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L’anfibio

PEDAGOGIA DELL’ANFIBIO

A quasi venti anni dalla sua sospensione, il servizio di leva obbligatorio ha riaperto il dibattito pubblico e politico sull’ utilità di una sua eventuale reintroduzione.
lunedì 1 ottobre 2018 di Sandro Meardi

Argomenti: Attualità
Argomenti: Guerre, militari, partigiani


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Il Senatore Matteo Salvini, ormai è noto a tutti, è tacciato, tra l’altro, di essere populista, attribuendo all’aggettivo l’accezione dispregiativa di cavalcare facili consensi elettorali quali l’insistenza sull’insicurezza delle strade ed il contenimento dell’immigrazione. Pur lasciando alle varie opinioni se i temi a lui cari siano o meno meritevoli di essere trattati con la determinazione promessa in campagna elettorale, una cosa è certa. Il suo consenso elettorale, già rimarchevole all’ultima tornata elettorale del 4 marzo, è oltremodo cresciuto nel corso dei pochi mesi da Ministro dell’Interno e che, stando ai sondaggi, si attesterebbe intorno al 32%, scavalcando persino il movimento cinque stelle con il quale condivide oggi la responsabilità di Governo.

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Dove però l’ On. Salvini non può certo dirsi populista, è nella sua promessa in campagna elettorale, di reintrodurre il servizio di leva obbligatorio, questa volta universale, cioè a dire per entrambe i sessi. Un’iniziativa per ora solo sulla carta, sebbene già pronunciatosi favorevole ad essa il Consiglio regionale del Veneto, ma che ha il sapore di una “tassa in natura” per tutti i giovani italiani, così come veniva chiama allora durante gli anni di vigenza.

Un periodo di leva, quello in proposta, militare o civile, della durata di qualche mese e su base regionale, con il potere cogente di obbligare la gioventù italiana a mettersi al servizio della Comunità tutta. Vuoi che sia nei ranghi delle Forze Armate, vuoi che sia nell’ambito del servizio civile nazionale, come già oggi per altro avviene ma in forma del tutto volontaria.

L’iniziativa può essere letta, al pari di quanto del resto è nelle parole dei suoi propugnatori, come un modo di rinvigorire nelle giovani generazioni un sentimento di orgoglio nazionale, attraverso espressioni ed azioni fattive di solidarietà nei vari campi del sociale e, non ultimo, nel caso di servizio militare, la riappropriazione di sentimenti patri in via di estinzione. Il tutto tenuto insieme dal collante della disciplina e del senso del dovere che hanno da sempre caratterizzato la vita di caserma.

Ciò che sembra motivare l’iniziativa, è dunque un aspetto in primis educativo che per quanto non trascurabile, penso sia ben poca cosa in mancanza della rifondazione delle primarie agenzie di socializzazione, quali sono la famiglia e la scuola dove, è bene ricordarlo, in quest’ultimo caso è messo perfino in discussione il vecchio, caro voto in condotta. Il valore pedagogico di pochi mesi di “naia”, sarebbe inoltre pressoché nullo in assenza, ad esempio, dei principi di autorità che, magari esageratamente, venivano riconosciuti in passato, anche a prescindere, a coloro i quali erano chiamati ad esercitarli.

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Sul piano prettamente operativo, ritengo altresì, almeno per quanto riguarda il servizio militare, che la svolta intrapresa dalle Forze Armate con la professionalizzazione delle proprie Unità, all’indomani della sospensione della leva obbligatoria, sia divenuta ormai irrinunciabile. La complessità degli odierni teatri operativi e la pericolosità ad essi connessi, mal si concilierebbe con l’impiego dei giovani di leva, fosse anche in missioni di pace a bassa intensità conflittuale. Al più, un servizio di leva militare, potrebbe costituire viatico per coloro i quali, “assaggiata” la vita militare, la ritengano congeniale ad un loro futuro professionale in seno ad esse.

Non nascondo tuttavia che la proposta abbia un suo fascino, ben al di là del sapore romantico che essa può rivestire presso vecchi naioni come il sottoscritto, sempre qualora essa sia attentamente studiata e rimandata per la sua entrata in vigore, a dei decreti ben articolati e che ne rendano esecutive le aree circoscritte di applicazione.