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L’IDEOLOGIA BELLICISTA DI MUSSOLINI


giovedì 23 luglio 2020 di Anna Maria Casavola

Argomenti: Storia


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Questo articolo è il perfetto rovesciamento della dottrina della guerra di Mussolini, presente nella sua ideologia sin dalla sua prima apparizione nel 1919.

Il fascismo esso stesso si considerava figlio della prima guerra mondiale ed accettava ed esaltava la violenza come strumento di lotta politica e proclamava apertamente come caposaldo della sua concezione della vita che la guerra è connaturata all’essenza dell’uomo ed è fattore fondamentale nella vita dei popoli, quasi una meta ideale del vivere collettivo da perseguire, trasformando la stessa vita collettiva della nazione e tutta la sua politica in una costante mobilitazione di preparazione alla guerra.

Fin dal suo avvento al potere il fascismo pone due miti : quello dello stato totalitario e il mito della grandezza nazionale che si deve affermare attraverso l’impero, cioè attraverso l’espansione sia ideologica sia militare sia territoriale, cioè attraverso la guerra Da questi due miti scaturisce un altro aspetto fondamentale del fascismo, la sacralizzazione della politica che conferisce alla guerra una funzione religiosa di sacrificio dell’individuo alla maestà dello Stato e della nazione.

Questo spiega il fenomeno del volontarismo alla guerra che ci fu soprattutto tra i giovani più idealisti e nazionalisti. (cfr Emilio Gentile, La mistica fascista in Sopravvivere liberi, ANEI, Roma, 2005, pp.15-32).Pensiamo alla suggestione che doveva esercitare la formula del giuramento dei giovani fascisti:” Nel nome di Dio e dell’Italia giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se è necessario, con il mio sangue la causa della rivoluzione fascista “ Inoltre la rivista “ Dottrina del fascismo “ organo della scuola di mistica fascista pubblicava gli scritti di Mussolini. come Vangelo di una nuova religione:

”Il fascismo non crede alla possibilità e all’utilità della pace perpetua. Respinge quindi il pacifismo che nasconde una rinuncia alla lotta e una viltà di fronte al sacrificio. Solo la guerra porta al massimo della tensione tutte le energie umane. Tutte le altre prove sono dei sostituti che non pongono mai l’uomo di fronte a se stesso nell’alternativa della vita e della morte “

Quindi nella guerra Mussolini si getta senza remore, concludendo con leggerezza con Hitler quel patto che suo genero Ciano non aveva esitato a definire vera e propria dinamite: il patto d’acciaio, che all’art. 3 così recitava:” Se una delle parti contraenti venisse ad essere impegnata in complicazioni belliche con un’altra o con altre potenze, l’altra parte si porrà immediatamente come alleata al suo fianco, e la sosterrà con tutte le sue forze militari per terra per mare e nell’aria”.

Un trattato rivoluzionario rispetto alle tradizioni diplomatiche italiane e, nonostante all’inizio della guerra tedesco polacca, Ciano riesca a tenere l’Italia fuori e a prendere tempo (Memoriale Cavallero) con la dichiarazione di non belligeranza, poi Mussolini, come abbiamo detto, temendo di arrivare tardi alla spartizione del bottino, romperà ogni indugio e butterà via la carta vantaggiosa della neutralità. pronunciando quella famosa frase che è passata alla Storia:” Mi bastano un migliaio di morti “

La guerra decreta la fine del regime fascista

Tuttavia sarà proprio la guerra, il cui teatro Mussolini amplierà smisuratamente, dalla Francia all’Africa, poi alla Grecia e alla Jugoslavia infine alla Russia, culminando con la dichiarazione di guerra agli USA, a decretare la fine del regime fascista, perché dopo aver per venti anni esaltato la guerra come il supremo esame dei popoli e sottoposto gli italiani ad una pedagogia totalitaria del credere obbedire e combattere, alla prova della guerra il fascismo uscirà completamente sconfitto e lo stesso Gran Consiglio si vedrà costretto a sfiduciare il suo Capo il 25 luglio 1943.

E sconfitto non ancora per lo scontro ideologico che ne seguirà tra democrazie e totalitarismi, ma perché il suo esercito, che fu la prima vittima, fu gettato sconsideratamente in una guerra aggressiva, imperialistica, senza neppure aver fabbricato delle armi idonee per farla. Così Carlo Trabucco, un testimone:“Alla penuria delle armi si può aggiungere la penuria delle coperte, dei farsetti a maglia, delle calze, delle scarpe, perché questo nostro esercito ha avuto migliaia di congelati sulle Alpi (giugno – luglio 1940) in Grecia (ottobre – marzo 1941) in Russia al tempo del CSIR e poi dell’ARMIR. In tre anni di guerra non si è saputo costruire un tipo di calzature adatto a proteggere le estremità di coloro che dovevano combattere con temperature rigidissime e dalle Alpi francesi ai monti dell’Epiro sono stati mandati i soldati con le pezze da piedi o poco più” (C. Trabucco, La prigionia di Roma, Torino, 1954, p. 28).

Il dislivello tecnologico con gli armamenti degli altri Stati in guerra era enorme. I fucili erano quelli del 1891, cioè vecchi di cinquanta anni, i carri armati rispetto a quelli tedeschi e alleati erano paragonabili a scatole di latta. In Russia dove ci furono gravissime perdite di uomini (più di 80 mila tra morti e dispersi ) oltre alle gravi carenze relative agli armamenti, l’equipaggiamento invernale di base era quello risalente alla guerra 1915-18, che era una guerra di posizione e non prevedeva marce come quelle che avrebbero dovuto affrontare i nostri in quel territorio (cfr. Carlo. Vicentini – a cura – Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia, Crespi editrice, Cassano Magnano, Varese,1995 )

 

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