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Roma 19 luglio 1943; settant’anni fa

Il bombardamento di Roma
sabato 1 febbraio 2014 di Anna Maria Casavola

Argomenti: Storia


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Pochi sanno o ricordano che la vera spallata alla tenuta del fascismo in Italia fu data dal bombardamento alleato a Roma, in particolare, del popolare quartiere di S. Lorenzo, proprio il quartiere più antifascista della città. Quella mattina, era un lunedì, squadriglie di bombardieri americani sorvolarono Roma, che fino ad allora era rimasta indenne dai bombardamenti. tanto da alimentare l’illusione che non sarebbe stata mai toccata , per il suo carattere di città sacra.

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Invece alle ore 11,03 cominciò l’apocalisse e fu la maggiore incursione fatta fino a quel momento sull’Italia, in poco più di due ore caddero 682 tonnellate di bombe. Le conseguenze furono “terrificanti”: la cifra esatta dei morti non si saprà mai perchè di molte persone non si ebbe più notizia e i parenti non ne denunciarono la scomparsa nella speranza che si fossero allontanate dalla città prima del bombardamento.

Naturalmente il regime, nei comunicati ufficiali dei giorni seguenti, giocò al ribasso sulle perdite, ma – secondo Cesare De Simone, che si è rifatto ai rapporti dell’epoca dei carabinieri e dei vigili del fuoco, (Venti angeli sopra Roma, Mursia, 1993) - il numero dei deceduti va compreso tra i duemila e ottocento e i tremila) e seimila i feriti, migliaia le case in macerie o lesionate, quarantamila i cittadini senza tetto.

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Si dice che al cimitero del Verano duramente colpito si scoperchiassero perfino i sepolcri,:quindi mentre i vivi venivano sepolti dalle macerie, i morti con i loro scheletri uscivano fuori dalle tombe. Situazione che ispirò a Giuseppe Ungaretti quella straordinaria poesia

"Cessate di uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire
se sperate di non perire"

Oggi una targa di metallo appena sopra elevata da terra nel parco intitolato a “I Caduti del 19 luglio 1943”, lunga decine di metri, reca i nomi delle vittime identificate ( mille quattrocentottantadue)

I romani rimasero atterriti. e divenne lampante a tutti la scarsità delle misure esistenti a difesa della popolazione, l’insufficienza della contraerea italiana e in molti casi anche l’inesistenza di validi rifugi.

L’impreparazione militare dell’Italia

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Infatti un capitolo emblematico dell’impreparazione e improvvisazione militare con cui l’Italia incoscientemente era stata gettata nella fornace della guerra, era apparsa subito la inadeguatezza della sua difesa contraerea. Nel giugno 1940 le batterie contraeree erano 227 tutte fornite di pezzi obsoleti risalenti alla prima guerra mondiale, nel luglio 1943 erano diventate 202, con scarsissimi dispositivi moderni di puntamento come cellule fotoelettriche e riflettori capaci di illuminare aerei in alta quota. Ironicamente negli ambienti militari la contraerea italiana era chiamata ”la silenziosa” per alludere alla sua inesistenza o inefficienza.

Inoltre il mito dell’intangibilità di Roma aveva fatto sì che non fosse applicata alla città la sia pur tardiva circolare Buffarini Guidi del 2 aprile1943, nella quale, dopo due anni di incessanti bombardamenti sull’Italia, il governo finalmente spiegava come dovevano essere costruiti e mantenuti i rifugi e ne sollecitava la costruzione, ricalcando tra l’altro una memoria - ormai non più adeguata - del 1927 sulla difesa contraerea del territorio.

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Il principe Giacomo Borghese, governatore della città (in carica dal 1939 fino al 20 agosto 1943), aveva ritenuto una spesa inutile l’allestimento di nuovi rifugi, essendoci già a sufficienza quelli dei ministeri ed enti pubblici aperti anche agli abitanti del quartiere, e ciò nella convinzione condivisa che Roma non sarebbe mai stata bombardata.

Infatti a Roma la guerra sembrava un’eco lontana, e la vita, pur in quell’arroventata estate del 43, continuava come in un’oasi imperturbabile e flemmatica e si aveva ancora tempo di occuparsi dei bagni di mare, delle canzonette, delle consumazioni al bar, e di andare a teatro o al cinema.

Ciò provocava una profonda irritazione negli abitanti delle altre città italiane martellate giorno e notte dai bombardamenti e che contavano ogni volta i loro morti e le case ridotte in macerie. Ma, secondo gli informatori della polizia fascista, che fedelmente riferiva ai capi, compreso Mussolini; la gente, sorprendentemente, non bestemmiava gli aviatori nemici, ma il fascismo, ritenuto l’unico responsabile della guerra, e si chiedeva : perchè mai non buttassero bombe su Palazzo Venezia e il Ouirinale, tanto che un’ incursione su Roma era fortemente desiderata.

La decisione di bombardare Roma

Il fascismo non l’aveva voluta dichiarare città aperta, fidando sul comune sentire, ma nell’incontro degli Alleati a Casablanca, il 23 gennaio del 43, insieme con la tesi sovietica della resa senza condizioni, qualora Italia Germania e Giappone avessero voluto uscire dalla guerra, era prevalsa la proposta di Churchill di aprire un altro fronte, attaccando il ventre molle dell’Europa (cioè l’Italia) ed era stata programmata l’operazione Husky ( robusto). Dandosi il via ad un attacco all’Italia, era implicito che anche Roma, nonostante la presenza del Papa, avrebbe potuto essere bombardata.

Sul bombardare Roma spingevano sopratutto gli inglesi, desiderosi di vendicarsi di quelli da loro subiti su Londra e le altre città. Il !5 luglio 43 una squadriglia statunitense aveva inondato il cielo di Roma di manifestini che avrebbero dovuto allarmare i romani se fossero stati presi sul serio.

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I manifestini erano di due tipi: bianchi e rosa. Quelli bianchi riproducevano il messaggio agli italiani di che annunciava che la guerra sarebbe stata portata nel cuore del loro paese e concludeva così: ”E’ venuto per voi il momento di decidere se gli italiani devono morire per Mussolini o per Hitler o vivere per l’Italia e per la civiltà”

Il testo integrale del messaggio fu pubblicato dal Corriere della Sera del 18 luglio 1943 con il permesso del governo fascista, che riteneva che avrebbe screditato nell’opinione pubblica italiana i nemici angloamericani. I volantini rosa invece invitavano i romani ad allontanarsi dagli obiettivi militari perchè entro le prossime ore sarebbero stati bombardati stazioni ferroviarie, aeroporti e caserme, ma i romani non ci credettero e continuarono a confidare nell’ombrellone di San Pietro.

A Roma c’erano il Papa, le grandi basiliche cristiane, c’erano la colonna di Traiano, l’Arco di Tito, il Partendone, chi avrebbe osato bombardarli?

Il 19 luglio fu morte annunciata

Così il19 luglio a Roma si scatenò l’inferno e fu morte annunciata per tremila persone.

Eroi in quella situazione furono i vigili del fuoco che lavorarono in condizioni impossibili con la sola forza delle braccia e con pale e picconi, un eroismo umile e nascosto, ne morirono ventiquattro ed anche il comandante dei carabinieri generale Azzolino Hazon che era accorso sul posto

E’ rimasta nella memoria della città la visita del Papa nel pomeriggio stesso dell’evento: Pio XII che si inginocchia davanti alle macerie della basilica di San Lorenzo e benedice la folla, che gli si stringe intorno riconoscente, invocando a gran voce“ pace, pace”.

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Ben diversa l’accoglienza riservata al sovrano, Vittorio Emanuele III, la sua limousine fu fatta oggetto di sassate e di grida ostili che gli consigliarono un rapido dietro front mentre un coro di donne gli gridava:” non vogliamole vostre elemosine, vogliamo la pace, fate la pace.”

La reazione del regime al bombardamento fu a dir poco disgustosa e i romani la giudicarono per quello che era, infarcita di menzogne. Perchè .di fronte alle rovine del Tiburtino e di San Lorenzo che non si potevano negare, cercò di dimostrare che la colpa del disastro non era sua ma di quegli incoscienti di romani che erano rimasti in città invece di scapparsene.

Questo il senso dell’articolo “Sfollare a tempo” che comparve su “Il giornale d’Italia” martedì 20 luglio”. La città di Roma non può e non poteva e non potrà considerarsi un’oasi felice e immune. Questo è stato l’avvertimento tempestivamente dato dal governo italiano e anche dal nostro giornale

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Insomma la misura era colma, se il terrore era l’obiettivo politico che gli Alleati si proponevano di ottenere, questo fu ampiamente ottenuto .Una settimana dopo il fascismo era franato, Mussolini destituito, l’Italia tornata nelle mani del re e del governo da lui nominato, che oggi diremmo di tecnici.

Il 25 luglio, alla notizia della cacciata di Mussolini, non ci fu nessuna resistenza da parte dei fascisti che rimasero nelle loro case in silenzio.

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Il 27 luglio il partito fascista venne ufficialmente sciolto .Ma nei quarantacinque giorni del governo Badoglio, impiegati e nella repressione feroce di ogni agitazione popolare (il bilancio dei disordini nella settimana dal 25 al 31 luglio fu di 83 morti, 320 feriti, e 1614 arresti)- e in trattative segrete con gli angloamericani .per far uscire l’Italia dalla guerra, si consumò il vero tradimento del governo, non nei confronti dell’alleato tedesco, nei confronti del popolo italiano, che non si pensò in nessun modo di proteggere.

Questa fu la vera tragedia dell’8 settembre. ma anche la sua grandezza. Come commenta Giorgio Bocca ne I partigiani della montagna,(Feltrinelli, Milano, 2004) “ll popolo restò abbandonato ma libero,libero di decidere finalmente di se stesso e da se stesso, cosciente che poteva fare a meno di re, di marescialli e di tutta quell’altra accolita, che per anni aveva vissuto alle sue spalle

 

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