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L’OBIEZIONE DI COSCIENZA

Tra imperativo etico-religioso individuale e bene collettivo.
giovedì 1 giugno 2017 di Sandro Meardi

Argomenti: Attualità
Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Politica
Argomenti: Giustizia


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Ormai da qualche tempo nelle corsie degli ospedali pubblici è denunciata la carenza di personale medico non obiettore di coscienza. Le statistiche (fonte Ministero della salute) indicano che nelle strutture sanitarie pubbliche ben il 70%, con picchi che arrivano sino al 92% dell’organico medico, si dichiara obiettore di coscienza, omettendo d’intervenire in caso d’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) da parte delle donne che intendano ricorrervi ai sensi della Legge 194 del 22 maggio 1978. La Legge cioè, che a distanza di quasi 40 anni dalla sua promulgazione e dopo un acceso referendum d’iniziativa del Partito radicale inteso a depenalizzare il reato di aborto, permise di addivenire anche in Italia ad un equilibrato compromesso tra i fautori della vita tout court, sin dal suo concepimento, e i più realistici assertori di una regolamentazione dell’Ivg, in assenza della quale prosperavano allora aborti clandestini, più o meno garantiti per la stessa salute della donna.

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Il dibattito politico-parlamentare, come quello del resto in seno alla società civile, fu quanto mai acceso, non privo d’ingerenze clericali come quelle che tuonavano a suon di scomunica, provenienti dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e dalla Santa Sede. Ma, finalmente, con il varo della ’194’, anche l’Italia si allineava ai Paesi più progrediti d’Europa; quegli stessi Paesi dove le donne italiane più abbienti avevano potuto permettersi di accedere, al pari dell’accesso ad alcune cliniche private italiane incuranti del divieto, per sottoporsi all’Ivg, contrariamente a coloro le quali invece continuavano ad affidarsi, con grave rischio per la loro salute, agli strumenti improvvisati da parte di quelle operatrici senza scrupoli allora chiamate ’mammane’.

L’esplodere dell’obiezione di coscienza, essa stessa riconosciuta come un diritto dall’articolo 9 della richiamata Legge 194, sempre più invocata dal personale medico nonché da quello esercente attività ausiliaria, sta dunque mettendo a rischio una conquista sociale da parte in primis della donna, vanificando l’accesso all’altro diritto, quello per il quale per altro la Legge venne promulgata e altrettanto, se non più legittimo, sancito in particolare dagli articoli 4, 5 e 6 della Legge medesima. Anche la mobilità del personale non obiettore tra gli ospedali, che pure la Legge prevede, sta mostrando la corda, vista l’esiguità ridotta al 30% di quest’ultimo, nonché la turnazione insostenibile per i pochi medici disposti a subirla per farsi carico di un problema che invece dovrebbe essere di tutta la categoria. Non ci sarebbe da stupirsi se di questo passo si finisca con il saturare al 100% il personale che solleva obiezione di coscienza.

Alcuni ospedali italiani, tra i quali il San Camillo di Roma, per far fronte ad una situazione sull’orlo della paralisi, hanno pensato opportunamente di bandire nuovi concorsi pubblici prevedendo, tra i criteri di selezione, quello per il quale i medici candidati con specializzazione ostetrico-ginecologica, siano disposti a sottoscrivere nell’impegno contrattuale una dichiarazione di non essere obiettore di coscienza.

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Macché. Mai iniziativa è stata ritenuta più improvvida. Legulei e custodi del diritto, hanno subito sollevato eccezione d’incostituzionalità per violazione del diritto di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della nostra Carta costituzionale. Quest’ultima la più bella del mondo, ma anche quella di più difficile se non impossibile applicazione. E sembra, stando alle ultime informazioni, che un punto di equilibrio per rendere costituzionale un’esigenza primaria, possa essere quello di raddoppiare l’aliquota concorsuale suddividendo al 50% il numero dei posti a concorso tra medici obiettori e non obiettori. Insomma. Se hai bisogno di due ne devi assumere quattro. E in questo sembra proprio che il nostro bel Paese continui ad essere fedele a se stesso ed ai ’fasti’ del suo allegro passato.

Ma l’obiezione di coscienza, specie quando da diritto soggettivo si ha la pretesa di tramutarla in diritto oggettivo, come quella dettata da inderogabili motivazioni religiose, cioè a dire quando con estrema leggerezza non siano ad essa poste condizioni di alcun genere per essere esercitata, finisce per diventare il primato del bene dell’individuo rispetto a quello che invece dovrebbe essere appannaggio del bene collettivo.

È così che sebbene la Legge ’194’ esordisca all’articolo 1, ammonendo che ’..L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite...’, nel 2007 Papa Benedetto XVI esortò i farmacisti a sollevare obiezione di coscienza sulla contraccezione d’emergenza, altrimenti nota come pillola del giorno dopo, e in molti accolsero l’invito di rifiutarne la vendita, fino a che non si chiarì che tale condotta non rientrava nei confini di quanto garantito dall’art.9 ex lege ’194’ per l’esercizio dell’obiezione di coscienza ovvero si poneva in violazione del Testo Unico delle Leggi Sanitarie.

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Il caso ebbe riflessi analoghi anche in alcune farmacie europee, segnatamente in Francia, finché due farmacisti francesi appellatisi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, non videro rigettata da quest’ultima la loro richiesta, escludendo che le convinzioni religiose potessero prevalere fino ad imporsi su terzi, in un contesto in cui il rifiuto di vendere contraccettivi d’emergenza, reperibili solo in farmacia e dietro prescrizione medica, impediva di fatto l’accesso a tali medicinali. Sentenza esemplare che in quanto tale, per le motivazioni che la ispirano, andrebbe applicata a parere di chi scrive, ad ogni ’pretesa’ individuale che sovrasti l’esercizio di un diritto collettivo. Ma tant’è che negli ospedali pubblici, nonché in quelli privati, specie se gestiti da organizzazioni religiose, convenzionati con il Sistema Sanitario Nazionale, il medico non obiettore finisce per essere egli stesso discriminato subendo ostracismi di ogni sorta impedendogli ogni forma di progressione nella carriera.

L’obiezione di coscienza ha avuto in Italia anche una sua storia peculiare e per certi versi emblematica; allorquando se ne riconobbe il suo esercizio ’ope legis’ contro la prestazione di quello che allora, prima della sua sospensione avvenuta nel 2005, era il servizio militare di leva obbligatorio, sancito come sacro dovere del cittadino’ nell’art.52 della Costituzione. Si ebbe, manco a dirlo, un’impennata nel numero dei giovani obiettori, che per la loro scelta dovettero prestare un servizio sostitutivo civile di pari durata a quello militare e con il divieto di poter chiedere in futuro il rilascio del porto d’armi e/o la preclusione alla partecipazione ai concorsi di arruolamento volontario nelle Forze armate e/o nelle Forze di Polizia. Sin qui nulla di male. Ma sapere che buona parte di quegli stessi obiettori abbiano potuto usufruire dietro semplice istanza, dopo soli cinque anni, del ripristino dello status ante quello di obiettore, rimettendoli in corsa contro i divieti che erano stati posti loro, fa venire in mente il vecchio adagio andreottiano: a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia (quasi) mai’.

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