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Spettri dell’altro. Letteratura e razzismo nell’Italia contemporanea (Il mulino, 2010)

Italiani brava gente ?

Osservazione e riflessioni dell’autore del libro
venerdì 12 febbraio 2010 di Andrea Comincini

Argomenti: Sociologia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Riccardo Bonavita


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Quando l’Italiano medio riflette sulla sua indole, arriva facilmente alla conclusione di essere fra le persone più magnanime e tolleranti d’Europa. Lo stereotipo: “Italiani brava gente”, è conosciuto dalla stragrande maggioranza della popolazione indigena, e confermato dai media nazionali. Tale connotazione è profondamente sentita e radicata: a differenza di altri popoli, come gli Inglesi o i Tedeschi, i figli del Bel Paese non percepiscono nella loro storia di esser stati mai colonizzatori feroci o aguzzini senza pietà. Il fascismo, ma solo dopo la promulgazione delle leggi razziali del ’38, ha mostrato un volto persecutorio nei confronti delle genti altre, e nemmeno riuscendo ad imporsi.

Nell’interessante raccolta di saggi di Riccardo Bonavita, questa favola melensa viene svelata per quello che in realtà è: una autoassoluzione di massa per lavare le nostre coscienze dagli efferati crimini commessi. Lo studioso si cimenta con acume e padronanza nell’immensa mole dei documenti testimonianti la vera natura di moltissimi Italiani. La tanto sbandierata capacità di tollerare e vivere la vita con filosofia è solo uno stereotipo che copre le innumerevoli atrocità compiute.

Bonavita non si sofferma sull’uso dei gas nervini nelle colonie italiane, né insiste nello sviluppare le tematiche esaltate dal noto Manifesto della razza. Il suo lavoro è più utile, perché va ad analizzare il sentir comune negli anni ’20 e ’30, e dimostra quanto il razzismo fosse diffuso nell’animo italiano e approvato dalla popolazione.

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Il libro si divide in vari capitoli, dove si alternano ricerche su “Leopardi razzista” – la propaganda infatti manipolava gli autori illustri per cercare sostegno alle proprie tesi – fino a sfogliare i romanzi commerciali dell’epoca, rivelando particolari degni di nota.

La stampa comune proponeva storie d’amore in cui l’Italiano si trovava sempre a civilizzare colui che veniva chiamato “fetus judaicus”, o ad usare il corpo del nero per un piacere esclusivamente fisico, chè qualsiasi attrazione di altro tipo sarebbe stata un abominio.

Anche gli arabi – rivela Bonavita – venivano descritti come razza diversa: l’insistenza sulla differenza etnica, biologica ed infine di sangue sono talmente marcate da creare, nell’inconscio collettivo, una vera e propria italianità su basi cromosomiche: “sangue e suolo” non erano solamente termini in voga fra i Nazisti ma facevano parte del linguaggio dei politici, dei giornalisti, dei panettieri o degli intellettuali come Papini.

La parola “Razza” non aveva alcun connotato metaforico, ma identificava esattamente generi umani differenti, e quindi superiori od inferiori.

Bonavita esplora questo mondo e certamente altro avrebbe potuto raccontare se non si fosse tolto la vita in giovane età. A noi resta un lavoro piacevole e puntuale, a cui rivolgersi non solo per una disamina reale del passato, ma soprattutto per guardare al nostro presente con occhio severo. Le ultime vicende riportate sui giornali riguardanti la rivolta di Rosarno, o il festeggiamento del White Christmas a Coccaglio (il Natale per i bianchi), vicino Brescia, reclamano un atteggiamento severo e senza titubanze. L’Italia, a differenza dei bistrattati cugini Tedeschi, non ha mai pubblicamente affrontato le proprie colpe né ha tentato di combattere le paure inconsce che covano nel suo ventre molle. Il risultato è la diffusa convinzione di non essere un popolo intollerante, ma addirittura troppo disponibile (concetto che in sé già basterebbe a rivelare il razzismo latente), e che davanti a certi fatti bisogna semplicemente girare lo sguardo.

Pochi giorni fa la BBC ha proposto un servizio non andato in onda in nessun telegiornale nostrano. Il reporter, collegandosi con lo studio, ha detto di trovarsi in una bidonville, ma di non essere in Africa o in qualche favelas brasiliana, bensì nel cuore dell’Europa: “Siamo in Italia”. Quello che è stato giudicato da mezzo mondo come un pezzo di terra dove lo schiavismo di metà Ottocento e l’apartheid sono tuttora presenti, da noi Italiani, e dai media, è apparso un fastidioso disturbo alla pace quotidiana, dovuto al fatto che dei “negri” hanno osato ribellarsi. (‘Il Giornale’ di quei giorni ha intitolato: “Ed ora i negri hanno pure ragione”). Davanti a tanta volgarità, la ricerca di Bonavita diviene uno strumento utile per difendersi dal virus della stupidità, malattia che pare nuocere più vittime della famigerata febbre suina.

 

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