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Elogio della precarietà (Editore Rubbettino)

LE STRATEGIE DEL "LAISSEZ- FAIRE" IERI ED OGGI

Dal Victorian Compromise all’attuale elogio della precarietà
sabato 8 gennaio 2011 di Giovanna D’Arbitrio

Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Politica
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Enzo Mattina


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Si può elogiare la precarietà? E’ la domanda che subito mi è venuta in mente ascoltando gli abili relatori (F. Iacono, R. Race, S. Consiglio, G Pittella, A. Rea, T. Treu) che il 21 dicembre a Napoli, al Maschio Angioino nella sede della Fondazione Valenzi , hanno presentato il libro di Enzo Mattina “Elogio della precarietà. Il lavoro tra flessibilità, sussidiarietà e federalismo”(edito da Rubbettino).

Come l’autore stesso ha spiegato, il titolo è provocatorio poiché l’obiettivo non è tanto difendere la precarietà in sé, quanto piuttosto fare una lucida analisi di un fenomeno che spesso “per un singolare strabismo politico, fa percepire il lavoro precario più negativo del lavoro nero mentre in realtà è sempre esistito e oggi si è solo accentuato: il lavoro a tempo determinato è visibile, quantificabile, legale e deve essere solo meglio regolamentato”. Secondo Mattina, esso è sinonimo di possibilità, di occasioni, di creatività e di crescita professionale. La sfida del futuro non è solo ragionare sul lavoro che manca, ma anche sul lavoro che cambia e in tempi di globalizzazione non si può più pretendere il cosiddetto posto fisso a cento passi da casa e quindi i giovani, invece di piangersi addosso, dovrebbero guardare con ottimismo al futuro.

Fissavo l’autore alquanto meravigliata, pensando al suo curriculum di socialista, di sindacalista, di europarlamentare, ai suoi importanti incarichi attuali, mi guardavo intorno e contemplavo i grandi manifesti esaltanti la Fondazione Valenzi, dedicata a Maurizio Valenzi, europarlamentare e sindaco comunista di Napoli dal 1975 al 1983. La fondazione viene definita come un’istituzione internazionale, non schierata politicamente, uno spazio per dialogare su temi culturali e sociali.

1000000000000127000000ABF6F18453 10000000000000FA000000FA65EBCB80Non amo i cliché, credo nella democrazia e nella libertà, ho idee moderate, come cristiana difendo pace, solidarietà, diritti umani e civili, odio tutte le dittature; mi sembra quindi giusto discutere civilmente per confrontarsi su scottanti problemi attuali, ma francamente non mi aspettavo un elogio della precarietà proprio a Napoli e in quel contesto! In fondo i concetti espressi erano gli stessi illustrati in un libricino, “Who Moved My Cheese?” di Spencer Jonhson, che circolava anni fa nei corsi per manager aziendali con l’obiettivo di illustrare, mediante un’allegorica storiella su topi e nani alla ricerca del formaggio (cioè il lavoro!), i vantaggi della globalizzazione, basata su free trade, delocalizzazione della produzione di merci in paesi del terzo mondo e consequenziali effetti di mobilità, flessibilità, precarietà.

La mia mente lavorava febbrilmente ed elaborava idee che si affollavano in ordine sparso e confuso in una sorta di “stream of consciousness” alla James Joyce, piena di emozioni e ricordi. Ecco apparire il libro di letteratura inglese aperto sul mio scrittoio, le mie sudate carte di studentessa universitaria, ecco ora potevo leggere il titolo del capitolo “The Victorian Age” e poi più in basso, in fondo alla pagina, appariva anche “The Victorian Compromise”, la prima fase della Rivoluzione Industriale inglese “il compromesso utilitaristico di una società che vide l’industrializzazione solo come una fonte di prosperità e progresso, una società che rifiutò rigidamente di confrontarsi con i numerosi conflitti e problemi sociali da essa scaturiti…L’enorme sviluppo industriale e l’incessante progresso scientifico resero l’Inghilterra la nazione più potente in Europa a livello politico ed economico. Su queste basi fu costruito il Compromesso col suo ottimismo e la fiducia nel progresso, la sua fede nella teoria del laissez-faire in economia” (Elio Chinol “A Short Survey of Enghish Literature)

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CARTISMO

“Quanti compromessi passati e presenti!” ho pensato mentre ascoltavo i relatori. Eppure anche a quei tempi si levarono diverse voci di protesta, tra le quali ricordiamo quella di John Morley che definì l’Inghilterra della sua epoca come “un paradiso per i ricchi, un purgatorio per i capaci e un inferno per i poveri”, per la feroce competizione industriale, il disumano sfruttamento degli operai (tra i quali c’erano perfino bambini), la spaventosa invivibilità e l’immensa miseria dei bassifondi, aspetti più aspramente denunciati in seguito nella seconda fase della Rivoluzione Industriale da autorevoli personaggi come Thomas Carlyle, John Ruskin, Matthew Arnold, nonché da vari movimenti socialisti, come il Cartismo, la Fabian Society e 100000000000006E000000A1351C5C37 il Labour Representation Committee che misero le basi per lo sviluppo del moderno Labour Party. Insomma c’era allora un movimento in ascesa per la conquista di diritti in campo lavorativo in Inghilterra e in tutta Europa. Come dimenticare “il Capitale” di K. Marx ? Oggi invece non stiamo per caso facendo il percorso inverso? E come se non bastasse, ci vogliamo anche convincere che tutto ciò sia giusto? Le strategie del colonialismo, neocolonialismo e dell’attuale globalizzazione non sono in fondo sempre le stesse, divenute ora solo più raffinate, efficaci e veloci grazie ai progressi tecnologici e scientifici al servizio del Potere?

La voce dell’autore e quelle dei vari relatori giungevano alle mie orecchie e il mio cervello lavorava su due piani, valutazione critica di ciò che sentivo mista ai suddetti rapidi collegamenti culturali. Desideravo dire qualcosa a quelle persone schierate là di fronte a me, ma non riuscivo a coordinare in modo coerente quel fiume che scorreva nelle mie affollate sinapsi cerebrali. Alla fine quando ancora una volta si è discusso dell’incapacità dei giovani di mettersi in gioco e di costruirsi le competenze necessarie attraverso studio e sacrificio, non ho potuto fare a meno di alzarmi in piedi e di far fluire verso l’esterno con impeto quel torrente di idee che mi ronzava per la testa. Ho parlato di tanti giovani che lasciano il Meridione e vanno a lavorare al Nord e all’estero, di laureati con la valigia, della cosiddetta “ fuga dei cervelli”, di disoccupazione e criminalità, di sistema clientelare e voto di scambio, di tagli a istruzione e cultura, di proteste degli studenti; infine ho concluso il mio discorso affermando che il posto fisso a cento passi da casa forse a Napoli lo ottiene solo chi si avvale di intrallazzi e corruzione e così sono proprio i giovani più onesti, capaci e meritevoli che per dignità decidono di andarsene.

Con tutto il rispetto per l’autore che sicuramente con questo libro intende dare suggerimenti e indicare una strada da seguire per regolamentare il lavoro precario, non capisco come si possano accettare le attuali politiche economiche internazionali che per realizzare il massimo dei profitti nei paesi poveri, senza rispettare regole, puntano allo sfruttamento di risorse di vario genere (incluse quelle umane) e allo stesso tempo sbattono sul lastrico tanti lavoratori in Europa, cancellando diritti faticosamente conquistati. Infine ci si chiede ancora: - L’attuale crisi è davvero una crisi reale per un sistema che è andato in cortocircuito oppure essa è creata ad hoc dalle potenti lobby internazionali per ricattare e manipolare i paesi più indebitati seguendo le strategie della “Shock Economy”, ben illustrate da N. Klein nell’omonimo libro? -.

Concludendo, prima o poi forse il famoso apologo di Menenio Agrippa potrebbe rivelarsi significativo per tutte le classi sociali, non solo per quelle meno fortunate, se non si cambia rotta.

 

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