosciuti col nome dialettale di “capitoni”, che possono raggiungere la lunghezza di 180 centimetri, ma sono apprezzati anche i saettoni, detti “serpi lattarine” perché si pensa che succhino il latte agli animali, e varie altre bisce più o meno aggressive. Le serpi vengono poi conservate in vasi di terracotta o in sacchetti di pelle fino al giorno della festa, quando vengono offerte in omaggio al santo.

Nel folclore popolare San Domenico di Sora è considerato il protettore contro i morsi dei cani rabbiosi e dei serpenti velenosi, soprattutto vipere e aspidi, che tanto abbondano nella Marsica. Questo suo potere miracoloso è in relazione con un episodio della sua vita, secondo cui avrebbe trasformato con il suo bastone delle serpi in pesci.

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Statua di Angizia

In realtà, come è accaduto più volte, il miracolo del santo potrebbe essere la “giustificazione” cristiana di un culto molto più antico. Nella zona era venerata infatti la dea Angizia, raffigurata come una donna che tiene un serpente nella mano sinistra alzata. Una sua statuetta è stata rinvenuta nel lago Fucino e Virgilio ricorda la presenza di un nemus Angitiae, cioè un bosco sacro a questa divinità, nei pressi del lago. Questa italica signora dei rettili potrebbe essere equiparata alla Bona Dea, nel cui tempio venivano allevati serpenti domestici e che veniva festeggiata a Roma alle Calende di Maggio. Il nome Angizia deriverebbe dal verbo greco “anco” (in latino “ango”) che significa “soffocare”. Viene in mente, a questo proposito, il mito di Ercole bambino, che nella sua culla soffoca due serpenti. Nella Marsica, in effetti, sono state trovate numerose statuette bronzee riproducenti Ercole.

Un altro mito, riportato dal grammatico Servio (V secolo d.C.), vuole che Medea, la maga che aiutò Giasone nella conquista del vello d’oro, dopo aver abbandonato la Colchide, fosse giunta presso il Fucino, dove avrebbe insegnato ai locali i rimedi contro il morso dei serpenti. Sarebbe stata chiamata Angizia perché le serpi morivano soffocate per mezzo dei suoi incantesimi. Anche i “serpari” di Cocullo erano soliti, tempo fa, soffocare i rettili dopo la processione, mentre ora, in pieno clima di salvaguardia ecologica, li riportano nel loro ambiente naturale, dove li andranno a cercare l’anno seguente. I serpari a Cocullo probabilmente ci sono sempre stati. Come e quando il loro rito si sia trasferito su San Domenico non è chiaro, considerato che il santo è diventato patrono del paese solo nel XVII secolo. Probabilmente egli, da buon monaco cristiano “riformatore”, ha cercato di esorcizzare il male che la chiesa attribuiva al serpente, ed ecco allora la dedicazione dei rettili alla sua figura (ma mai quelli velenosi) e addirittura la loro benedizione.