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IL CAPITALISMO SOGNATO E IL CAPITALISMO REALE


lunedì 12 settembre 2011 di Andrea Comincini

Argomenti: Mondo
Argomenti: Politica


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Negli ultimi anni, e specialmente durante l’estate da poco trascorsa, abbiamo assistito ad alcuni fenomeni sociali di grandissimo rilievo ed impatto mediatico. Mi riferisco principalmente alle rivolte delle periferie parigine, dove gruppi di ragazzi hanno per giorni messo a ferro e fuoco molti quartieri della città, ed alle più recenti esplosioni di tumulto nei sobborghi londinesi, i quali hanno richiesto interventi massicci di polizia ed esercito. I fatti maggiormente eclatanti tuttavia sono nati dall’altra parte del mediterraneo, con la rivoluzione tunisina, la cacciata dall’Egitto di Mubarak, la fine di Gheddafi. Sebbene non sia esperto di politiche internazionali, credo tuttavia possibile valutare alcuni aspetti, a mio avviso particolarmente interessanti, che tali sommosse hanno sviluppato.

La caratteristica comune a questi “disordini” è certamente rappresentata dalla giovane età dei partecipanti: ragazzi e ragazze colti e laureati, stufi di vivere in un paese privo di sbocchi – come nel caso del Nord Africa; immigrati di seconda generazione esclusi non formalmente ma materialmente dall’accesso al mondi dei ricchi bianchi; infine, ragazzi qualunque arrabbiati in varie città inglesi. 10000000000001570000009374D30E46I giudizi a proposito delle violenze, degli incendi, a volte persino delle vittime non interessano particolarmente in questa sede. Si troveranno sempre strenui giustificatori ed accusatori, ognuno con le sue idee; ciò che appare più interessante invece e comprendere, credo, perché dei ragazzi abbiano fatto esplodere la loro rabbia, e come.

Le cause fondamentali, oltre le già citate, sono chiare: in un mondo in cui è stata promessa a tutti la possibilità di avere una vita dignitosa, il risveglio dall’illusione è stato alquanto amaro, specialmente perché capitato a giovani europei, istruiti, e non a poveri disgraziati in balia dei flutti su qualche nave sgangherata.Il sogno americano, divenuto nel frattempo europeo, ha sortito gli stessi effetti d’oltreoceano: la crisi del capitale ha cancellato ogni dubbio sul fatto che solo una parte della popolazione – circa il 20% - può procurarsi quanto invece era stato promesso al 100% della gente.

Se tale premessa è corretta, allora mi sembra chiaro il perché queste manifestazioni siano destinate non solo al fallimento, ma addirittura a rafforzare le pseudo ragioni dei conservatori di ogni paese. 100000000000010B000000BD5F7C711AI ragazzi ribelli non hanno sventolato particolari bandiere, se non negli stati occupati; slogan non se ne sono sentiti, escludendo generici appelli alla libertà di decidere sulla propria vita: una vaga richiesta di indipendenza e di possibilità di consumare è stata ed è la ragione fondante – sebbene non l’unica – dei disordini a cui abbiamo assistito.

Ciò che è emerso non è stata una denuncia al capitalismo a favore di un mondo altro, ma l’accusa ai capitalisti di essere egoisti e tenersi tutto per sé. La rivendicazione gridata al cielo era basata sull’idea che ognuno ha il diritto alla libertà, ma una libertà il cui fine è potersi esprimere attraverso il consumo. “Vogliamo essere liberi di consumare oggetti”: potrebbe esser in definitiva questo il modo migliore per esprimere la rabbia di tanti ragazzi i quali non hanno sventolato bandiere rosse, ma hanno assaltato supermercati e negozi per rubare computer, i pad, telefonini e tecnologia varia, ovvero i simboli del consumismo di massa. Le rivolte hanno dimostrato come giovani esclusi dal capitale sfoghino la loro rabbia non contro di esso, ma su chi credono ne raccolga i vantaggi solo per sé, ovvero polizia, governi, banche. (La divergenza fra gli scontri odierni e quelli, ad esempio, del G8 di Genova sono palesi).

È possibile affermare con una certa risolutezza, paradossalmente, e con un pizzico di provocazione, che si tratta quindi di una grande vittoria del sistema, e non di una sua frattura: i protagonisti coinvolti rifuggono ogni disciplina, si abbandonano a crimini a volte odiosi; persino nel Maghreb, dove il popolo ha dato una maggiore prova di consapevolezza e di ideali, la situazione sembra stia scemando in un generico desiderio di vivere in grandi città libere e piene di supermercati, perché la democrazia è anzitutto un prodotto sul bancone del negozio.

In tali insurrezioni, la parola socialismo – specialmente in Francia e Inghilterra – non è stata considerata affatto; ordine e disciplina, sacrificio ed impegno – ovvero cardini portanti di uno stato socialista che voglia rifiutare il sistema capitalistico e voglia costruire una nuova economia – appaiono ancora come bestemmie, e rappresentano quella costrizione, quella assenza di autonomia nell’immaginario collettivo ben rappresentata dall’Unione Sovietica. La sinistra riformista europea, cerca di divenire la portavoce ufficiale dei movimenti di rivolta, ma è imbarazzata e confusa, condanna, poi smentisce, si perde in distinguo vari e si affretta a precisare che il modello imperante non è in discussione. Se poi si accenna alle democrazie socialiste sudamericane quali eventuali modelli alternativi, grida allo scandalo. Perché? 1000000000000103000000C2C698DC76La risposta, secondo me, sta proprio nella suddetta assuefazione al sogno americano. Tutti vogliono essere perfetti consumatori. È così che si misura la libertà. Ogni ostacolo è moralmente ingiusto. Laddove ciò è veicolato da scelte governative, lì vive il mostro della dittatura.In questa assurda confusione, bisogna sottolineare due aspetti, uno psicologico, l’altro fanciullesco. Partiamo dall’ultimo: quanti chiedono ai capitalisti di comportarsi bene affinché anche loro possano diventare ricchi – o meglio: affinché tutti possano diventare ricchi – mostra non solo tanta ingenuità, ma anche che i ragazzi non comprendono l’inesistenza di un capitalismo di sinistra ed uno di destra. È utopia allo stato puro, buona per qualche multimiliardario che organizza serate di beneficenza per i più “sfortunati”. (Rappresentata perfettamente in Italia da Veltroni e simili).

Il primo aspetto invece, riguarda il differente atteggiamento delle persone davanti alle parole “sacrificio” e “austerità”. Se a pronunciarle sono i nostri governanti, la cui corruzione, mediocrità e incapacità può esser scientificamente dimostrata quanto la sfericità del globo, la gente si deprime ma lo ritiene necessario; se tali concetti vengono espressi da un governante socialista, allora è “dittatura”, fine dei diritti, assenza di libertà. (In realtà nei partiti si teme la perdita del supporto finanziario per campagne elettorali e affari sottobanco).

Cosa dimostra ciò? Dimostra che anche chi si ribella ancora ragiona con le categorie mentali del nemico, ne accetta tutto sommato il bagaglio di valori, e spera soltanto di sedersi alla sua tavola, e poi chi se ne frega degli altri.

Cambiare il mondo vuol dire innanzi tutto prendere coscienza di una differenza di classe e di valori, ma soprattutto capire che la giustizia non è ottenere per sé, ma dare a tutti.

 

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