Le ultime vicende finanziarie che scuotono i mercati internazionali sembrano affossare in maniera definitiva e irreversibile il sogno liberista dell’ultimo ventennio. Dopo la caduta del muro di Berlino, infatti, storici e intellettuali, politici e giornalisti di ogni sorta celebrarono l’avvento del migliore dei mondi possibili, ovvero il trionfo del libero mercato. Pensatori come Francis Fukuyama parlarono di ‘fine della storia’ per ribadire la morte del tempo delle ideologie: a noi tutti non restava altro da fare se non cercare la propria collocazione nel mondo finanziario, il quale, da dio saggio e giusto, avrebbe regalato ad ognuno un angolo di paradiso. La successiva, recente crisi di Wall Street e le oscene speculazioni, nonostante ciò, non sono riuscite ancora ad affermare nell’animo collettivo una verità difficilmente controvertibile.
Sebbene il mondo sia in procinto di autodistruggersi e milioni di persone si vedano private dei diritti più fondamentali a causa dell’economia di mercato, molti esseri umani continuano a credere nel sistema capitalistico e danno la colpa a mele marce, intrusi nel sistema, imprenditori avidi che giocano scorretto e violano le regole del buon senso – e non si scagliano direttamente contro la causa reale del problema, ovvero il Capitale.
- Michael Moore
Ciò naturalmente è dovuto non soltanto all’informazione manipolata di massa, ma anche all’idea che prima o poi la grande occasione può capitare ad ognuno di noi, il successo è lì dietro l’angolo e basta attendere il momento opportuno per elevare la propria condizione.
Se quindi la miseria collettiva mostra chiaramente lo stato effettuale del’economia ed il nostro destino, la maggior parte dell’umanità non riesce evidentemente a liberarsi dall’ideologia del denaro e del successo, rimandando la crisi finale del sistema stesso e prolungando paradossalmente la propria agonia.
- Capitalism - a love story
Così chiosa nel suo bel film, “Capitalism: a love story”, il regista Michael Moore: “Non si può redimere il Male, bisogna eliminarlo” e quindi comprendere che capitale e democrazia sono antitetici.
Nel solco di queste riflessioni emancipatorie è consigliabile la conoscenza e la lettura di uno dei maggiori filosofi internazionali viventi: Slavoj Žižek, docente di sociologia a Lubjana e pensatore “fondamentale”, come lo definisce il Library Journal.
L’aggettivo è certamente fra i più adatti non solo perché definisce l’importanza del lavoro, ma anche poiché ne risolve l’obiettivo: Žižek infatti non si accontenta di analisi scialbe e superficiali, ma si dirige alle fondamenta delle costruzioni filosofiche di moda, demolendole con un acume ed una ironia incredibile.
Nell’ultimo Dalla tragedia alla farsa, è possibile affrontare le riflessioni suddette attraverso le lenti di un pensiero lucido e sistematico, e corroborarle attraverso concetti solidi e formule ben precise.
Il testo è estremamente semplice e nello stesso tempo incisivo: la prima parte si intitola è l’ideologia, stupido!, mentre la seconda L’ipotesi comunista.
Da essi si evince il programma culturale ed il disegno del filosofo sloveno. Il primo obiettivo è smascherare non soltanto l’atteggiamento autolesionista delle classi subalterne al capitale, ma comprendere il perché della sua forza. Una fra le tante ragioni è certamente - osserva Žižek – la capacità di auto generarsi e posticipare il collasso finale. Al giorno d’oggi per esempio il capitalismo si giustifica cercando di apparire spirituale e socialisteggiante, dal volto umano. Qualsiasi cittadino converrà nell’ammettere che i grandi magnati della terra e varie Industries trascorrono il tempo ad organizzare feste per raccogliere fondi, costruire scuole e ospedali per i più sfortunati, insistere sulla volontà di eliminare gli agenti patogeni del mercato per garantire una economia sana e leale. (Dimenticando casualmente di dire che se sono straricchi è perché hanno speculato e ridotto sul lastrico prima milioni di persone).
- S. Zizek
Un altro elemento essenziale naturalmente è la politica della paura: bombardare i telespettatori con fatti sanguinosi di cronaca, insistere sul pericolo di catastrofi e cataclismi vari, gridare ai quattro venti che orde di barbari stanno invadendoci causando loro la perdita di posti di lavoro altrimenti nostri, determina uno stato di crisi permanente e la necessità di usare le maniere forti per risolverla. Tutto ciò altro non è se non ideologia volta a controllare le masse e a mascherare le ragioni vere di una crisi totale, ovvero la fallacia del sistema capitalistico.
Žižek, sa unire un analisi efficace ad una scrittura piacevole, e la riflessione non soffre mai della banalità presente in tanti altri colleghi europei.
La seconda parte del libro non vuole essere una nostalgica od utopistica rivisitazione di vecchie formule, ma la presa d’atto di un nuovo modo di concepire la realtà e modificarla, assumendosi la responsabilità di scelte certamente difficili, ma necessarie.
Come si può leggere nella copertina, l’autore è caustico: “Il titolo di questo libro vuole essere un elementare test di intelligenza per i lettori: se la prima associazione che genera è il classico cliché anticomunista: ‘Hai ragione: oggi, dopo la tragedia del totalitarismo del ventesimo secolo, tutto questo parlare di un ritorno al comunismo è solo farsesco! ‘- Allora vi consiglio fermamente di fermarvi qui”.
Per chi invece desiderasse affrontare la sfida di Žižek, Dalla tragedia alla farsa è certamente uno dei libri più ispirati degli ultimi anni, e fra le numerose pubblicazioni dell’intellettuale, esemplare per la chiarezza dello stile e la lungimiranza speculativa.