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... senza terrorismo

2008: l’anno della RAF

Da trent’anni la RAF non era più cosi attuale...
venerdì 23 gennaio 2009 di Christian Blasberg

Argomenti: Attualità
Argomenti: Mondo
Argomenti: Storia


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Un film al cinema, anche in Italia, provocando un’infinità di polemiche; un altro in tv non meno discusso; un dibattito pubblico impazzito, grazie anche alle vittime; trasmissioni su tutti i canali; medaglie di stato restituite nel segno della protesa; un celebratissimo compleanno in mezzo - e qualche assassino di allora che torna a vivere tra di noi: ecco la Germania del 2008. Da trent’anni la RAF non era più cosi attuale...

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Il titolo tedesco di "La Banda Baader Meinhof":
in verità, la "banda" è un "complesso"

In Italia, il tema delle BR è, almeno per il momento, non in primo piano nel discorso pubblico, anche se il 2008 è stato il trentesimo anniversario del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro. Questa circostanza sarebbe forse da notare con un certo sollievo, se questa volta non ci avessero pensato i tedeschi a far sì che del terrorismo di stampo rivoluzionario di sinistra non si scordassero le profonde tracce che ha lasciato nella società e nello stato democratico, non solo degli anni 70 e 80, ma fino ad oggi.

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Martina Gedeck alias Ulrike Meinhof
L’ideologa del terrorismo

E il vivace dibattito intorno al terrorismo tedesco ha raggiunto anche l’Italia, al cinema con il film “La banda Baader-Meinhof”; un riepilogo di dieci anni di lotta contro lo stato capitalista ed imperialista da parte di un gruppetto di giovani guerrieri con radici borghesi, creatosi intorno ad un macho uomo d’azione (una specie di Che Guevara del Nord, come dissi in un mio precedente articolo in questa rivista) e una giornalista trasformatasi in militante ideologa del terrorismo. Racconto sprint, troppo veloce per lo spettatore italiano - e quello giovane tedesco - che non conosce la storia della RAF e gli attentati che hanno messo lo stato tedesco in ginocchia; una raffica di eventi e di volti sempre nuovi degli aderenti alle varie generazioni dell’organizzazione, diventati poi protagonisti di nuovi attentati; le discussioni appena accennate all’interno del gruppo sulle idee ispiratrici della violenza, tra Ulrike Meinhof, Andreas Baader e la sua spietata amante Gudrun Ensslin, ma anche tra gli altri, per esempio nel gruppo intorno ai protagonisti dell’ultima mezz’ora, Brigitte Mohnhaupt e Christian Klar; ci sono storie politiche e anche personali intrecciate tra di loro senza un chiaro filo connettore, c’è il ruolo oscuro degli avvocati e delle forze dell’ordine, lasciato senza interrogativi, e ci sono le vittime le quali, appena entrate in scena, scompaiono dal film perché, appunto, vittime degli attentati, senza aver potuto dire la loro.

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Baader, Ensslin, Mohnhaupt (1976)

Così può darsi che gli italiani ora hanno visto un orgia di violenze, ma sanno anche che esisteva qualche cosa come le BR anche in Germania. Soltanto a pochi quel film avrà dato da riflettere sulla dimensione internazionale del terrore nel proprio paese. Si saranno divertiti a vedere che proprio a Roma al terrorista Baader viene rubata la macchina (già rubata da lui stesso) da un qualsiasi ladro di strada, mentre il suo avvocato Horst Mahler ruba il portafoglio ad una signora inglese. E sicuramente avrà suscitato qualche sorriso la scena quasi comica in cui i terroristi tedeschi vogliono, nel campo di addestramento palestinese nel deserto giordano, vivere i principi della libertà sessuale.

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Andreas Baader
il "Che Guevara del Nord"

La vera storia e il vero significato di tutto ciò, invece, non è probabilmente arrivato al grande pubblico italiano. Un film d’azione, attori certamente affascinanti, e basta. Si esce dal cinema e si pensa ad altro. Certo, se la traduzione del titolo fosse stato “Il complesso Baader-Meinhof”, come il vero titolo tedesco (“Der Baader-Meinhof Komplex”), chi si sarebbe ancora sentito attratto a vedere quel film? No, ci voleva almeno la “banda”, che suggerisce qualche cosa di avventuristico; ci volevano i manifesti con lo sfondo in un misto tra rosso e arancione, tra fuoco e sangue. Solo l’indicazione “Una storia vera” tradiva un po’ che non si sarebbe trattato di una fiction hollywoodiana.

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Baader nel film (Moritz Bleibtreu)

La parola “complesso” invece, introdotta in quel contesto dall’autore Stefan Aust che pubblicava già nel 1985 il suo libro sulla RAF, significa tanto per quel dibattito. Prima nel dare un’idea della molteplicità dei problemi sociali e politici che si sono mescolati in quel che si sviluppava dalla fine degli anni 60 e che il terrore di quel gruppo metteva a nudo. Poi anche in riferimento al trauma che doveva vivere uno stato ricostruito sulle ceneri di un regime di terrore e dell’olocausto e, quindi, con la questione sulle proprie responsabilità collettive e, in migliaia di singoli casi, individualistiche, ancora irrisolta, uno stato per lo più diviso in due entità ideologicamente contrapposte.

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Gudrun Ensslin (a destra) e nel film (Johanna Wokalek, a sinistra)
voluta confusione tra film e realtà

La parte occidentale di quello stato si sentiva in dovere di dare al mondo la prova di essere un vero stato di diritto per un duplice motivo: far vedere che aveva decisamente rotto con il passato nazista, anche alla luce di tanti funzionari del regime che, nella Repubblica Federale, erano tornati in servizio in una veste o nell’altra (lo stesso capo della Confindustria Hanns-Martin Schleyer ne era un esempio clamoroso), e dimostrare la superiorità ideologica di un tale stato di diritto e democratico nei confronti della con-correnza in casa propria, al di là della cortina di ferro che attraversava il proprio paese.

I governi socialdemocratici di allora, quello di Willy Brandt prima e quello di Helmut Schmidt poi, erano in gara con la RAF che rischiava di delegittimare lo stato; se la stragrande maggioranza della popolazione disapprovava i metodi violenti dei terroristi, non pochi invece simpatizzavano con le loro idee politiche e con le critiche che essi rivolgevano allo stato fede-rale. Da qui la straordinaria popolarità di una Ulrike Meinhof. Il governo invece cercava di legittimare la sua vocazione socialistica e democratica con una politica di dialogo con il blocco dell’Est che avrebbe dovuto convincere chi nutriva dubbi sulle intenzioni pacificatrici dello stato tedesco nei confronti di società concepite diversamente in senso ideologico, e nello stesso tempo dimostrare la sua estraneità da qualunque residuo fascista casereccio.

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Brigitte Mohnhaupt (a destra) e nel film (Nadja Uhl, a sinistra)
La Uhl recitava anche dall’altra parte, come hostess in "Mogadiscio"

Ma ci fu l’alleanza atlantica e la sudditanza della Germania-Ovest nei confronti degli Stati Uniti, di-ventati negli occhi di tanti, con la guerra nel Vietnam, simbolo di imperialismo e fascismo. Una danza sul filo del rasoio, quindi, quella che intraprese il governo; il potenziale di supporto popolare per la RAF era un’incognita ed era quello che la rese cosi forte, anche se il suo nucleo era composto di (probabilmente) mai più di 30 persone.

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Helmut Schmidt da cancelliere
salvare la legittimità dello stato contro il terrorismo: una sfida personale

Quello che, invece, si potrebbe considerare il vero momento di svolta nel rapporto tra stato e terrorismo non è nemmeno accennato nel film: il rapimento del politico democristiano Peter Lorenz nel febbraio 1975, eseguito da un “movimento 2 giugno”, strettamente legato alla RAF; il governo, ormai guidato da Schmidt, accettava di liberare dal carcere e portare nello Jemen sei terroristi (tra cui l’ex-avvocato di Baader, Horst Mahler il quale però rifiutò), riconoscendoli in sostanza prigionieri politici e dimostrando così una clamorosa cedevolezza nei confronti del terrorismo. Probabilmente da qui scaturiva tutta l’ondata di terrore che va dall’attacco all’ambasciata tedesca in Svezia, ancora nel 1975, fino al doppio rapimento di Schleyer e dell’aereo della Lufthansa “Landshut” nel cosiddetto ”autunno tedesco” del 1977. Schmidt (il quale ha compiuto i suoi 90 anni il 23 dicembre 2008, elogiato come mai prima), sentendo le attività della RAF - fuori e dentro l’ergastolo di Stoccarda-Stammheim - come una sfida personale, subì un processo di maturazione politica che rimase l’aspetto più marcante del suo intero cancellierato (1974-82): sacrificò la vita di Schleyer e rischiò quello dei passeggeri della “Landshut” a Mogadiscio per difendere la legalità dello stato di diritto.

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Schmidt nel film (Christian Berkel)

Infatti, mentre ne “La banda Baader-Meinhof” si vedono solo poche sequenze del Schmidt reale, egli è invece protagonista - recitato da un attore (Christian Berkel) che riesce ottimamente a trasmettere tutto il dramma personale del cancelliere - in un altro film sulla RAF, anch’esso uscito nel 2008, seppure solo in TV. “Mogadiscio”, che si limita a tematizzare la sola vicenda del rapimento della “Landshut”, fu prodotto in aperta concorrenza con “La banda Baader-Meinhof” e molti hanno apprezzato la drammaturgia più comprensibile; anche chi non conosce la storia dell’aereo - gli italiani quanto i giovani tedeschi - capisce quel che succede, chi sono i personaggi chiave dentro e fuori dell’aereo e quali sono le loro funzioni nello svolgimento della trama. Certo, quel che manca è un’interrogazione sulle motivazioni dei rapitori palestinesi di mettersi al servizio di presunti compagni tedeschi cosi diversi da loro, soprattutto riguardo al rispettivo rapporto con gli ebrei - nemici per gli uni, vittime del nazismo per gli altri. Comunque si voglia interpretare il peso di questo film nella discussione storico-politica, è apprezzabile almeno l’approccio artistico di tagliare fuori dal “complesso” RAF solo un pezzo per approfondirlo, e sarebbe da augurarsi che questo film si vedesse anche in Italia, se già vogliamo proseguire il tentativo di portare gli italiani a conoscenza di un terrorismo rosso estero che aveva tanti aspetti comuni e tanti punti d’incontro con quello delle BR.

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L’ex-cancelliere Helmut Schmdt (2008)
...a 90 anni più celebrato che mai

Ma il 2008 non è l’anno della RAF solo perché qualche regista abbia scoperto che quelle vicende avessero una intrinseca drammaturgia degna di una produzione cinematografica. Nel seguito di questi film, anche le vittime del terrore fecero parlare di se. La vedova del banchiere Jürgen Ponto, ucciso nella primavera del ’77 probabilmente dalla Mohnhaupt, restituiva la sua “Croce per il merito della Repubblica” al Presidente della stessa e querelava i produttori di “La banda Baader-Meinhof” per il fatto che, al momento dell’uccisione di suo marito, non si sarebbe trovata sul terrazzo della villa, come fa vedere il film, ma in una stanza accanto a quella del delitto. Già da qualche tempo Michael, figlio del procuratore generale Siegfried Buback, ucciso anch’egli dalla RAF, si fa avanti nei media per una più accurata protezione delle vittime nel processo di rielaborazione della storia della RAF; ha però anche lanciato un segnale di riappacificazione in direzione degli ex-terroristi, parlando in TV con Peter-Jürgen Boock, l’unico pentito tra i membri della RAF, e si fa avanti con nuove ipotesi sui veri autori del delitto di cui fu vittima suo padre, autori mai individuati con certezza.

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Christian Klar
con queste foto fu ricercato fino all’arresto nel 1982

E anche da parte dei protagonisti si sono levate le voci che contribuiscono alla resurrezione, per ora solo come oggetto di discussione, della RAF. Già nel 2007 era stata liberata Brigitte Mohnhaupt e, era quasi da aspettarsi, non è affatto d’accordo con il modo in cui viene rappresentata in “La banda Baader-Meinhof”; però, se la prende non tanto con le scene che la mo-strano come assassina, ma con quella in cui, liberata dal carcere all’inizio del ’77, si lamenta di non aver fatto sesso per cinque anni, mancanza recuperata poi nella sequenza successiva con il compagno Boock.

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Klar nel film (Vinzenz Kiefer)
il figliolo caduto dall’alta società

La scena, cosi la Mohnhaupt, toglierebbe serietà alla lotta dei terroristi: “Niente sesso, siamo RAF!” Una notizia ancora più grossa fu infine la liberazione dello spietato e mai pentito Christian Klar alla fine di dicembre 2008; Klar ancora non si è pronunciato sulla sua rappresentazione cinematografica, tra l’altro stranamente sottotono nonostante fosse stato l’assassino forse più brutale tra i terroristi. Comunque sia, c’è chi teme già da ora che, a quasi 60 anni, Klar e Mohnhaupt potrebbero tentare un reclutamento di nuovi giovani seguaci per rifondare la RAF. Vedremo.

 

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