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Si chiama TOSCA ma si dice ROMA

15 febbraio - 15 marzo 2024 Piazza di Pietra 28 Roma
domenica 10 marzo 2024 di Nica Fiori

Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Undici pittori, più una creatrice di gioielli, rendono omaggio a Giacomo Puccini (Lucca 1858 - Bruxelles 1924) a cento anni dalla sua morte e lo fanno ispirandosi alla sua meravigliosa opera di ambientazione romana “Tosca” nella Galleria 28 Piazza di Pietra.

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Paolo Giorgi

Ci troviamo ovviamente a Roma, nel cuore del rione Colonna, e più esattamente nella bellissima piazza caratterizzata dalle colonne marmoree dell’Adrianeo, il tempio dedicato all’imperatore Adriano e alla moglie Vibia Sabina, entrambi divinizzati dopo la loro morte. Al numero 28 è ospitata, fino al 15 marzo, la mostra “Si chiama TOSCA ma si dice ROMA. Cento anni senza Giacomo Puccini”, a cura di Paolo Giorgi, che ha contribuito con una sua opera intitolata “Non ti par che le cose aspettan tutte innamorate il sole?”. Foto 1

Il dipinto mostra, al di là di un’inferriata, la visione di Castel Sant’Angelo che si staglia nel cielo: è una visione poetica, che contrasta con altre vedute che privilegiano il suicidio di Tosca, che si getta dall’alto della stessa fortezza, come in “Fuori scena” di Luca Morelli e “Nemesi di una morte lontana” di Ennio Calabria, il pittore scomparso a Roma il 1° marzo 2024, cui ho dedicato un mio articolo in questa rivista.

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ENNIO CALABRIA

Paolo Giorgi illustra nel testo del piccolo catalogo la vita di Giacomo Puccini, che, pur essendo rimasto orfano di padre a soli cinque anni di età, con una madre giovane e sei sorelle, aveva tuttavia un avvenire precostituito. Essendo figlio dell’organista e maestro della Cappella Municipale era, infatti, destinato per decreto a prenderne il posto. Nel frattempo, in attesa di assumere l’incarico vero e proprio, la madre aveva diritto a una pensione mensile. Il piccolo Giacomo si impegnò per non deludere le aspettative della famiglia e a diciotto anni avrebbe avuto una folgorazione su quella che sarebbe stata la sua strada.

Ciò avvenne nel 1876, quando si recò a piedi da Lucca a Pisa per vedere l’Aida di Verdi. Riuscì allora a ottenere, anche grazie alla madre, il trasferimento al Conservatorio di Milano. Seguirono anni di studi e di privazioni, soprattutto d’inverno con la spesa del carbone, che condivise con altri giovani, tra cui Pietro Mascagni. Per fortuna ricevette dalla Regina Margherita una borsa di studio di 100 lire al mese per un anno e poi altre generose sottoscrizioni da Arrigo Boito, fino al contratto con Giulio Ricordi e arrivò finalmente all’agognato successo internazionale.

Tra le sue opere è stata proprio la “Tosca”, la cui prima si tenne al Teatro Costanzi il 14 gennaio 1900, a essere stata scelta da Francesca Anfosso per la sua Galleria in Piazza di Pietra, insieme a Paolo Giorgi, sia perché il protagonista è un pittore (Mario Cavaradossi, amante di Floria Tosca), ma soprattutto per la sua ambientazione romana, che si svolge in tre atti, tra la chiesa barocca di Sant’Andrea della Valle, il rinascimentale Palazzo Farnese e la cupa fortezza di Castel Sant’Angelo, già mausoleo di Adriano, lo stesso imperatore che è il “genius loci” di Piazza di Pietra.

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Sergio Ceccotti

Del resto Puccini era amico di pittori oltre che di musicisti. E prima di Cavaradossi c’era stato il Marcello della “Boheme”, anche lui pittore: “… pingere mi piace o cieli o terre o inverni o primavere”. Ma anche la cantante Tosca è artista, in questo caso della voce (“Vissi d’arte, vissi d’amore …”) e una celebre scena dell’opera si svolge davanti al dipinto in fieri della Maddalena, che con i suoi occhi azzurri suscita nella protagonista una scenata di gelosia.

Parliamo di un’opera riuscitissima sia musicalmente sia nel libretto, dove, al contrario di altre opere pucciniane ambientate in paesi lontani, quali la Cina della Turandot, il Giappone di Madama Butterfly, l’America della Fanciulla del West, “dalla prima nota all’ultima si respira l’aria inconfondibile di Roma”, come dichiarò Franco Zeffirelli: un’opera che tutti gli amanti della Città Eterna dovrebbero conoscere in quanto parte del suo patrimonio culturale.

È un’opera di emozioni profonde e di struggenti slanci poetici: vi si parla di storia (la battaglia di Marengo del 1800), di oppressione, di rivoluzione, di amore e di morte. E allora ben vengano le arti figurative proposte in questa mostra che, in effetti, possono essere una chiave di accesso al grande tesoro della narrazione in musica, quel melodramma trascurato dalle giovani generazioni italiane, mentre una volta era la nostra specialità, tanto che lo stesso Mozart compose delle opere con i libretti in italiano.

Gli artisti che hanno aderito all’iniziativa si sono impegnati a realizzare un’opera a misura unica (50 cm per 50 cm) a olio su tela, eccetto una che è olio su tavola. Sono, oltre a quelli già citati, Raniero Botti, Sergio Ceccotti, Verena D’Alessandro, Anna Di Stasi, Mario Fani, Marco Martelli, Daniela Pasti e Duccio Trombadori.

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A questi si aggiunge Beatrice Ferraldeschi con i suoi gioielli (realizzati con le tecniche di modellazione tradizionali e a cera persa) ispirati all’Ottocento, in omaggio alle parole cantate da Tosca nel II atto: “Diedi gioielli della Madonna al manto…”

“Si chiama TOSCA ma si dice ROMA” 15 febbraio - 15 marzo 2024 Piazza di Pietra 28 Roma Orario: lunedì - sabato 11 - 13 / 16.30 - 20.00 e su appuntamento

 

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